lunedì 12 ottobre 2015

“San Bbattulumèu di Rrudì!” significato di una invocazione siculo-rodiota

di Carmelo Bonvegna


La frase non la traduco perché è semplice anche per i non rodioti. Quanto a chi l’ha pronunciata, al quando e al perché, noi, nati intorno agli anni 40, non abbiamo problemi: la “storia” ce l’hanno raccontata i nonni e i padri appena siamo stati in grado di sgambettare coi nostri piedi e di avere l’uso di un po’ di ragione; insieme alla “leggenda”, celebre in ambedue le riviere messinesi, della donna sconsiderata e del bambino volatole dalle mani dal precipizio di Tindari, da cui sarebbe, poi, sortito il “mare secco”…
Per comprendere “quella” di San Bartolomeo di Rodì, occorre rifare il percorso nel passato e magari aggiungere un po’ di immaginazione intorno a fatti e figure lontani di secoli e situati in quel luogo che si chiamò Rhodis e, prima, forse, Solarìa se non col mitico nome di Artemisia. Di sicuro, nel gran “fiume”, fino a quasi tutto il 1500, esisteva un abitato – “na cità” – e ne abbiamo una prova nella “Crèsia Vecchia” oggi ribattezzata da qualcuno col termine fascinoso di “cupola rosata”: un manufatto misterioso che, quasi certamente, preesisteva alla fondazione di Rhodis; nome, questo, che inutilmente cercheremmo nel vocabolario latino essendo stato “inventato” o adattato dai “coloni rodii” mandati nel territorio di Milici dai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme – “Ospedalieri di San Giovanni” – prima che dall’Isola di Rodi si trasferissero a Malta, nel 1523.
Là, nella “tambòna” – così i contadini (Turi Cicero, lo zio Nino Bonvegna…) chiamavano la cupola della “Crèsia Vecchia” – dicono vi fosse la statua del San Bartolomeo attribuita ad Andrea Calamech, scultore carrarese venuto a Messina nel secolo XVI; la statua risale a qualche anno prima della storica e più devastante piena del nostro “fiume” (1580/83).
“San Bbattulumèu di Rrudì!” raccontano sia stato il grido unanime del popolo riunito attorno al Santo di marmo già issato sul “carro di forza” a quattro ruote preparato e ornato dagli antenati dei nostri ultimi carrai: di uno zzu Nunziato o zzu Nino o Feliciano o Càmmunu u carràru o di un mastr’Addècu…; gli furono aggiogate diverse pariglie di buoi, “sette” dice la tradizione. La scena, in parte vera e in parte abbellita dai molti che ce l’hanno tramandata aggiungendovi qualcosa – “cu cunta menti a so iùnta!” –, io l’ho ascoltata dai “vecchi”: “San Bbattulumèu dû Castru!” ma i buoi stavano fermi, “San Bbattulumèu di Petrunutàru!” e i buoi immobili, “San Bbattulumèu di Milici!” e niente, neanche una mossa…! Al grido/invocazione “San Bbattulumèu di Rrudì!” i buoi, come spinti da una mano invisibile, si sarebbero mossi e di corsa verso il luogo dove ora sorge la “nuova” Rodì. Così l’ho descritta nel libro degli “usi e costumi” del Paese; chiunque può leggerla nei particolari in quelle pagine. La medesima cosa sarebbe avvenuta per la grande statua di marmo della “Santa Maria delle Grazie” di Milici, comunemente detta “Madonna del Lauro”.
La frase “San Bbattulumèu di Rrudì!”, in dialetto siculo-rodioto, che ho fatto stampigliare ai piedi della gigantografia del Santo esposta al balcone della nostra casa di via Dante, il 24 agosto, è, di sicuro, una trovata personale che si appatta con la mie ricerche sulla storia, le usanze e la lingua del Paese; ma credo che debba avere significato sicuramente molto più importante e attuale rispetto alle piccole passioni “folkloristiche” del sottoscritto.
Infatti. Nel momento drammatico ed epocale in cui la società, presa dal disordine del relativismo, confonde il bene col male e si inventa strade “altre” in cerca di una felicità futura sempre più chimerica, quelle parole arcaiche e siciliane vogliono suonare come richiamo alle nostre “radici” che il “Padrone del Mondo” tenta di tagliare per renderci più manipolabili e tenerci al guinzaglio. La scritta in bella vista al balcone, ha voluto significare, quindi, Religione dei Padri, attaccamento a qualcosa più grande di noi e che trascende le nostre persone, fedeltà alla Terra, alla lingua dei nostri Morti, alla Famiglia che quei Padri ci hanno consegnato e che, oggi, una consorteria di intellettuali, di “arrivati” e politicanti al servizio di quel Padrone, cerca di capovolgere. Piccolo segno sulla facciata della mia casa per riaffermare pubblicamente il valore ancora attuale di quelle “radici”. E “piccoli segni” sono pure le bandierine multicolori e i lumini che i Franco, le Marie, Nicola, Samuel, Vincenzo, Bartolomeo…hanno preparato nella nostra strada del quartiere “Mannelli” per il passaggio della Processione del 24 o le coperte finemente ricamate da donne maestre e stese ai balconi in via Orto Pozzo di contrada Ryolo o la suggestiva infiorata di oleandri e petali di rose della Castagnara, la prima domenica di agosto o i tanti altri “segni” che ognuno si improvvisa al passaggio della Madonna e dei Santi per dimostrare la sua fede e la devozione: così i “viva Maria!” dell’indimenticabile Felice o le manciate di ceci abbrustoliti che Angelo Gambino o la signora Natala lanciano alla Madonna di Lourdes o quello, significativo e preciso, di chi aspetta sulla soglia della casa dei nonni per dare la sua offerta come fa Mario o faceva Carmelo-Beniamino, mio lontano compagno alle Elementari, che ogni prima domenica di settembre veniva da Novara e si postava davanti la sua vecchia casa nel Giacato al passaggio della Madonna…
Certo, piccoli segni esterni e “materiali” che poco varrebbero se mancasse la conversione del cuore e la fedeltà al Vangelo; tuttavia, e nonostante ogni possibile nostra umana manchevolezza, di valore ne hanno e come! Altrove, dove i puristi della Religione hanno preteso abolire processioni e religiosità popolare, ritenendole incrostazioni superstiziose di noi “mediterranei”, “teste calde”, sono state chiuse molte chiese o, le migliori, trasformate in musei per turisti (di che recentemente si è lamentato Papa Francesco) o in supermercati o in moschee o, perfino, in… locali notturni! Non sono favole: accade in quella vecchia Europa del Nord, deserta di figli, che ha già rifiutato il Cristianesimo e si ritrova di fatto neo-pagana. E dire che molti chierici “latini”, negli anni famigerati 1970 guardavano a “quel” Nord genuflessi come se da lì dovesse arrivare l’oracolo risolutore di ogni male nella Chiesa e nel mondo. Io ho ancora buona memoria per ricordare! Ne è risultato che in quei paesi la Religione non è stata “purificata” come allora alcuni preti e prelati immaginavano, ma cancellata!
È ciò che vorrebbero fare – al di là delle belle parole e dei sorrisi di circostanza – anche in Italia soprattutto con l’aggressione alla Famiglia e il capovolgimento della natura umana: il tentativo di introdurre nelle scuole le lezioni di “gender” (scelta e cambio del sesso…!) è l’ultima soglia – per ora! – di una rivoluzione antropologica epocale che, nella fase attuale, ha avuto inizio col “68”: pensatori cattolici la chiamano “IV Rivoluzione”, dopo la “protestante” (1517), la “francese” (1789) e la “social-comunista” del 1917 . Questa – una volta messa in moto – raccatta, in nome della vecchia dea “Libertà”, i disordini, gli appetiti e tutti insieme i vizi dell’animo umano e ne pretende la diffusione e la legalizzazione da parte dei Parlamenti, e se non è fermata, va avanti imperterrita, acquistando, anzi, sempre più potenza e velocità come un’auto in discesa senza freni. Così, la libertà mescolata al disordine morale, genera – necessariamente – altro disordine misto a sete di nuova e maggiore libertà, come la “bestia” dantesca che “dopo il pasto ha più fame che pria”. Attenzione, però, tutto ciò ha un costo in frutti amarissimi, in dolori che colpiscono nello spirito e nei corpi le singole persone, spesso le più povere e indifese, e le società: solitudini, depressioni, sbandamenti, famiglie divise, figli innocenti abbandonati o contesi, alcool a fiumi e droga, bullismi, violenze, “femminicidi” in aumento… Non si può calpestare impunemente il Diritto Naturale e pretendere di sfuggire alle conseguenze; e vani e ridicoli sono i “rimedi” di tanti soloni e recitatori televisivi, presidenti o segretari di qualcosa, giovani “ministre” abituate al sorriso, politici “arrivati” nelle cui mani la Democrazia ha consegnato un potere sproporzionato, confezionatori di costosi “progetti educativi” inventati per far fronte al disagio/disastro di molti ragazzi provocato dalla dissoluzione della Famiglia voluta dagli stessi “rimediatori”.
Noi facciamo bene a tenere le nostre Processioni, i nostri Rosari, le “Salve Regina”, i canti le preghiere e le invocazioni alla Vergine, quell’antico, bellissimo “viva la Gran Signùra Maria!” e i nostri “San Bbattulumèu di Rrudì” e “San Fulippu d’Airò!”. Ma oggi per essere veramente cattolici coerenti e devoti della Madonna e dei Santi, occorre essere consapevoli che esiste tale Rivoluzione che vuole ri-creare un “homo novus” e diverso da quello creato da Dio; essa è più pericolosa delle tasse inique, dell’aumento dei prezzi o della disoccupazione o di tanti altri malanni che ci assillano ogni giorno; essa va studiata e combattuta con coraggio, costanza e intelligenza anche a Rodì perché ne va di mezzo ciò che resta della civiltà cristiana minacciata di completa estinzione; pertanto dobbiamo fare in modo che la religiosità popolare non diventi una annuale parata di inutile folklore. Sta a noi custodire con l’esempio della vita la preziosa eredità che i nostri Padri ci hanno consegnato.
Ecco, questo è per me, oggi, il significato del grido antico “San Bbattulumèu di Rrudì!”

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