venerdì 23 marzo 2018

Toolbox Invito alla lettura e Reading Literacy: le buone pratiche di lettura internazionali


Vi segnaliamo due importanti appuntamenti destinati a insegnanti, educatori e genitori.
Toolbox Invito alla lettura
Il Centro per il libro e la lettura e Rai Cultura presentano alla “Bologna Children’s Book Fair” la nuova serie del programma “Invito alla lettura”, dedicato ai temi di base e alle attività di promozione della lettura internazionali che sostengono i ragazzi a crescere come lettori indipendenti. Un lettore indipendente matura delle preferenze di lettura ed è in grado di scegliere i libri in autonomia. L’adolescente diventa così parte attiva nel processo di lettura: un lettore che formula domande, si confronta con i suoi pari e sviluppa un pensiero critico. Il programma si rivolge a insegnanti e educatori e mira ad arricchire le competenze sull’educazione alla lettura. Durante l’incontro saranno proiettati in anteprima dei video con esercitazioni pratiche realizzate con insegnanti e ragazzi.
Partecipano: Gianfranco Noferi (vicedirettore RAI Cultura); Romano Montroni (Cepell); Tiziana Mascia (autrice del programma).
28 marzo ore 10:30, Sala Notturno

La Reading Literacy: le buone pratiche di lettura internazionali
Il Centro per il Libro e la Lettura continua il suo lavoro di ricerca per individuare le migliori pratiche di lettura su base internazionale. Con il contributo di esperti e studiosi di lettura,  responsabili di progetti europei "EU High Level Group of Experts on Literacy" e "ELINET European Literacy Network”, si introdurranno le linee guida di promozione della lettura per i diversi target di età: prima infanzia, bambini e adolescenti. Si parlerà dell’evoluzione della lettura in Europa e della ricerca sulla formazione continua degli insegnanti nell’ambito della Reading Literacy.
Partecipano: Flavia Cristiano (Centro per il Libro e la Lettura), Renate Valtin (Humboldt University Berlin), Christine Garbe (University of Cologne), Tiziana Mascia (Libera Università di Bolzano).
28 marzo ore 11:30, Sala Notturno

Per entrambi gli appuntamenti, su richiesta, verrà rilasciato un attestato di frequenza in quanto incontro valido ai fini della formazione del personale docente della scuola (L. 107/2015 Art. 1, c. 124) erogato da Ente di per sé qualificato (Direttiva MIUR 170/2016, art. 1, c.7).
Vi aspettiamo numerosi!
N.B. Il presente invito non dà diritto all'ingresso alla Fiera di Bologna, per le modalità di accesso consultare il sito della Bologna Children's Book Fair.




ARTE ULTIMA / ANTICO FUTURO Arte Fantastica e Richiami dell’Origine


Il titolo dell’imperdibile evento richiama strettamente le ultime pubblicazioni di un artista, saggista e performer di calibro internazionale – Vitaldo Conte Docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Sulla scena artistica e culturale da decenni, animato da verve sperimentale e riconosciuto tra i massimi studiosi di Futurismo e Dada, Vitaldo Conte torna a Brindisi dopo il successo conseguito con la performance e l’esposizione alla prima edizione di I linguaggi della Sperimentazione, contest artistico-culturale ideato e curato da Carmen De Stasio e promosso dal Lions Club di Brindisi nel 2014.
All’insegna di «Scritture, Esposizione, Immagini, Video, Suoni e Make-Up Art», l’happening è occasione per rigenerare e potenziare nella suggestiva cornice di Bastioni San Giacomo la mise en scène di successo di pubblico e critica alla XXII Edizione della Città del Libro a Campi Salentina. Vitaldo Conte, infatti, autore di Arte Ultima e Antico Futuro, vedrà al suo fianco il consolidato team artistico-culturale già presente presso la Città del Libro: Carmen De Stasio, studiosa del linguaggi artistico-letterari contemporanei, saggista e critico, nonché Co-Direttore Artistico Ass. Cult. Porta d’Oriente; Gioacchino Palma, Docente del Conservatorio Tito Schipa di Lecce, Musicologo e Direttore Artistico del Festival Bande a Sud, diventato negli ultimi anni appuntamento fisso per conoscere il folklore musicale del Salento; Cosimo Valzano, studioso e Componente del Consorzio Valle della Cupa che riunisce i Comuni del Nord Salento. Per finire, l’Artista Tiziana Pertoso, la quale darà vita a performance di Make-Up Chance – con Ilaria e coordinerà l’intervento musicale-rumoristico della White Noise Band da lei diretta e formata dai ragazzi della Scuola Sec. I.C. ‘P. Impastato’ Polo 1 di Veglie.
Introdurrà l’evento Antonia Acri, Artista e Presidente dell’Associazione Culturale Porta d’Oriente.


giovedì 15 marzo 2018

Ernesto Maria Ponte e Clelia Cucco al Teatro Agricantus di Palermo



Amici e guardati recita un vecchio detto palermitano che invita a cautelarsi proprio dalle persone più care. Dall’amicizia all’amore il passo è breve e spesso ci si trova a doversi difendere proprio dalla persona che amiamo e con la quale abbiamo deciso di trascorrere tutta la vita. E quando abbiamo promesso a noi stessi di non ricaderci mai più, ecco che ci innamoriamo di nuovo, magari di una persona che alla fine avrà gli stessi identici difetti della precedente. Un monologo in cui Ponte analizza gli amori che si incontrano nella vita da quelli giovanili a quelli maturi che come denominatore comune hanno l’incoscienza e la voglia di vivere. L’amore osservato da diversi punti di vista su cui primeggia quello comico.



Altari e tavole di S. Giuseppe in Sicilia


lunedì 19 febbraio 2018

Presentazione del volume di Cristina Battocletti, "Bobi Bazlen. L'ombra di Trieste", venerdì 23 Febbraio al Museo Internazionale delle Marionette di Palermo




Grazie a lettere, documenti mai visti e nuove testimonianze Cristina Battocletti compone un ritratto inedito del fondatore di Adelphi, Bobi Bazlen, partendo da Trieste, dove è nato nel 1902: la scoperta di Svevo, di Kafka e Musil, il carteggio inedito con Pier Antonio Quarantotti Gambini, i retroscena del legame reciso con il poeta Umberto Saba e la figlia Linuccia. L'ombra lunga di una città, che ha lasciato un segno indelebile nell’uomo che ha cambiato il volto della cultura europea del '900.
"Bobi Bazlen è un nome astruso, sconosciuto ai più, e pur con quel cognome poco italiano è stato uno degli uomini che maggiormente hanno influenzato la cultura del nostro paese nel dopoguerra. Sfuggente, misterioso, è rimasto un’icona nell’ombra” così inizia la ricognizione di una delle figure che hanno dato avvio al Novecento, fondatore assieme a Luciano Foà di Adelphi, consulente di Einaudi e delle più importanti case editrici italiane. 
Cristina Battocletti,  grazie all’accesso a centinaia di documenti inediti e privati, racconta come Bobi Bazlen (Trieste 1902 - Milano 1965) sia all’origine della scoperta di Italo Svevo e della pubblicazione di molta letteratura mitteleuropea fino ad allora sconosciuta, tra cui Franz Kafka e Robert Musil. Capace di leggere indifferentemente in tedesco, italiano, inglese e francese indovinava il valore dei libri in base al fatto che avessero “il suono giusto”. Affascinato da oroscopi e mappe astrologiche, aveva una cultura vastissima che si spingeva fino all’antropologia e all’arte primitiva. Di madre ebrea e padre cristiano evangelico, da adulto abbracciò il taoismo e le filosofie orientali. Imprendibile, misterioso, bizzarro anche nel vestiario, è rimasto sempre nell’ombra. Chi era dunque, Roberto, Bobi, Bazlen? Perché ha lasciato fantasmi irrisolti? Perché era amato da tanti, come la poetessa Amelia Rosselli, e avversato da altri, come il regista Pier Paolo Pasolini e lo scrittore Alberto Moravia? Una vita piena di passioni, amicizie profonde e frequentazioni di intellettuali come Elsa Morante, sofferenze, sullo sfondo della grande storia del Novecento. Dalle mattinate passate nella bottega di Umberto Saba al dialogo ininterrotto con Eugenio Montale, alle correzioni alle poesie del Nobel Eugenio Montale, all’avventura della psicoanalisi, con Edoardo Weiss e Ernst Bernhard, di cui fu uno dei primi pazienti. Questo libro racconta un Bazlen inedito, partendo da Trieste che lasciò a 32 anni senza farvi (forse) più ritorno. 
Cristina Battocletti, nata a Udine, è vice responsabile della “Domenica” del Sole 24 Ore. Critica cinematografica, ha pubblicato il suo primo testo, selezionato al Grinzane Cavour,  nei "Racconti del sabato sera" (Einaudi, 1995). Ha scritto a quattro mani la biografia di Boris Pahor, "Figlio di nessuno" (Rizzoli, 2012), Premio Manzoni come miglior romanzo storico. Nel 2015 ha pubblicato il romanzo "La mantella del diavolo" (Bompiani), che ha vinto il Premio Latisana per Il Nord Est ed è stato finalista ai Premi Bergamo, Rapallo e Asti.

domenica 18 febbraio 2018

Baron Corvo e la solitudine del granchio: un’introduzione a “Nicholas Crabbe”

di Luca Fumagalli

Nel 1908, partendo per Venezia, lo scrittore inglese Frederick Rolfe “Baron Corvo” (1860-1913) tralasciò di mettere in valigia la bozza di Nicholas Crabbe – sottotitolato The One and the Many – un romanzo che aveva scritto nei duri anni londinesi, tra il 1900 e il 1904, e su cui nessun editore aveva voluto scommettere. Ispirato alla vita dell’autore e giudicato diffamatorio per i palesi riferimenti a illustri personaggi dell’epoca, venne pubblicato solamente nel 1958 dalla Chatto & Windus, quando ormai non vi era più pericolo di ledere l’onorabilità di nessuno.
Il libro racconta la storia di Nicholas Crabbe, uno scrittore che, con qualche soldo in tasca, si lancia alla conquista della fama letteraria nella Londra dei primi anni del XX secolo. Le sue aspettative vengono però frustrate dall’incontro/scontro con un mondo viscido, fatto di promesse, pacche sulle spalle e puntuali delusioni: «Non c’è verità, onore o giustizia da nessuna parte nella Londra della letteratura». Gli editori Harland (Sydney Thorah), Lane (Slim Schelm), Richards (Doron Oldcastle) e Temple Scott (Church Welbeck) sono gli ideali antagonisti di un uomo in lotta per la sopravvivenza, costretto a dar fondo ai risparmi per non morire di fame. Una tenue speranza ritorna a illuminare le sue giornate quando Crabbe incontra il giovane Robert Fulgensius Kemp, uno spirito solitario e sofferente, che egli accoglie come coinquilino in casa sua. Scrivono insieme racconti e articoli, ma la loro collaborazione, iniziata sotto i migliori auspici, fallisce miseramente nel giro di poche settimane. Abbandonato dall’amico, che tradisce il proprio benefattore, Crabbe rimane, citando il cardinal Newman, «solo e nudo – tutto solo con La Solitudine».
Nicholas Crabbe, il romanzo del disappunto di un uomo, ripercorre con precisione diaristica i momenti più importanti vissuti da Rolfe tra il 1899 e il 1903. I nomi vengono alterati deliberatamente, non senza una punta di malizia, avvolgendo di compiaciuta allegoria le travagliate vicende legate alla pubblicazione di lavori come In His Own Image e Cronache di casa Borgia. Né mancano di comparire, tra gli altri, il pittore Trevor Haddon (The Painter), l’agente Stanhope Sprigge (Vere Perkins) e l’ex sodale Sholto Douglas, ispiratore di Kemp.
Il lavoro di rielaborazione del narratore, che nella finzione utilizza le carte lasciategli da Crabbe, un amico di Rose (protagonista di Adriano VII), è minimo, tanto che il racconto reca ancora nella sua impostazione tracce della sua derivazione da un racconto-diario-testimonianza». La trama acquista forma drammatica senza che venga alterato alcunché, non rendendo necessario intervenire su quelle parti evidentemente disarmoniche e sproporzionate (come il settimo capitolo, costituito interamente da una breve citazione di Carlyle). Inoltre non mancano lettere veramente scritte e inviate da Corvo a conoscentie collaboratori, riproposte nel libro in chiave fittizia.
Il nome del protagonista deriva da quello del nonno paterno di Rolfe, mentre il cognome dal suo segno astrologico, il Cancro. Crabbe è esso stesso metafora del granchio eremita: il carapace esterno, duro come il diamante, cela un interno tenero, facilmente urtabile. Sebbene Crabbe vanti diversi punti in comune con Baron Corvo e sia più autobiografico rispetto al Rose di Adriano VII, compresi talenti ed eccentricità, non può tuttavia essergli perfettamente sovrapposto. Negli altri romanzi in cui appare, The Weird of the Wanderer e Il desiderio e la ricerca del tutto, Crabbe muta ogni volta personalità, una distanza che va a sommarsi ad altri particolari come la quasi totale assenza in Nicholas Crabbe di riferimenti alla religione, una componente imprescindibile nella vita di Rolfe.
Per di più Crabbe è un debole, un anti-eroe maledettamente moderno, incapace di venire a patti con la propria inconsistenza. Il suo idealismo romantico, retaggio di un passato in cui la cavalleria contava ancora qualcosa, lo rende incapace di incontrare le esigenze di un mondo che è prono alla logica del profitto. Non sa cambiare, non sa adeguarsi alle circostanze; come il granchio è ancorato alle sue fragili convinzioni, disposto a soffrire stoicamente pur di non rinunciare a un immutabile se stesso. Il rifiuto di ogni azione e il mutismo sono manifestazioni esplicite di chi, al di là delle apparenze, avverte un senso di inferiorità e spera di trovare rifugio nella misantropia. Il bohemiendecadente perde ogni velleità titanica per trasformarsi nell’inetto della letteratura modernista: «Vivere, come faceva, interamente in se stesso e nel passato, gli dava una vetusta abitudine mentale. Di conseguenza le sue progressioni erano sempre laterali e in qualche modo lente».
In questo vortice distruttivo, che non risparmia niente e nessuno, anche l’ “amico divino”, l’incontro provvidenziale «che era musica per la mente e l’anima», si svela vile e crudele come quel mondo da cui aveva promesso di difendere il protagonista. Se Rose è lo spirito libero e trionfante che celebra in Adriano VII la sua vittoria, Crabbe è la carne martoriata e imprigionata che lamenta il fallimento totale. Il sogno paranoico di rivalsa si trasforma qui in un incubo di reiterata sconfitta, nelle agonie di uno scrittore che fallisce sia nella ricerca del successo che in quella dell’amicizia.
Pur volendo rappresentare un racconto, un rifiuto del sensazionale e del melodrammatico, talora un tentativo di umile autocritica – «Ti ricordi cosa disse una volta George Arthur Rose riguardo al mio sapere? Sa tutto quello che si deve sapere su un pugno di cose astruse e inutili, e niente di tutto il resto» – nel finale, in cui si sottintende un parallelo con la passione di Cristo, Nicholas Crabbe vi scivola irreparabilmente, perdendo di credibilità.
A risollevare le sorti del romanzo, meno compatto rispetto ad Adriano VII proprio per il suo tentativo di distaccarsi dalla favola del riscatto e del trionfo, rimangono le deformazioni dei personaggi, storpiati come i loro nomi, immersi in un’atmosfera proustiana e condannati a gesti vuoti e ripetitivi. Le pagine sono pervase da un’amara ironia che si associa, il più delle volte, a scelte linguistiche nonsense e all’impiego di mezzi espressivi alternativi quali, per esempio, l’uso del corsivo (che anticipa Firbank e Waugh).
Comparare il romanzo a New Grub Street di George Gissing o a testi che raccontano una storia simile con maggiore potenza sarebbe dunque un grave errore. Nulla toglie al fascino tutto rolfiano della storia, il canto del cigno di uno scrittore incompreso giunto ormai all’autunno della vita.

sabato 17 febbraio 2018

Il fascino di Thomas More secondo R. H. Benson

citazioni a cura di Luca Fumagalli

«E che cosa pensate voi della Holy Maid?»[1] chiese Ralph puntando risolutamente al nocciolo dell’inchiesta. Sir More s’arrestò, piegò un tantino il capo da un lato come un cane intelligente e guardò il suo compagno con occhi scintillanti.

«È un argomento delicato», disse, e riprese a passeggiare.

«Questo è ciò che mi rende perplesso», ribatté Ralph. «Non vorreste manifestarmi la vostra opinione, Sir More?» Ci fu di nuovo silenzio, mentre raggiungevano il limite estremo della galleria e si voltavano di nuovo.

«Se non mi aveste risposto con tanta vivacità e audacia a pranzo, Sir Torridon, non avrei potuto fare a meno di ritenere come sospetta questa vostra visita. Ma una testa così valente non può essere alleata di un cuore perverso, e vi dirò ciò che penso». Ralph provò una sensazione di trionfo, e nessuna di rimorso.

«Ve lo dirò», continuò More, «ma sono sicuro che manterrete il segreto. Io credo che sia una buona donna, soggiogata dalle proprie fantasticherie». A Ralph vennero di nuovo meno le forze. Questa risposta non era affatto compromettente.

«Non dico che sia una fattucchiera, come pensano taluni, ma, riferendomi a quello che abbiamo detto or ora, credo che abbia un occhio largo e luminoso senza una mano proporzionata. Essa ha molte visioni ma pochi fatti. Quella storia dell’ostia che le fu portata da Calais dagli angeli per me è una sciocchezza. Dio onnipotente non compie dei miracoli senza motivo e per questo non ne ha nessuno. Il Santissimo Sacramento è lo stesso a Dover come a Calais. E una donna che può sognare quello, può sognare qualsiasi cosa, poiché son sicuro che essa non lo ha inventato. Perciò anche in altre cose può sognare ed è per questo che vi ripeto che è meglio che non pensiate a lei nei riguardi di vostro fratello. Essa non è né una profetessa né una pitonessa». La risposta era quanto mai insoddisfacente e Ralph cercò di rimediare.

«E circa la morte del re, Sir More?»

Questi si arrestò di nuovo.

«Sentite, Sir Torridon, credo che sia meglio lasciare da parte questo argomento», disse un po’ seccato. Ralph, accorgendosi della propria temerità, ritirò il labbro inferiore mordendoselo fortemente.

«Spero che vostro fratello sarà molto felice», proseguì l’altro dopo un momento; «anzi, sono sicuro che lo sarà, se la chiamata viene da Dio, come propendo a credere. Anch’io, come sapete, sono stato per quattro anni in un chiostro e qualche volta mi pare che avrei dovuto rimanervi. È una vita beata. Io non invidio molta gente ma invidio costoro. Vivere con l’ininterrotta compagnia di nostro Signore e dei santi, conoscere i Suoi segreti – secreta Domini – anche i segreti della Sua passione e le ineffabili gioie che scaturiscono dal suo dolore, è una sorte fortunata, Sir Torridon. Talvolta penso che come è per il corpo naturale di Cristo, sia pure per il suo corpo mistico: che ci siano delle membra, le Sue mani, i Suoi piedi e il Suo fianco, in cui siano inflitti i chiodi, quantunque non ci sia una parte sana in tutto il corpo, inglorius erit inter viros aspectus eius, nos putavimus eum quasi leprosum[2], ma che quelle parti del Suo corpo che soffrono di più siano pel fatto stesso più onorate e più felici delle altre. Chi se non i monaci, possono essere quelle felici membra?»

Parlava con molta solennità, con voce leggermente tremula e i benevoli occhi rivolti in basso; Ralph lo osservava da un lato con una certa meraviglia mista a pietà. L’aspetto di Sir More era così naturale che Ralph credette di aver valutato troppo la propria temerità.

martedì 23 gennaio 2018

Il FiuggiStoria sbarca in Sicilia. Premiato Carmelo Fucarino

A Carmelo Fucarino, delegato per la Sicilia della Fondazione Levi Pelloni, e al suo libro “ Il Genio Palermo. Vita, morte e miracoli di un Dio”, il riconoscimento la 'Menorah di Anticoli' nell'ambito della VIII edizione del Premio Fiuggi Storia. La cerimonia, che si terrà a Roma, martedì 23 gennaio, presso la Pontificia Università Antonianum (Via Merulana, 124), avrà tra gli altri ospiti Piero Angela, Mauro Canali, Corrado Stajano, Silvia Cavicchioli, Adam Smulevich, Eliane Patriarca, Roberto Mario Cuello, Silvana Cirillo e l'inviata de “La Stampa” Francesca Paci. Un riconoscimento verrà assegnato anche allo Stato Maggiore dell'Esercito per i quattro calendari (2015, 2016, 2017, 2018) dedicati alla Grande Guerra.

giovedì 18 gennaio 2018

L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico

di Fabio Trevisan

Nel saggio letterario su Robert Browning (1812-1889) del 1903, Chesterton sin dal primo capitolo perorava l’età medioevale quale baluardo della ragione contro il razionalismo moderno (che rappresentava la decadenza ideologica della logica), come rinveniva in particolare nel Paracelsus di Browning: “Nel personaggio di Paracelso, Browning desiderava raffigurare i pericoli e le delusioni che attendono l’uomo che crede solo nell’intelletto. Desiderava illustrare la caduta del logico”.
Credo che sia abbastanza semplice collegare questo pensiero a ciò che Chesterton esprimerà successivamente e paradossalmente in Ortodossia del 1908: “Il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma quello che ha perso tutto, tranne la ragione”. Uno dei bersagli favoriti di Chesterton era infatti la “testa” del logico, del razionalista, tanto che il personaggio di Innocent Smith nel romanzo Uomovivo era raffigurato appunto con una testa piccola e sproporzionata rispetto al resto del corpo. Il bersaglio era quindi il razionalismo dell’età moderna e la salvaguardia della logica medioevale: “La tradizione del Medioevo è il periodo più interamente e perfino dolorosamente logico che il mondo abbia mai conosciuto”. Chesterton, anche nei saggi letterari, continuava a porre a confronto la tradizione medioevale all’età moderna e desiderava difendere la logica dalle accuse ingiuste e ingiustificate: “La vita moderna accusa la tradizione medioevale di stritolare l’intelletto; Browning accusa quella tradizione di glorificarlo oltre misura”. Inutile dire da quale parte stesse Chesterton in quella disputa “intellettuale”.
Alcuni appassionati chestertoniani ritengono, come il sottoscritto, che i saggi letterari di Chesterton su Dickens, Blake, Browning, Chaucer, Shakespeare e altri costituiscono le opere più significative, più profonde del grande scrittore inglese. Chesterton infatti non era soltanto un avido lettore (in alcune biografie su di lui si parla che avesse letto più di 10.000 libri) ma un cultore fine di letteratura, che amava approfondire tutte le questioni più controverse nell’interpretazione delle poesie e dell’intera opera di ogni singolo autore che trattava. Si scontrava spesso con opinioni parziali e riduttive che osteggiava con la sua competenza, diremmo oggi, “professionale”. Partiva sempre da ciò che pensavano gli altri, dimostrandone le lacune e presentando un suo concetto di insieme che sovente sbalordiva e induceva alla riflessione e alla ponderatezza, come nel caso dell’interpretazione di Browning: “L’intera nostra opinione su Browning è destinata ad essere del tutto differente, e io ritengo del tutto falsa, se partiamo dall’idea che egli fosse ciò che i francesi chiamano “un intellettuale”…la sua concezione di sé non fu mai quella dell’intellettuale. Piuttosto si considerava un gagliardo e tenace combattente”.
Tenendo ferme le categorie di “intellettuale” (della modernità) e di “combattente” (della tradizione medioevale) è deducibile da quale parte stessero Browning e Chesterton. Chesterton vedeva e amava in Browning tutta quella poesia del quotidiano che lo avrebbe ispirato nella realizzazione di alcune sue opere di quel periodo di inizio ‘900, come ad esempio il saggio “The Defendant” oppure “Il Club dei mestieri stravaganti”: L’immaginario di questi poemi consiste, se ci è consentito gettare un rapido sguardo alla poesia d’amore di Browning, di strade suburbane, pagliette, rastrelli da giardino, bottiglie di medicinali, pianoforti, persiane, turaccioli bruciati, pellicce alla moda. Ma con questo metodo nuovo egli espresse pienamente il vero essenziale…la poesia d’amore di Browning è la più squisita poesia d’amore del mondo”. Robert Browning riportava quindi Chesterton a quell’Eden da cui Adamo ed Eva erano stati scacciati, alla constatazione della caduta del peccato originale e a quella santa nostalgia del pellegrino cristiano che venne descritta nelle Avventure di un uomo vivo.
Quella “tradizione della Caduta” (così ben rimarcata in Ortodossia) si innestava nella tradizione medioevale a tal punto da rinvenire nell’Eden del Medioevo un giardino, dove ognuno dei fiori di Dio – verità e bellezza e ragione – fioriva e ognuno aveva il proprio nome.

Matematici e scienziati uniti dalla fede

di Domenico Bonvegna

In una incisione del XVII secolo, viene raffigurato Galileo Galilei in una tetra prigione cui era stato condannato dal papa per aver scritto che la terra gira attorno al sole. E' un falso, perché Galileo non trascorse neppure un solo giorno in prigione. L'incisione farsa è pubblicata nel libro,“False testimonianze”, dal significativo sottotitolo:“Come smascherare alcuni secoli di storia anticattolica”, di Rodney Stark, sociologo delle religioni, pubblicato dalla casa editrice Lindau di Torino (2016).
Nel settimo capitolo,“Eresie scientifiche”, Stark sostiene che la stragrande maggioranza degli esponenti della cosiddetta “Rivoluzione scientifica” erano dei credenti, cristiani e perfino preti della Chiesa cattolica. Ne ha catalogato ben 52, tra questi luminari, solo uno era scettico, “ateo”. Per quanto riguarda Galileo, finì nei guai non per la sua scienza (l'Inquisizione spagnola non proibì mai i suoi libri), ma per la sua doppiezza.
Stark nel testo dimostra che il Medioevo, non era il tempo dei“secoli bui”, anzi in quei secoli è nata la scienza, soprattutto si studiava la filosofia naturale. La maggior parte dei teologi, insegnava anche filosofia naturale, al contrario dei Paesi islamici. Inoltre le università, nate nel Medioevo, gli scolastici studiavano la fisiologia umana, in particolare, la dissezione umana. La rivoluzione scientifica è il prodotto dei secoli precedenti. Infatti,“i grandi successi del XVI e del XVII secolo furono il frutto di un gruppo di studiosi di grande religiosità, che appartenevano a università cristiane, e le cui brillanti conquiste si basavano sull'inestimabile retaggio di secoli di brillante erudizione scolastica”.
Peraltro lo stesso Isac Newton, che viene considerato un grande esponente di quella rivoluzione, era assolutamente serio quando pronunciò la frase: “Se ho visto più lontano è perché stavo sulle spalle di giganti”. E di quei “giganti”, l'opera di Stark ne elenca alcuni.
Sono studiosi scolastici, scienziati, vissuti proprio nel medioevo come Roberto Grossatesta (1168-1253), vescovo di Lincoln, la più grande diocesi inglese. Fu quello che ha inventato il metodo scientifico. Un altro è Alberto Magno (1200-1280) un gigante della teologia, autore di 38 libri. Ruggero Bacone (1214-1294), francescano, indicato come “il primo scienziato”, scrisse l'Opus Maius, un testo stupefacente che arriva a 1.996 pagine. Una “vera e propria enciclopedia che copre tutti gli aspetti della scienza naturale”. In quest'opera per Stark c'erano importanti previsioni su future invenzioni quali microscopio, telescopio e macchine volanti. Un altro studioso è Guglielmo di Ockham (1285-1347), anche lui dell'ordine francescano, e poi altri fino a Nicolò Copernico (1473-1543). Certamente si tratta di un lungo cammino di studiosi che non erano laicisti ribelli.“Non solo si trattava di buoni cristiani, ma tutti erano preti o monaci, se non addirittura vescovi e cardinali”.
Sullo stesso tema, l'anno scorso è stato pubblicato un libro, “Il misticismo dei matematici. Da Pitagora al computer”, edito da Cantagalli (2017), l'autore è Francesco Agnoli, docente e scrittore, collabora con quotidiani nazionali, autore di diversi e e interessanti libri. Il testo mette insieme diversi studiosi di matematica tra i più importanti del mondo occidentale.“I numeri, a quanto pare, dimostrano la presenza del divino nel mondo”.
Agnoli, con il suo notevole stile divulgativo, in soli 140 pagine, ha costruito una piccola enciclopedia sintetica, fatta di brevi ed efficaci schede sulla vita e il pensiero di alcuni immensi scienziati e logici europei, specialmente versati nelle matematiche, ma che hanno ragionato anche di mistica. Il saggio mostra quanto costoro, non furono in nulla atei, laicisti alla Odifreddi o chiusi alla trascendenza e al divino. Anzi il giornalista riscontra un fattore comune in questi scienziati: si caratterizzavano per il loro continuo anelito a conoscere il Creatore.
Sostanzialmente,studiando le leggi di natura, costoro compresero che vi era un Dio creatore, che creò il mondo secondo leggi e formule matematiche. Ci furono matematici, come Pascal, che credettero così al Dio cristiano e altri, come Godel, il noto logico del XX secolo, in un’Entità creatrice, fredda. Praticamente,guardando ai numeri, alla fine hanno scoperto l’Eterno”.
Il testo di Agnoli ristabilisce la verità che non c'è nessuna incompatibilità tra la vera fede e l'autentica scienza, tra la ragione e la religione, tra vero progresso e amore per la tradizione. 
La matematica inizia con Pitagora, e “con lui e in lui è strettamente connessa con una particolare forma di misticismo - ricorda Bertrand Russell - la matematica è, credo, ciò su cui sostanzialmente poggia la fede in una eterna ed esatta verità[...]”. Sono in tanti i nomi della scienza, a ribadire sui media il fondamentale ateismo dei più grandi matematici della storia antica e moderna. Anche noi siamo indotti a credervi: pensiamo che questi grandi “cervelli” fossero dediti ai numeri e alla materia, ignorando completamente la spiritualità.
Il libro di Agnoli ribalta questa prospettiva, svelandoci una verità “scomoda”. Di più, da Keplero a Cartesio, da Pascal a Leibniz, da Cantor a Gödel, i veri mostri sacri del numero furono dei credenti appassionati e appassionanti, e a volte dei quasi-mistici, e lo furono proprio in quanto matematici e profondi conoscitori della realtà fisica-materiale dell’universo.
Agnoli dimostra, proprio attraverso “il misticismo dei matematici” che la scienza non sta mai contro la tradizione, l’etica e la religione, e in tal senso Einstein ebbe ragione nel dichiarare che un tempo verrà in cui gli autentici scienziati saranno le persone più religiose del mondo. Poiché sapranno che al di là dei limiti della conoscenza e della non-conoscenza, esiste la certezza di un ordine trascendente, intuibile da tutti, esauribile da nessuno.
Leggendo la piccola enciclopedia di Agnoli ci sono alcune curiosità interessanti sui vari matematici, come quella scoperta da Keplero, sui fiocchi di neve, che hanno tutti sei punte, mai cinque o sette, tutti diversi, tutti straordinariamente belli e simmetrici. Altrettanto interessante è poi lo studio sugli alveari delle api, delle loro celle esagonali. Qualche perplessità suscita la fede di Cartesio, e il suo “misticismo matematico”. Ma poi c'è l'altro gigante della filosofia e della scienza che Blase Pascal, giovanissimo, per aiutare il padre nel calcolo delle imposte, inventa la prima macchina calcolatrice, la “Pascalina”,il più antico antenato del computer (per questo è considerato il precursore dell'informatica).
Qualcuno di questi scienziati, per opera dei giacobini, ha perso la cattedra, causa la sua fedeltà alla Chiesa cattolica, si tratta di Paolo Ruffini (1765-1822).
C'è posto anche per il più grande matematico del XX secolo, Alexander Grothendieck, (1928-2014), dalla vita quasi romanzesca, nasce a Berlino, figlio di Alexander Shapiro (1890-1942), ebreo russo-ucraino, anarchico-comunista, che ha partecipato ai moti antizaristi del 1905, in seguito  condannato a morte dai comunisti bolscevichi e poi ucciso ad Aschwitz nel 1942.

Alla fine dell'introduzione del libro, si chiede Agnoli: che cos'è la matematica? La matematica “promuove le facoltà sia intuitive che logiche”, sviluppa “attitudini sia analitiche che sintetiche” e determina “abitudine alla sobrietà, precisione del linguaggio” e “gusto per la ricerca della verità”.

mercoledì 17 gennaio 2018

Chi ha il coraggio di fare la rivoluzione o la controrivoluzione nella scuola

di Domenico Bonvegna

Probabilmente il tema dell'emergenza educativa è tra quelli più discussi, ma questo non è bastato a far prendere quei necessari provvedimenti nella scuola e nella società tutta. In queste vacanze natalizie ho letto un testo che si occupa proprio della scuola, dell'educazione, dell'insegnamento, della difficile professione dell'insegnante, dei genitori, delle famiglie. Il titolo del saggio: “Emergenza Educazione. Una sfida per docenti, famiglie e mondo politico, analisi e proposte”, di Roberto Pasolini, con prefazioni di Rocco Buttiglione e Onorato Grassi, edito da Associazione Thomas More di Milano. (2010). Successivamente pubblicato da Elledici.
Il professore Pasolini, è uno dei protagonisti della scuola milanese e nazionale, si prodiga con pazienza educativa, a sviscerare, uno per volta, gli aspetti, grandi e piccoli, delle vicende scolastiche, offrendo, per ciascuno di essi, acute e pertinenti analisi, che certamente il lettore apprezzerà. Il prof propone un testo agile elaborato attraverso la forma dell'intervista predisposta da Luigi Meani, uno strumento utile per le argomentazioni esposte nei cinque capitoli. Un testo dedicato soprattutto a coloro che vivono l'educazione come vocazione e impegno. Il lettore, sia esso insegnante, genitore, allievo o semplice cittadino, troverà non poche informazioni e riflessioni su un mondo che bene o male ha spesso a che fare. Pertanto, riflettere sul tema dell'educazione oggi è necessario, perché “nell'educare si gioca il presente, ma sopratutto si gioca l'avvenire dei figli e delle generazioni future”, scrive Pasolini nell'introduzione.
Ripercorriamo brevemente alcune risposte del professore alle domande poste da Meani. Le riflessioni anche se fatte qualche anno fa, e magari già sentite o lette in altri contesti, sono utili per affrontare l'annosa e spinosa questione educativa.
Nel 1° capitolo Educazione e Scuola”, si affronta il problema internet e come responsabilizzare i ragazzi al suo uso corretto. Questioni aperte di non facile soluzione. Alla“scuola di massa”, alla “scuola gregge”, che abbassa il livello di studio, d'impegno e di conoscenza, il professore lombardo, indica la strada che porta a eliminare“la massificazione degli approfondimenti, puntare sulla diversificazione e sulla valorizzazione come vero stimolo ad un apprendimento capace di creare aspettative. L'utopia del 'tutto uguali' è solo foriera di mortificazioni [...]”. Per Pasolini, bisogna dare “a tutti le indispensabili conoscenze di base, è doveroso puntare sulla personalizzazione e sul progresso negli studi sulla base del merito per dare il giusto stimolo ai capaci e, spesso, far scattare anche qualche effetto fruttuoso di emulazione negli studenti un po' meno bravi”. Il professore insiste:“bisogna avere il coraggio culturale di […]rompere il circolo vizioso, utopistico e per certi versi assurdo, che tutti devono poter lavorare in qualunque posizione professionale, anche se non ne hanno le capacità”.
L'autore del saggio affronta il tema del bullismo, della violenza nelle scuole, delle aggressioni, anche agli insegnanti, degli atti vandalici all'interno delle scuole. Il testo riporta i dati inquietanti di un'inchiesta fatta sulle scuole di Milano e provincia, dove risulta che l'81% degli studenti avverte un pesante disagio al solo pensiero di dover andare a scuola e che il 94,6% del campione dichiara di essere stressato e l'89,6% di essere annoiato. A fronte di questo ampio tragico panorama, la scuola deve rispondere, ma non solo lei. Servono “famiglie capaci di trasmettere e testimoniare valori, politici più credibili ed affidabili [...]”. Sostanzialmente oggi “i giovani non hanno più  riferimenti, mancano gli esempi di persone autorevoli”. Certo la scuola può fare molto, per dare credibilità alla sua funzione, per farla ritornare a quel “luogo di incontri che non si dimenticheranno per tutta la vita”.
Pasolini propone “veri maestri”, a questo proposito, fa riferimento ad un articolo della giornalista Isabella Bossi Fedrigotti: “I nostri figli senza maestri”. La giornalista critica gli errori degli adulti ridotti a proporre come ideali forti, la squadra di calcio, il finire in Tv o un certo tipo di abbigliamento.“Poveri ragazzi, viene da dire, però è questo il piatto che abbiamo preparato per loro, gli esempi che abbiamo fornito, i modelli che abbiamo fabbricato. Ed è un serpente che si morde la coda perché se famiglia, scuola e istituzioni varie oggi si rivelano così deboli, così inascoltate e incapaci di educare è anche perchè per prime sembrano aver smarrito nel tempo le ragioni forti del loro essere. I maestri, insomma, i tanto invocati maestri grandemente scarseggiano perché non credono più al loro magistero”.
Nel 2° capitolo, “Educazione e insegnanti”, si entra nel merito della didattica scolastica, del ruolo dell'insegnante. Il maestro dovrebbe trasmettere agli studenti la passione ad apprendere e ad approfondire la disciplina che insegna. Bisogna combattere,“il graduale appiattimento della classe docente da professionale a classe impiegatizia, mal retribuita, che ha generato un contesto lavorativo privo di stimoli, pieno di demotivazione, oppresso dalla burocrazia, nel quale la sindacalizzazione profonda ha avuto buon gioco, una sindacalizzazione incapace di leggere la reale necessità professionale dei docenti di mettere in atto le giuste strategie e che si limita alla garanzia del posto[...]”.
Tuttavia per l'esperto professore bisogna“valorizzare la professionalità docente, ridarle lo status sociale di primo piano, rimotivare il lavoro dei docenti è indispensabile per ridare slancio a tutto il sistema, per ridare l'entusiasmo di apprendere ai nostri giorni[...] Abbiamo bisogno di ritrovare docenti appassionati e, quindi, capaci di trasmettere interesse ai giovani e far loro scoprire il valore della cultura”. E' evidente che il riconoscimento economico diventa importante se non fondamentale per il docente. Anche se prima forse occorre dare dignità professionale agli insegnanti, e qui Pasolini, ricorda i tempi quando il maestro, al pari del maresciallo dei carabinieri, del medico condotto, del parroco, erano i “pilastri” del territorio.
Nel capitolo si auspica una vera e propria rivoluzione culturale:“occorre ritornare a valorizzare l'eccellenza. Occorre innalzare i livelli medi di apprendimento. Occorre che in ogni scuola possano formarsi gruppi di studenti eccellenti che abbiano loro per primi la passione, di apprendere [...]”. Per il professore, è auspicabile,“rompere il meccanismo dell'egualitarimo, frantumare la convinzione ideologica che giustizia sociale significhi stesso livello culturale per tutti”.
Pasolini affronta la questione del metodo educativo, come “interessare” lo studente allo studio delle discipline. Se gli studenti non rendono, la colpa è dei docenti che non li sanno interessare, è il solito slogan ripetuto dalle famiglie, con lo scopo di difendere i propri figli. Naturalmente il professore è consapevole che tra gli studenti esistono disagi e difficoltà oggettive, originate dalla mancanza di “autostima”, di non volersi mettere in gioco, dalla paura della sconfitta.
A queste mancanze si dovrebbe  intervenire con la didattica personalizzata, abbinata ad un rapporto personale capace di creare fiducia e soprattutto far capire allo studente che si ha fiducia in lui e nelle sue capacità di raggiungere obiettivi come tutti.
In “Educazione e Famiglia”, si affronta l'influenza della famiglia sull'educazione dei ragazzi.
Qui l'autore fa riferimento ai continui richiami del Magistero della Chiesa, in particolare a Benedetto XVI. I ragazzi di oggi sono figli, nipoti di quella generazione del 68, di quella cultura, espressa nel festival di Woodstock, che ha vissuto il forte tentativo di distruggere i valori che per secoli sono stati il punto di riferimento dell'educazione di tante generazioni. Lo storico Renzo De Felice ripeteva spesso che “i danni provocati dal 68' non sarebbero stati rimarginati in meno di cinquant'anni. Il principale prodotto della vittoria dell'ugualitarismo sul merito, infatti, è stato un profondo livellamento verso il basso di studenti e docenti”. Morale: per cambiare la nostra società, ciò che è immobile, non abbiamo alternative: “Dobbiamo abolire il 68”.
Quegli anni secondo Pasolini “hanno avuto un notevole impatto sulla cultura e sui costumi contemporanei e fatalmente si sono insinuati nel modo di pensare, nel modo di agire, nel modo di educare, ed hanno provocato l'inevitabile disgregazione sociale derivante dal non aver neanche cercato di sostituire i valori che si tentava di distruggere, Dio, Patria e Famiglia, con altri che dessero al contesto sociale un valore etico e morale di riferimento”.
Pertanto è evidente che non si può trasferire alla scuola tutta la responsabilità educativa. Il prof affronta la grave questione della inadeguatezza del ruolo educativo dei genitori. E' diffuso all'interno delle famiglie il permissivismo, poca fermezza, c'è un ampio “relativismo etico e morale”, più volte ribadito dal papa emerito Benedetto XVI.
In “Educazione e Società”, si affronta la questione del dare un senso all'educare, un nuovo slancio di passione per educare e soprattutto per lo studio. Per far riacquistare il gusto del “sapere per il sapere”, il gusto per lo studio, anche se questa ipotesi, potrebbe essere utopistica nell'attuale condizione della nostra società.
La scuola di oggi rischia di perdere il suo ruolo fondativo, lo sosteneva la giornalista Ida Magli: “Tutto quello che non so, l'ho imparato a scuola”, e affermava pessimisticamente: “E' passato il tempo, è cambiata la società, è cambiato il modo di vivere e la scuola è rimasta fuori della storia, fuori dalla realtà. Tanti ministri di buona volontà si sono succeduti, ognuno con la propria riforma, ma nessuno ha avuto il coraggio di una RIVOLUZIONE. Per questo il risultato è stato sempre quello che non poteva non essere: terapie su un cadavere”.
In questo capitolo Pasolini, risponde alle domande, forse tra le più significative, fondamentali per la Scuola, per la società. “Perché i ragazzi di oggi riconoscono sempre meno il valore dello studio? Lo studio è fatica, fatica nel leggere, fatica nel comprendere, fatica nel trasferire, fatica nel memorizzare e fatica nel far sedimentare il sapere dentro di sé. Perché per molti giovani sembra essere venuta meno questa necessità che impegnarsi attivamente nell'archiviare conoscenze dentro di sé?”. Potremmo rispondere: “perché ti chiedono a cosa serve e tu non sai dare una risposta convincente. Occorre motivare ad apprendere”. Tuttavia non solo lo studio, ma anche la lettura semplice è in crisi. “Leggere richiede un tempo che nella nostra società non esiste più”. E' in crisi la lettura dell'approfondimento. Molte colpe sono da attribuire a internet, a Google, al “copia e incolla”. Anche se bisogna far comprendere l'utilità,“sia di una gran quantità di informazioni acquisite in tempo veloce, sia la capacità di lettura, vissuta riga per riga, pensiero per pensiero che offre il desiderio di conoscere ed approfondire, 'vivendo' il libro e il suo autore.
Allora per concludere quali ipotesi, soluzioni, opportunità, sfide e decisioni si debbono metter in campo per far sì che l'educazione diventi veramente una priorità per il nostro Paese? Il testo cerca di rispondere alla domanda. Propone una grande mobilitazione coinvolgendo docenti, dirigenti scolastici.“Contestualmente sarà indispensabile avviare un processo di cambiamento che punti a ridare dignità sociale alla professione docente: selezione d'ingresso per i 'vocati', ed appassionati, riconoscimento economico in relazione al merito ed alla professionalità mostrata, valutazione degli esiti, team riconosciuti e remunerati sui risultati per la ricerca sull'innovazione didattica nelle scuole, riallineamento delle retribuzioni alla media europea, sono gli indispensabili obiettivi da porsi”.
Il secondo passo potrebbe essere il varo di norme coraggiose, anche “estreme” come la chiusura delle scuole mal gestite che rifiutano lo sforzo dell'innovazione. Assunzione diretta dei docenti, valorizzazione delle risorse umane, responsabilità della gestione, rendiconto sulla base dei risultati ottenuti. In pratica secondo il prof Pasolini bisogna utilizzare certe “pratiche” consolidate nelle istituzioni paritarie, pratiche che potrebbero essere trasferite anche alla scuola statale, con tutti i benefici ben immaginabili.
Un altro passo potrebbe essere quello dell'abolizione del valore legale del titolo di studio, anche se non è facile, per quella “radicata mentalità del diritto al posto, legato a scelte di 'graduatoria', in un paese come il nostro governato da una gerontocrazia con tutte le sue rendite di potere e disposizione, a volte aiutata da una certa complicità delle famiglie che vogliono, ad ogni costo, assicurare ai propri figli un diploma dotato di valore legale, ma – ricorda Pasolini – il sistema deve essere liberato da questo laccio, da questo falso valore per poter sprigionare potenzialità e motivare dovutamente la valorizzazione di conoscenze e competenze acquisite”.
Pasolini conclude il suo saggio allegando un documento “educativo”, si tratta di una lettera del 21 gennaio 2008 del Santo Padre Benedetto XVI alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell'educazione, motivando la scelta con le seguenti parole: “scritto da un 'maestro', che da tempo ricorda a tutti il dovere di affrontare con determinazione ed 'amore' questa emergenza. Una 'lezione' per tutti coloro che, credenti e non hanno a cuore un futuro migliore per nostri figli”.
Comunque il tema potrebbe risolversi soltanto con questa eccellente riflessione di san Giovanni Bosco, posta nel retro-copertina:“se la gioventù sarà rettamente educata, vi sarà ordine e moralità, al contrario: vizio e disordine. Io ho consacrato tutta la mia vita al bene della gioventù, persuaso che dalla sana educazione di essa dipende la felicità della nazione”.


giovedì 11 gennaio 2018

Intervista di Simonetta Trovato a Tommaso Romano sul Giornale di Sicilia

Di seguito l'intervista rilasciata da Tommaso Romano a Simonetta Trovato sul Giornale di Sicilia di oggi su "Palermo Capitale della Cultura".


martedì 2 gennaio 2018

L'Italia per l'immigrazione clandestina, rischia di diventare uno “stato canaglia”.

 di Domenico Bonvegna

Il ministro Minniti recentemente ha detto che per l'immigrazione non si può parlare di emergenza ma si tratta“ormai un dato strutturale.“Un’affermazione che deve preoccupare  - scrive Gianandrea Gaiani - poiché a pronunciarla è stato l’unico esponente dell’attuale governo che ha cercato di porre un freno ai flussi incontrollati[...]”. (G. Gaiani, “Minniti si arrende all'immigrazione strutturale”, 21.12.17, LaNuovaBQ.it)
 Anche se quest'anno sono arrivati meno “migranti” rispetto al 2016, non c'è nulla di incoraggiante, quando uno Stato accoglie“quasi 120mila immigrati illegali, il cui unico “merito” è aver pagato criminali per raggiungere l’Italia”. Certo gli accordi con la Libia hanno frenato le partenze,“ma come fa uno Stato a non definire un’emergenza un flusso gestito da criminali che porta in Europa immigrati illegali, criminali e terroristi? Uno Stato può definire “strutturale” il crimine solo se ne è complice e, viste le dimensioni del problema e l’impatto finanziario, sociale e sulla sicurezza l’Italia rischia ormai di diventare uno “stato canaglia” che incoraggia e alimenta traffici criminali strettamente legati al terrorismo islamico”.
Ormai tutto il mondo conosce le modalità dei viaggi degli emigranti. I filmati che sono circolati anche in Africa, mostrano gli emigranti africani arrestati e venduti come schiavi in Libia. Peraltro questo ha provocato la reazione di vescovi e capi di Stato, soprattutto in Nigeria da cui parte la maggior parte degli emigranti che tentano la fortuna in Europa.
Sull'argomento ho letto un ottimo dossier del giornalista Domenico Quirico, “Esodo. Storia del nuovo millennio”, Neri Pozza editore (2016) Quirico ha viaggiato in compagnia dei migranti e racconta le loro condizioni disumane nei principali luoghi da cui partono, e in cui sostano o si riversano. E' il racconto in presa diretta dell'Esodo che sta già mutando il mondo e la storia a venire.“Parti intere del pianeta si svuotano di uomini e di rumori, di vita: negli squarci sterminati di Africa e di Medio Oriente”. Per Quirico,“è la Grande Migrazione. Forse cambierà il mondo, ma quando ce ne accorgeremo sarà già in noi. Sarò già in noi il popolo nuovo”.
Quirico racconta le lunghe attese per andare a Lampedusa.“Il clandestino è un uomo che aspetta”, E' un uomo che“attende di avere la cifra per potersi pagare il viaggio, attendi il mediatore che ha il compito di organizzarlo, il passeur con il prezzo giusto”.
Interessante la descrizione dei passeur:“ogni passeur ha la sua rete, il suo tratto di percorso, i suoi soldati poliziotti funzionari capi tribù con cui è in affari. Quando ha concluso la sua parte, lascia ai migranti un indirizzo: è il collega che li aiuterà, se hanno il denaro a compiere il percorso successivo[...] “La sua macchina utensile in questo deserto senza industrie sono gli esseri umani che fuggono. Lui li ingrana, li sgrana, li sposta, comanda e lusinga, li uccide e li abbandona sicuro di conoscerli nelle loro minime rotelle. Li usa. Va fiero di esserne il padrone e di disporne mentre loro sono polvere e pietre”.
Nel libro Quirico fa la storia di uomini e donne che hanno tentato il lungo e pericoloso viaggio attraverso il deserto e poi nel mare.“Qui, mentre il chiasso si fa assordante, senza garbo né grazia, e svia e annulla perfino la pietà, scopri come l'uomo sia diventato una cosa che si prende, che si deporta, si dovrebbe dire si importa e che si esporta come un oggetto[...]”.
E' risaputo che“tra gli immigrati illegali si celino foreign fighters in fuga da Iraq, Libia e Siria (infiltrazioni in realtà già note da oltre quattro anni, e ammesse dallo stesso Minniti) e il crescente fenomeno degli sbarchi fantasma da Tunisia e Algeria, sulle coste siciliane e sarde, non fa che rafforzare questa preoccupazione. Che si aggiunge alla certezza che i flussi migratori illegali dal Nord Africa siano da tempo una vera “autostrada del crimine”, come conferma l’affermarsi nel nostro paese della mafia nigeriana e di altre organizzazioni criminali marocchine e tunisine che utilizzano i “migranti” africani come manovalanza”. (Ibidem)
La maggior parte degli sbarcati provengono da Paesi non in guerra e neppure in preda a carestie. Minniti e compagni ci esortano a non drammatizzare, per non dare spazio al “populismo”. Eppure quella della sicurezza è un vero rischio, per esempio,“c'è il rischio concreto che lo Stato perda in molte aree urbane il controllo del territorio, non certo di un problema “inventato” dalla propaganda populista o di una fake news”.
Per Gaiani,“Sono gli stessi immigrati illegali voluti dal governo a dare adito ai “populismi” assorbendo risorse inaccettabili in un momento di profonda crisi economica e sociale, come quello che attraversano gli italiani, e creando problemi di sicurezza e ordine pubblico. Difficile evitare populismi e rabbia popolare se si spendono oltre 4 miliardi all’anno per accogliere chiunque paghi criminali per venire in Italia, spesso senza neppure sapere chi sono realmente i clandestini accolti e si buttano altri denari pubblici persino per dare loro un lavoro nelle aree più disperate del Meridione, dove la disoccupazione degli italiani è alle stelle”.(Ibidem)
Forse è la prima volta nella storia in cui un paese accoglie immigrati su vasta scala senza avere un boom economico che richieda braccia e forza-lavoro. Non era mai successo che uno stato rinunci a scegliere la provenienza degli immigrati. Inoltre,non era mai successo accogliere tanti immigrati provenienti da un mondo islamico che ripudiano la nostra società e i suoi valori liberali e democratici e già oggi costituisce il più grave problema di sicurezza per l’Occidente.
Infine Gaiani si chiede polemicamente, e con una forte dose ironica, se per caso,“Col termine “governare i flussi” Minniti intende forse dire che occorre far sbarcare gli immigrati illegali un po’ alla volta? Ma allora basta che il governo Gentiloni si metta d’accordo coi trafficanti per un numero ragionevole (diciamo 10mila?) sbarchi “strutturali” al mese. Invece di accordarsi in Libia con Fayez al Sarraj e il suo traballante governo o invece di cercare un’intesa col generale Khalifa Haftar, per “governare i flussi” Roma dovrebbe trattare direttamente coi trafficanti, magari utilizzando qualche Ong come intermediari”. (Ibidem)
In questo modo non si fa altro che trasformare l’Italia in una via di mezzo tra il Far West e la Somalia”, e così probabilmente,“le lobby del soccorso e dell’accoglienza tanto care all’attuale maggioranza di governo ingrasserebbero felici”.
I filmati degli africani trattati come bestie ha suscitato un'ondata di indignazione, in particolare tra i vescovi africani che hanno denunciato questo esodo massiccio di giovani africani verso il continente europeo. In particolare Monsignor Benjamin Ndiaye, arcivescovo della capitale del Senegal Dakar. Il 25 novembre scorso ha detto:“Non abbiamo il diritto di lasciare che esistano canali di emigrazione illegale quando sappiamo benissimo come funzionano – ha detto – tutto questo deve finire”.
Insieme alla Nigeria, il Senegal è uno dei paesi africani da cui partono alla volta dell’Italia più emigranti clandestini. Secondo Monsignor Ndiaye tutte le autorità religiose devono fare la loro parte e devono collaborare affinchè i giovani si impegnino nello sviluppo dei rispettivi paesi:“è meglio restare poveri nel proprio paese – ha detto – piuttosto che finire torturati nel tentare l’avventura dell’emigrazione”.
Infine Monsignor Ndiaye ha lanciato un appello a tutte le personalità autorevoli affinchè si impegnino in attività di sensibilizzazione per far capire ai giovani i pericoli dell’emigrazione clandestina. Lui stesso si è rivolto ai giovani:“cari ragazzi – ha detto – tocca a noi costruire il nostro paese, tocca a noi svilupparlo, nessuno lo farà al posto nostro”. (Anna Bono, I vescovi africani agli emigranti: restate e create ricchezza, 21.12.17, LaNuovaBQ.it)
Ha reagito anche il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari. Il capo di stato si è detto inorridito al vedere i suoi connazionali“trattati come capre, venduti per pochi dollari”. Ha quindi dichiarato che tutti gli emigranti nigeriani bloccati in Libia e altrove saranno riportati a casa e verranno reinseriti nella vita sociale ed economica del paese. Inoltre ha giurato che farà tutto il possibile per impedire che altri nigeriani intraprendano il pericoloso viaggio verso l’Europa: combatterà la corruzione, sconfiggerà definitivamente Boko Haram e altri gruppi armati, migliorerà i servizi pubblici, a partire da quello scolastico.
Sono intervenuti altri vescovi nigeriani, richiamando sia il governo che la popolazione alle loro responsabilità. I vescovi auspicano che si faccia un'opera di convinzione sui tanti giovani, facendogli capire“che c’è più speranza di vita in Nigeria di quanta pensino di trovarne in Europa o altrove. Il paese ha ricchezze e risorse immense. I nigeriani non dovrebbero ridursi a mendicanti andandosene alla ricerca di una ricchezza illusoria all’estero”.
I vescovi insistono che è più conveniente rimanere nel proprio paese.“Incominciamo a sviluppare il nostro paese in modo da renderlo un luogo in cui è desiderabile e piacevole vivere, facciamo in modo che siano gli stranieri a voler venire da noi”. Pertanto, “Ai tanti giovani che non vedono l’ora di andarsene Monsignor Bagobiri ha consigliato di non sprecare denaro per un viaggio rischioso, un progetto senza prospettive:“se i nigeriani emigrati clandestinamente, invece di spendere così tanto per il viaggio, avessero investito quelle somme di denaro in maniera creativa in Nigeria, in attività economiche, adesso sarebbero degli imprenditori, dei datori di lavoro. Invece sono ridotti in schiavitù e sottoposti ad altre forme disumane di trattamento in Libia.