mercoledì 30 marzo 2016

I cantautori in Dante: Da De André a Battiato, da Branduardi a Tenco. Il canto dallo Stil Novo a Erza Pound

di Pierfranco Bruni


Le ballate celtiche, il paesaggio costruito da René Guenon, il viaggio di Erza Pound o di Thomas Eliot, il messaggio religioso di Robert Brasillach sono nello specchio e nelle immagini che la filosofa Maria Zambrano ha ridisegnato nello specchio di Dante. Così come il modello di Pascoli o la voce di D’Annunzio sono segni che i “versi sparsi di Dante portano sulla scena in un Medioevo fatto di echi classici ellenici e latini che solcano Saffo, Tibullo e Catullo. 
Dante Alighieri dalla “Vita nova”, alla “Commedia”, dai “versi sparsi” alle “Rime”: sono “luoghi” metafisici nei quali cantautori come De André, Lauzi, Vecchioni, Guccini, Franco Califano, Tenco, Battisti - Mogol hanno scavato in quell’onirico misterioso che è il linguaggio delle assonanze, che vive dentro la Scuola Siciliana e lo Stil Novo. 
Un linguaggio che non deve nulla alla letteratura italiana degli anni Cinquanta (Calvino – Pasolini: che tristezza), in linea con la presenza della cosiddetta canzone d’autore, perché è riuscita a confrontarsi con il mondo provenzale ed etnico che è vitale nel “De Vulgare” dantesco. 
Si tratta di penetrare i legami tra la poesia e la canzone. Sarà il tema di un convegno che si svolgerà a Roma: “Il Dante da De André a Branduardi”.
Dante usava la Canzone. Come facevano Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, come Cecco Angiolieri. Ovvero siamo tra la Canzone e la Ballata. Successivamente dopo la poesia di Jacopone da Todi diventa centrale. 
Da De André a Roberto Vecchioni Jacopone diventa il poeta della religiosità eretica e non teologica. Ma Dante resta, comunque, un punto di riferimento sia sul pianto di un modulario sintattico sia su quello della “ripetizione della parola. È proprio il contesto delle “Rime” di Dante e lo specchio de la “Vita nova” che camminerà (cammineranno) nella canzone non solo italiana, ma francese, in modo particolare, spagnola in modo più specifico, americana, in modo più letterale, greca in piena allegoria. 
Tre esempi soltanto, Dante vive in Ronsard, in pieno barocco. Vive in Lope de Vega e, successivamente, in Unamuno. Vive nell’isola, terra natìa, di Kavafis e Seferis. Vive nello straordinario viaggio di Lee Master con il quale si confronterà attivamente De André nel suo attraversamento nel regno dei morti. 
Qui l’incastro si fa molto sottile. Dante, Lee Master, De André e di Dante l’immaginario viene trasportato proprio in “Spoon River”, dove sulla collina si parla con i morti tra le varie dune e gli spazi come so fossero i cerchi danteschi. 
De André, infatti, studia attentamente Dante e lo trasporta nel testo “forte” di “Non al denaro non all’amore e né al cielo”. Ma anche i “Canti” di Ezra Pound sono un viaggio e paesaggio in quella “Commedia” che è “Divina”, ma anche profetica come nel Pavese di Leucò, amato da Tenco. 
Su questo battuto e su una dimensione araba dantesca si stabilizza il mosaico mediterraneo di Franco Battiato. Il mondo dei dervisci è il sacro guenoniano con il quale Dante andrebbe anche interpretato tra gli sguardi e lo specchio. 
Così come nel Tenco che ridisegna il tempo dell’amore perduto che si scava tra le “Rime” di Dante. Ma la “Canzone dell’amore perduto” di De André non è soltanto un “francesismo” ascolto dei versi prevertiani e bressaniani, bensì è sostanziale l’allegoria de la “Vita nova”. 
Così il Cocciante di Giulietta e Romeo non ha soltanto parametri abelardiani, ma “beatriciani”. La donna dell’apparenza e della sparizione è nel Battisti – Mogol delle salite e delle discese. 
Insomma i riferimenti estetici – letterari insistono con forza tra Dante e la poesia – musicata… Già, la poesia musicata? Lo Stil Novo è poesia la cui parola ha già un alfabeto musicato che forma un vocabolario. 
Le “Rime” di Dante sono un trascinamento nella musica provenzale che si svilupperà negli “anonimi” barocchi e veneziani. Il De Gregori che si tuffa in Saint Exupéry non è soltanto la metafora del volo, è anche l’allegoria della conoscenza oltre il reale, ma Saint Exupéry era molto “devoto” a Dante. Come lo è Vecchioni che recupera una classicità pre-mediovale. 
Con Angelo Branduardi, una centralità di spessore, si entra proprio nel mezzo del cammino con “Camminando camminado”, con “L’infinitamente piccolo”, con le Ballate “Il rovo e la rosa”, con “Vanità di vanità”. 
Branduardi è la misura estrema, musicale e letteraria, tra Dante, e prima ancora con San Francesco del Cantico, e il Quattrocento. In un contesto del genere le metafore e la musicalità danno spazio ai luoghi del pensiero e dell’essere. 
L’esilio e il mare, le stelle e il viaggio. 
Ebbene, il Dante di queste finestre lo si legge in Lucio Dalla, in Bruno Lauzi, in Sergio Endrigo, in Francesco Guccini. Ma restano tre poeti cantanti che sono la rappresentazione di un Dante musicale e musicato, metaforizzato tra i simboli e gli archetipi: De André, Battiato, Branduardi. 
Tre riferimenti con i quali, attraversando questo linguaggio, si riporta Dante come centro ed orizzonte nel rapporto semantico – estetico – letterario in un Novecento che ha frantumato tutti gli strumenti sintattici e la struttura della parola. 
Nella consapevolezza (o conoscenza) della lingua i tessuti musicali e gli immaginari simbolici sono in Dante la partenza e il ritorno delle lingue non solo usate dalle letterature ma anche dalla canzone d’autore (cosiddetta). Perché questo? Dante è la sintesi dell’Occidente e dell’Oriente tra letteratura, musica e danza in una estetica che vive tra lo sguardo e lo specchio (una metafora per dire o non dire, sic!). 
Ma Dante è un Oriente che non smette di essere Persia e culture mediterranee nelle quali Battiato si è formato filtrando il Dante delle “Rime” e il verseggiare della Beatrice Dolce Stil Novo è nel Branduardi che ha atmosfere bizantine. Così come Ivano Fossati che lega la linea Dante Pavese. 
Dopo Dante ci sono le Ballate. Jacopone da Todi e Cecco Angiolieri sono tra le carte di Dr André e Vecchioni. Insomma il discorso diventa interessante nel momento in cui la Canzone nasce nel verso e con il verso si versa la musica. Come in Guccini e De André. Dante cercava la musicalità nella parola come nelle “Rime” o anche nella “Vita nova”. 
Compiono un uguale lavoro sulla parola. I parametri sono segni indelebile e non si può prescindere dal fatto che la parola musicata ho perfettamente origini Orientali.

sabato 19 marzo 2016

Tommaso Romano, "Café de Maistre" (Ed. ISSPE)

Una sedia Thonet, un tavolino marcato Ducrot, una penna (uso ancora la penna, pur non demonizzando computer e internet), assiso in un caffè panormita nei pressi del Foro Italico a due passi dal mare, in un contesto pie­namente fedele all'Art Nouveau, con arredi originali e tirati a lucido, sotto le insegne e gli sguardi severi di coloro a cui s’intitola, nientemeno che ai De Maistre, sì ai due aristocratici savoiardi, francesi di lingua ma non di patria, due fratelli geniali: il più celebre Joseph (Chambery 1573 - Torino 1821) e il non meno grande Xavier (Chambery 1763 - San Pietroburgo 1852). Clicca qui per continuare a leggere

giovedì 17 marzo 2016

Il "filosofo contadino" Gustave Thibon

Gustave Thibon (1903-2001) non è un nome molto noto. Negli ultimi anni, tuttavia, aumenta il numero di coloro che si imbattono nella sua figura, la esaminano, ne restano avvinti e cercano in ogni modo di farla conoscere agli altri. Uno di questi è il giovane studioso molisano Nicola Tomasso, che ha recentemente dato alle stampe “Il realismo dell’incarnazione. Introduzione a Gustave Thibon” (Edizioni Tabula Fati), con una presentazione del prof. Corrado Gnerre.
Si tratta di un’opera davvero pregevole, che si legge tutta d’un fiato e assai utile per chiunque voglia sapere qualcosa in più sul grande filosofo e pensatore francese, le cui riflessioni sono quanto mai attuali. Forse ancor di più di quando le ha pubblicate. Se ne raccomanda quindi caldamente lo studio.
Ma chi era Thibon? La sua vita non è stata contraddistinta da fatti straordinari e avventurosi, ma piuttosto dalla normale routine di ogni giorno, che comunque, come insegnano i santi e i maestri dello spirito, se vissuta bene, richiede un eroismo non inferiore a quello dei martiri. Insomma, è possibile ed auspicabile fare della propria esistenza un’opera d’arte anche senza compiere grandi gesta esteriori. Di certo, per tutto il lavoro di Thibon è stata fondamentale la sua conversione al Cattolicesimo all’età di venticinque anni, dopo una giovinezza imbevuta di laicismo e progressismo.
Il filosofo non divenne mai un accademico. Fu anzi autodidatta, imparando molto di più che se avesse seguito un normale curricolo scolastico ed universitario. Pur tra le conferenze a livello internazionale che era invitato a tenere, non lasciò mai la sua attività agricola, tanto che è ancora comunemente indicato come il “filosofo contadino”, nel senso più positivo dei due termini. Fu proprio dal suo legame alla terra, alla concretezza, alla vita reale, che trasse ispirazione per i suoi scritti. La sua è una filosofia profondamente realista e quindi tomista, contraria alle astrattezze delle ideologie, tipiche della modernità. Tutto ciò lo ha fatto schierare su posizioni conservatrici e reazionarie (collaborò con l’Action française di Charles Maurras e durante la Seconda Guerra Mondiale simpatizzò per il Governo di Vichy, ma non dimentichiamo che fu molto amico della filosofa ebrea Simone Weil, che nel 1941 ospitò nella propria fattoria).
Non a caso Thibon considerava la Rivoluzione Francese del 1789 come la madre di tutti i conflitti sorti nei secoli successivi. Il suo attacco al mondo moderno, imbevuto di individualismo alienante, di consumismo becero e di edonismo inappagante, è stato senza sconti. E infatti il “filosofo contadino”, come scrive Tomasso «da un lato crede fermamente nel valore delle antiche aristocrazie e di una distinzione tra le classi – funzionale ad uno scambio organico – dall’altro critica fermamente il capitalismo così come si è insediato in Europa e, al tempo stesso, vede nel ritorno alla terra un importante antidoto contro i mali delle moderne società». Thibon quindi amava la società organica della Cristianità medievale, antitetica a quella contemporanea sorta dalla civiltà industriale e illuminista, di cui oggi constatiamo la decadenza ed il degrado. In effetti, Tomasso rileva che «se le moderne democrazie continueranno ad essere fondate soltanto sulla legge del numero e del denaro, i popoli perderanno quei legami organici che donano loro linfa e cederanno ad una ipertrofia statalista». Ad ogni modo, Thibon non è stato un tradizionalista sterile e fissista. Anzi, amava affermare «la vera fedeltà non consiste […] nell’impedire ogni cambiamento, ma più precisamente nell’impregnare ogni cambiamento di eterno».
In Ritorno al reale, la sua opera più celebre, il filosofo contadino ha condannato la perdita del senso di autorità e dei veri rapporti tra le classi. Le cause, a suo parere, vanno individuate nell’allontanamento da Dio – peccato da cui promana ogni male -, nell’egualitarismo e nell’abbassamento delle élite al livello della plebe: se il liberalismo ha avuto successo, in effetti, lo si deve ad «una nobiltà fiacca e molle che si crogiola nei suoi privilegi non pensando ormai più di essere l’élite che ha come vocazione il sacrificio per la salvezza del popolo». Da ciò deriva l’egualitarismo, che è puro orgoglio: per Thibon, infatti, «dal momento in cui tutti sono in basso, nessuno deve più abbassarsi! Psicologicamente vi è, fra l’umiltà cristiana e l’egualitarismo, tutta la distanza che separa l’abbassamento volontario dalla bassezza congenita».
Il filosofo francese denunciava anche l’obnubilamento del senso del peccato in cui vive l’uomo contemporaneo, un’incoscienza che oggi pare favorita da molti prelati, dimentichi che Cristo è morto in Croce per espiare le colpe dell’umanità. Per questo, come commenta Tomasso, «mai come ora urge recuperare la dottrina del peccato e della Somma Giustizia Divina: se l’uomo non riconosce più il bene e il male, non ha senso avvicinarlo con i mezzi della Misericordia, perché non saprebbe cosa farsene (visto che, non essendoci peccato, non vi è peccatore di cui avere misericordia)».
Proprio perché ancorato al reale, Thibon può essere definito il filosofo del buon senso. Quel buon senso che attualmente sembra scomparso. Di fronte a uteri in affitto, farneticazioni su matrimoni e adozioni gay, a tentativi di indottrinamento gender, ma anche di fronte alla fabbricazione e compravendita di figli in provetta, alla mercificazione dei gameti, alla legittimazione dell’omicidio dell’innocente con l’aborto o con l’eutanasia, la ragione, il contatto con la natura e l’oggettività delle cose non esiste più. Prevale l’astratta ideologia delle lobby Lgbt e dei gruppi finanziari che le sostengono. Con grave danno per tutta l’umanità. La realtà è qualcosa di dato. Volerla manipolare a proprio piacimento, tentando Dio come nuovi Prometeo è solo fonte di frustrazione e dissoluzione, perché l’uomo non può prescindere dalla sua dimensione creaturale.
Parole chiare e nette Thibon le ha scritte pure riguardo il matrimonio, sacramento sul quale purtroppo sta regnando la confusione più totale in una buona parte di cattolici e persino in diversi uomini di Chiesa, che con le loro dichiarazioni sembrano essere più attenti alle lusinghe del mondo secolarizzato piuttosto che alla verità del Vangelo. Riprendendo le riflessioni del filosofo contadino, Tomasso nota come «la crisi della coppia va a braccetto con l’adorazione dell’amore fine a sé stesso, un amore sempre più relegato ad una dimensione di mera passionalità corporea prima, di assurdità dopo». Thibon era un convinto sostenitore dell’indissolubilità e dell’unità del matrimonio, elementi che per la tradizione cristiana hanno la precedenza sull’amore tra i coniugi. Elementi, inoltre, che derivano direttamente dal diritto naturale, in base al quale la procreazione e l’educazione della prole vanno di pari passo e necessitano della presenza costante e continua, sino alla fine dei giorni, di due genitori, di un padre e di una madre. L’autore ricorda che «nell’opera di Thibon si evince come anche la devirilizzazione dell’uomo e l’affermazione della “donna in carriera” minino le fondamenta dell’istituzione familiare».
Tomasso, in sostanza, condivide con Thibon l’idea che «perdendo il contatto con le realtà profonde che nutrono e sostengono l’individuo (la terra, la famiglia, la patria, la religione) l’uomo vaga all’estrema superficie di sé, ubriacandosi di piaceri futili ed immediati, impoverendo la propria vocazione all’impegno e al sacrificio». Il filosofo contadino aveva visto giusto e ha fornito un ritratto perfetto, tristemente realistico, della società contemporanea.


(Federico Catani, La Croce quotidiano, 16 febbraio 2016).



mercoledì 16 marzo 2016

49° Edizione del Premio Acqui Storia: pubblicato il bando 2016

Il Premio Acqui Storia, giunto alla 49° edizione, rappresenta uno degli appuntamenti culturali più attesi dell’anno, non solo in Italia. Anche per l’edizione attuale la Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria  si conferma partner fondamentale dell’iniziativa.
L’edizione passata ha riscosso un grande successo, visto l’elevata qualità delle opere vincitrici, dei personaggi insigniti dei Premi speciali e dei presentatori Mauro Mazza ed  Antonia Varini che hanno condotto la cerimonia, oltre che del crescente  interesse sul premio documentato tutto l’anno sui più importanti quotidiani e settimanali, italiani  e stranieri. Alla cerimonia erano presenti  storici, giornalisti, fotografi e inviati speciali delle più importanti reti televisive non solo nazionali, Autorità civili e militari, parlamentari, diplomatici, tanta mondanità e diversi esponenti del jet set internazionale.
I vincitori nelle rispettive sezioni previste dal regolamento del Premio sono stati: Franco Cardini con il volume “L’appetito dell’Imperatore. Storie e sapori segreti della storia” Mondadori e Paolo Isotta con “La virtù dell’elefante. La musica, i libri, gli amici e San Gennaro” Marsilio, nella sezione storico divulgativa., Antonio De Rossi con il volume “La costruzione delle Alpi. Immagini e scenari del pittoresco alpino (1773-1914),  Donzelli editore sezione storico – scientifica ed infine  Licia Giaquinto viene premiata nella sezione romanzo – storico  per il volume “La Briganta e lo sparviero” Marsilio Editori.
Il premio Testimone del Tempo 2015, che rappresenta il momento più prestigioso della manifestazione, è stato assegnato a cinque figure di straordinario rilievo nel panorama artistico e culturale contemporaneo: Dario Ballantini, Pietrangelo Buttafuoco, Italo Cucci, Maria Rita Parsi e Antonio Patuelli. Luca Barbareschi è stato designato quale Testimone dell’Ambiente. Tutti questi personaggi hanno riscosso uno straordinario successo nel rinnovato teatro Ariston di Acqui Terme sabato 17 ottobre scorso.
Il premio LA STORIA IN TV 2015”  ha voluto rendere omaggio a Gigi Marzullo, il premio Speciale alla carriera è stato  conferito a Giuseppe Galasso uno dei più importanti storici viventi italiani.
La  “macchina” organizzativa del Premio Acqui Storia  riparte nel 2016 con la pubblicazione e la stampa della brochure della 49° edizione, un appuntamento sul quale si concentra l’attenzione di Autori ed Editori, stampa e televisioni (bando scaricabile anche dal sito www.acquistoria.it  e info@acquistoria.it).
Potranno concorrere al Premio le opere a stampa di autori italiani e stranieri pubblicate in Italia nel 2014, nel 2015 o nel 2016 su argomenti di storia dal XVIII secolo ad oggi per quanto riguarda le sezioni storico-scientifica e divulgativa, e su argomenti storici di qualsiasi epoca per quanto riguarda la sezione dedicata al romanzo storico.
Le Case editrici possono inviare le opere concorrenti entro il 31 maggio 2016; fra queste i giurati individueranno entro il mese di luglio i 5 finalisti per ogni sezione e per l’autunno i vincitori delle tre sezioni a cui andrà un premio di 6500 euro cadauno. La manifestazione mette in gara pubblicazioni che affrontano tematiche di storia: possono concorrere sia romanzi storici che saggi scientifici, sia opere di taglio maggiormente divulgativo, di autori italiani e stranieri.
Alle tre prestigiose Giurie accademico-scientifiche si affianca un Gruppo di 60 Lettori che esprimono una valutazione sui volumi che accedono alla fase finale del Premio e, tramite i Rappresentanti, concorrono alla designazione dei tre vincitori nelle rispettive sezioni, insieme ai vari giudici togati.
Con la promulgazione del bando di concorso 2016 sono riconfermati i due premi speciali La Storia in TV e Testimone del Tempo.
Come anticipato da Carlo Sburlati, Responsabile Esecutivo della manifestazione e del gemello Premio Acqui Ambiente, la cerimonia di consegna dei vari riconoscimenti si terrà ad Acqui Terme, presumibilmente sabato  15 ottobre.
Fin dagli esordi, il Premio intende onorare il sacrificio a Cefalonia di circa 2000  fra ufficiali e soldati italiani della Divisione Acqui.  Dopo quasi cinquant’anni di attività, l’Acqui Storia è uno dei più prestigiosi premi letterari del panorama culturale italiano ed internazionale, senz’altro il maggiore per quanto riguarda la storia sui libri ed al cinema ed in Tv e continua ad essere sostenuto dagli enti promotori: la Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, massimo ente finanziatore del premio, la Regione Piemonte, la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, il Comune di Acqui Terme, Assessorato alla Cultura, cui fa capo la concreta organizzazione della manifestazione.
L’Acqui Storia vanta il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo.


sabato 12 marzo 2016

Pubblichiamo l'ottava parte di (S)Connessione di Vittorio Riera

(S)CONESSIONE 8
Queste frasi sono state registrate insieme con i commenti più o meno salaci dei passeggeri a Palermo sulla linea 102 nel tratto via Roma (Ecce Homo) - Capolinea. Sono di un signore seduto davanti a me. Io mi sono poi limitato a trascriverle fedelmente così come le ho sentite, in una sorta di fonografia e cioè senza apostrofi e senza segni di interpunzione a eccezione del punto di domanda, delle parole tronche, delle voci del verbo essere che vogliono l’accento (è, sarò, sarà) e delle interiezioni. Le voci del verbo avere che prevedono l’acca, sono state semplificate in ‘ò’, ‘à’, ‘ài’, ‘ànno”.  Mie le traduzioni delle frasi in dialetto

omo (Voce dal fondo) collacca o senzacca? (Altra voce dal fondo) aqqua e che centra laqqua? sciaterematrievogghiudiri! (Ma guarda un po’) ma insomma volete stare nsilenziosemesolitisemu (siamo alle solite siamo) voi interrompete non lasciate finire la parola e uncapitinenti siete tutti chiacchiri e tabbacchèrilignu (parlate tutti a vanvera) (Prima voce dal fondo) no sa cheè? è che io ò studiato un pò di latino e so che omo collacca significa uomo cioè io lei nsomma gli uomini (Voce dal fondo) e i fimmini no? (e le donne no?) no anche le donne anche le donne quando diciamo uomo intendiamo dire anche le donne à capito? e chi sugnuscimunitu? (e che sono scemo?) no non se labbia ammale è un modo di dire un intercalare (Voce dal fondo) uninterche? (Altra voce dal fondo) minnali ma lei unsapipropiunenti un sapidducristianuvulevadirina cosa chi nuatridicemuaccussìpi dilla ma senzoffisa (Dannazione! ma lei non sa proprio niente non sa quel signore voleva dire una cosa che noi diciamo così tanto per dire ma senza offesa) (Voce dal fondo) a propositu di inter ma chi ficilinterruminicaria? (a proposito di inter ma che àffattolinter domenica scorsa) (Voce dal fondo) vinciu tri a zeruminnali e a iuvi? (à vinto treazeroperbacco!)(Voce dal fondoe la iuve? che àffatto la iuve che àffatto?

mercoledì 9 marzo 2016

L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico –

di Fabio Trevisan

Nel 1926 Chesterton pubblicava le sue considerazioni sul Distributismo (la distribuzione della piccola proprietà) nell’opera: “Il profilo della ragionevolezza”. In conformità con l’enciclica Rerum novarum del 1891 di Leone XIII, egli aveva difeso l’inviolabilità della proprietà privata, la famiglia come cellula primaria della società e la centralità della dignità e della responsabilità della persona. Sapeva chiaramente, come aveva ammonito Leone XIII, che il social-comunismo era una falsa soluzione al vero problema del capitalismo e della concentrazione della ricchezza: “A quanto pare c’è qualcosa di irritante e bizzarro nel dire che quando il capitale diventa troppo nelle mani di pochi, la cosa giusta da fare è rimetterlo nelle mani di molti”. All’ingiustizia e sopraffazione del capitalismo non si poteva rispondere con l’abolizione della proprietà privata (e dell’uomo) bolscevica.
A distanza di quasi un secolo da quelle analisi chestertoniane sembra incredibile che ci troviamo, senza soluzioni, nelle medesime o, forse, peggiori condizioni: “Il capitalismo ha fatto tutto ciò che il socialismo minacciava di fare…ogni qual volta il capitalista diventa un idealista, e soprattutto quando diventa sentimentale, immancabilmente parla come un socialista”. Alludendo all’immagine tratta dai racconti delle Mille e una notte, Chesterton riferiva che al Gran Sultano del Capitalismo erano molto gradite le favole via via raccontate dalle utopie totalitarie, dal social comunismo all’anarchismo, dal liberalismo al populismo. Con queste favole orribili (basti pensare ai milioni di morti disseminati negli anni dei gulag sovietici) il Gran Sultano del Capitalismo conciliava il sonno! Chesterton denunciava in quegli anni il bluff dei grandi magazzini: “Credo che il grande negozio sia un pessimo negozio. Lo ritengo pessimo in senso morale e commerciale. Credo che quegli empori giganteschi siano non solo volgari e insolenti, ma anche incompetenti e sgradevoli”.
Egli riteneva che, nonostante la falsa facciata del progresso democratico, nel mondo moderno fossero pochissime le cose ancora libere. I colori naturali erano stati falsati dalle ammiccanti luci artificiali, gli spazi erano stati riempiti dagli invadenti cartelloni pubblicitari e tutto per la cosiddetta “anima commerciale”: “L’iniziativa è dalla parte del nemico. E’ lui che si è già messo all’opera, e avrà già fatto molto, prima che noi riusciamo ad attivarci, per il semplice fatto che ha i soldi, le macchine, una maggioranza e altri vantaggi…il nemico ha quasi terminato una conquista monopolistica”. Come rispondere, si chiedeva il grande scrittore londinese, a questo terribile disastro ?
“Se un uomo desidera un giardino di fiori, pianterà fiori dove può e soprattutto dove contribuiranno al carattere generale di un giardino. Ma i fiori non ricoprono completamente il giardino, lo riempiono solo di colore”. Con questo apologo Chesterton indicava come sarebbe stato necessario riappropriarsi di quel senso comune e di quella buona ragione che avevano i nostri padri quando difendevano la loro terra e le loro tradizioni. Egli rammentava che la proprietà era come un deposito che ci era affidato dalla Provvidenza per il bene comune e che avremmo dovuto, un giorno, render conto a Dio dell’uso che ne avremmo fatto. Per Chesterton il Gran Sultano del Capitalismo intrecciava la propria rete, la propria ragnatela attorno a tre nozioni disumane e aberranti: impersonalità, irresponsabilità, irreligiosità.
Contro la ferocia dissennata della finanziarizzazione dell’economia e dell’omologazione del pensiero bisognava reagire: “Ciò che non va nell’uomo della città moderna è il suo ignorare il perché delle cose; ed è per questo che può essere dominato da demagoghi e despoti. Egli non sa da dove vengono le cose…le menti degli uomini non sono così simili come le automobili, o come i giornali del mattino. In altre parole, non stiamo tirando fuori il meglio degli uomini. E dubito che riusciremo mai a farlo, se prima non interrompiamo questo assordante frastuono di megafoni che copre le loro voci, questo bagliore micidiale di riflettori che smorza i colori della loro carnagione, quest’urlo forte e lamentoso con cui si ripetono banalità che stordiscono e bloccano le loro menti”.
Egli ci stava ricordando il monotono e terribile deserto di standardizzazione verso il basso dove stavamo precipitando. Era tutto ciò che il Gran Sultano preferiva non sentire, desiderando addormentarsi con qualche favoletta divertente. In quel modo il Capitalismo poteva conciliare e perpetuare il suo lungo sonno.

giovedì 3 marzo 2016

La scuola e la cultura a Cosenza per Pirandello

Gli Istituti scolastici di Cosenza e la Biblioteca Nazionale (del Mibact) diretta da Elvira Graziani celebrano gli 80 dalla morte di Luigi Pirandello con un Convegno nazionale affidato alla Lectio magistralis di Pierfranco Bruni e a una Mostra Bibliografica. L’evento si svolgerà nel Salone della Biblioteca il prossimo lunedì 29 gennaio alle ore 11-30. I lavori saranno aperti dalla Direttrice della Biblioteca Elvira Graziani. Pirandello. Nostro contemporaneo. Il classico e la parola. La lingua nella poesia e nei processi storici. Sarà il tema conduttore della relazione di Pierfranco Bruni nell’incontro fissato nella Sala Giacomantonio.

mercoledì 2 marzo 2016

Pubblichiamo una poesia di Vittorio Riera

VIVA LA TELEVISIONE!

Primo tempo: Visione d’insieme 3 marzo

È notte fonda
cala il sipario
lo schermo in onda
ora è più vario.
Non s’ode foglia
nemmeno il vento
or ci si spoglia
a cuor contento.
Alta è la voglia
ma tutto è frusto
bassa è la soglia
d’ogni buon gusto.
Questa l’offerta ai poverelli.
Viva la tele sporcacervelli!

martedì 1 marzo 2016

Da sempre la famiglia e' stata “maltrattata” dalla politica italiana.

di Domenico Bonvegna

Sia nella prima Repubblica con i numerosi governi democristiani, che nella seconda, con i governi Berlusconi, la famiglia non ha mai ricevuto aiuto, anzi è stata sempre trascurata se non addirittura attaccata. Ormai sono oltre quarant'anni che Alleanza Cattolica, agenzia cattolica che studia e diffonde il Magistero della Chiesa, cerca di impegnarsi nella difesa della famiglia tradizionale, composta da un uomo e una donna. E' stata proprio Alleanza Cattolica nel 2013 con un Manifesto di 5 punti ad allertare per prima l'opinione pubblica contro la legge liberticida il ddl Scalfarotto sull'omofobia e poi sul ddl Cirinnà. Chi scrive è stato impegnato fin dagli anni giovanili, gli anni 70, nella battaglia per il referendum contro il divorzio, quando in parrocchia insieme ad altri giovani si pubblicava “Il Campanile”, un ciclostilato ben nutrito di articoli dove quasi sempre si sottolineava il ruolo e la fondamentale importanza della famiglia nella società.
La battaglia in difesa della famiglia contro i nuovi attacchi dell'ideologia del Gender continua ancora oggi, anche se non ero presente al grande raduno del Family Day al Circo Massimo, non sono mai mancato a nessun appuntamento delle “Sentinelle in piedi”, qui a Milano.
Nell'ultimo numero de La Roccia il direttore Marco Invernizzi, denuncia il poco impegno della politica italiana negli ultimi vent'anni nei confronti della famiglia, in modo particolare i dieci anni di governo Berlusconi, che ha avuto certamente dei meriti come il superamento delle ideologie e quello di mettere insieme le forze politiche anticomuniste, sconfiggendo la sinistra postcomunista. Lo sdoganamento di alcuni aspetti del bene comune, vedi il principio di sussidiarietà e il primato della società sull'invadenza dello Stato, la libertà di educazione restituita alle famiglie, con la possibilità di scegliere la scuola per i propri figli. Infine una politica estera di alto profilo, che ha collocato l'Italia a fianco dell'Occidente senza ambiguità terzaforziste. Tuttavia nonostante abbia governato per tanti anni, Berlusconi,“non è riuscito a realizzare quasi nulla del suo programma, a cominciare dall'abbassamento delle tasse, che forse ha rappresentato l'aspetto più rilevante del suo programma elettorale”.(M. Invernizzi, Dal Berlusconismo al Renzismo. Vent'anni senza famiglia, Gennaio-febbraio 2016, La Roccia).
Anche se per la verità nel ventennio berlusconiano i principi del diritto alla vita e della centralità della famiglia hanno goduto di un periodo di tranquillità rispetto agli altri Paesi occidentali. Scrive a questo proposito Invernizzi: “All'Italia sono state risparmiate leggi come quella sull'omofobia, sui matrimoni gay, sull'abbreviazione dei tempi del divorzio, sull'eutanasia e sulla droga, e questo nonostante la nota anarchia sui valori che caratterizza il Cavaliere, cosa che non gli ha impedito di schierarsi dalla parte di vita e famiglia nei momenti chiave, come in occasione della vicenda relativa alla povera Eluana Englaro”.
Oggi al centro della politica italiana c'è Renzi, che governa, senza mai essere stato eletto da nessuno, “è un pragmatico come Berlusconi”, hanno molti aspetti in comune, secondo Invernizzi. “Renzi è uno strano politico. Proviene dal mondo cattolico e ama farsi vedere in chiesa, assistere alla Messa e fare la Comunione, ma il suo governo ha fatto più danni contro i principi del diritto naturale di quanto avvenuto nei vent'anni precedenti”. Per certi versi, assomiglia molto a quei cattolici “adulti”, che non erano e non sono conformi alla dottrina sociale della Chiesa, come  l'ex presidente Romano Prodi.
Ritornando al sostegno della famiglia, è chiaro che “ha ricevuto poco o niente, sia dai governi di centro-destra, sia con quelli di centro-sinistra. Non è stata promossa - scrive Invernizzi – nel senso che non è stata messa al centro della politica governativa(...)”. Nonostante nel 2007, il popolo della famiglia sia sceso in piazza a Roma con 1 milione di persone, la famiglia ha continuato ad essere ignorata, anzi le forze rivoluzionarie hanno progressivamente accelerato la lotta contro di essa, con la diffusione dell'ideologia gender, per la quale l'essere uomo o donna non sarebbe fondamentalmente determinato dal sesso, ma dalla cultura. Così i media, in mano alle lobby gay e laiciste hanno cominciato a parlare di famiglie, al plurale, per preparare gli italiani alla legge sulle unioni civili fra persone con tendenze omosessuali equiparandole alla famiglia o addirittura per permettere, sempre a queste coppie l'adozione di bambini.
Attenzione, nonostante tutta questa avversità del potere politico, culturale e mediatico, la famiglia continua ad avere il consenso della maggioranza degli italiani. Lo si è visto alla manifestazione del 30 giugno in Piazza San Giovanni a Roma e infine quella del 30 gennaio scorso al Circo Massimo dove hanno partecipato almeno 2 milioni di persone per dire No al ddl Cirinnà. A questo proposito occorre sottolineare un aspetto, al Family Day del 2007, in piazza c'erano molti politici, tutta l'opposizione del Centrodestra, nelle ultime manifestazioni, in piazza con le famiglie, ci sono pochi parlamentari, neppure supportati dai rispettivi partiti. Sia Berlusconi che Renzi, sembrano favorevoli alle unioni civili e omosessuali, probabilmente, entrambi “preferirebbero occuparsi d'altro, ma non hanno né la voglia né la convinzione di stare con la famiglia”.
Un altro aspetto importante da sottolineare è il comportamento della Chiesa nei confronti di queste manifestazioni. Se nel 2007, i vescovi hanno promosso il Family day, ora non più, tanto meno il Papa, basta con i “vescovi pilota”, i laici devono fare da soli. Diverse discussioni sono emerse dalle conferenze stampa di Papa Francesco al ritorno del viaggio dal Messico. E' opportuno chiarire se e come il Papa o i vescovi devono intervenire sulle questioni politiche o morali. Lo faremo in un prossimo intervento.
Per concludere, se vogliamo combattere la “buona battaglia” in difesa della famiglia, dobbiamo essere consapevoli che in questo momento,“L'Italia si trova di fronte a una battaglia epocale fra chi vuole una civiltà fondata sulla famiglia e chi vuole smantellare questa civiltà, animato da un profondo risentimento verso l'istituzione cardine della vita e dell'educazione”. Scrive il professore Invernizzi, “l'odio contro la famiglia viene da lontano e viene dal sogno di 'ricreare' il mondo in modo diverso da quello fatto da Dio, giudicato imperfetto e inadeguato”.
Non si può non fare riferimento al 1968, dove l'ideologia politica rivoluzionaria si è collegata a quella sessuale, attraverso la cosiddetta “liberazione della donna dalla procreazione e del rifiuto della comunione in nome della dialettica fra i sessi”. Poi è arrivato il gender, con la rivoluzione dell'identità sessuale, che viene negata all'origine perchè non si nasce maschi e femmine, ma si diventa”. Pertanto la natura non è più al centro della società, da questo momento tutto è possibile, così la famiglia non è più necessaria, neppure per trasmettere la vita, che può essere creata altrove. Intanto come lettura correlata finale vi invito a leggere gli ultimi dati Istat, del crollo delle nascite del 2015 in Italia, con il più alto picco di decessi dal Dopoguerra (+9%)!Ma i problemi VERI e URGENTI all'ordine del giorno sono altri: stepchild, matrimoni "gay", divorzi "fast" o magari liberalizzazione delle droghe leggere...E intanto la dea Nemesi chiede il conto. O forse no. Forse é proprio l'Occidente malato e vuoto di senso ad avere capito che ormai è buon gusto suicidarsi.