sabato 14 gennaio 2017

Bertrand Russell smentisce il suo discepolo Odifreddi

Nell’Aula Magna del Politecnico di Torino, si è tenuto una “disfida matematica”, dal titolo “Matematica, arte e fede”, tra Piergiorgio Odifreddi e Francesco Malaspina.
Il primo dei due contendenti non ha bisogno di presentazioni, essendo un volto conosciuto della televisione. Il secondo, invece, è un giovane professore di geometria, presso il Dipartimento di Scienze Matematiche del Politecnico di Torino, ed è autore di un denso e brillante volumetto intitolato “Dio e l’ipercubo. Itinerario matematico nel cristianesimo” (Effatà editrice).
Ha preso la parola, per primo, il più anziano e blasonato Odifreddi, dimostrando immediatamente di essere un vero uomo di spettacolo, capace scegliere di volta in volta i toni, le battute, le pause al momento giusto. Del resto ci vuole una certa abilità teatrale, per coprire la povertà di contenuti.
Odifreddi, infatti, ha esordito con due argomenti ormai canonici: un immancabile e stucchevole riferimento al secondo processo Galilei, presentato con manichea superficialità, come occorre fare per rendere semplici le cose complesse; e un breve richiamo al “debate” del 1860 tra il vescovo anglicano Samuel Wilberforce e il “mastino di Darwin”, Thomas Huxley, riguardo al tema dell’evoluzione e della discendenza dell’uomo dalla scimmia.

Il caso Galilei
E’ vero che un argomento ripetuto all’infinito, alla fine può sembrare probante, ma non è necessariamente così. Spesso, ad essere ripetute ossessivamente, causa la loro intrinseca fragilità, sono proprio le menzogne.
Dovendo rispondere in breve, non da matematico ma da storico, ad Odifreddi, si potrebbe anzitutto far notare, quanto al caso Galilei, che il “divino pisano” nella prima fase della sua vita, cioè dopo le scoperte fondamentali del “Sidereus nuncius”, che cambiarono la storia dell’astronomia, trovò proprio nella Chiesa quei riconoscimenti che gli erano stati negati dai professori laici aristotelici nelle università; in secondo luogo che il processo riguardò il sistema copernicano, proposto dall’ecclesiastico cattolico Niccolò Copernico, e che Galilei non aveva affatto dimostrato (prendendo anzi, con la presunta prova delle maree, la sua più grossa cantonata); in terzo luogo si dovrebbe ricordare, per completezza, che il comportamento sgradevole del suo ex amico e protettore, il papa Urbano VIII, non spinse mai Galilei ad abbandonare né la fede cattolica né la fiducia nella Chiesa, così come non ha spinto e non spinge a farlo quei cattolici che sanno assai bene che la Chiesa di Cristo è “santa” ma fatta di peccatori (perchè non solo i singoli ecclesiastici, ma anche i papi possono sbagliare, ed essere talora stupidamente vendicativi come fu, a quei tempi, Urbano VIII, che pure si sentì tradito da Galilei, per i riferimenti irrispettosi nei suoi riguardi presenti nel “Dialogo”).
Per approfondire il tema, Odifreddi potrebbe ascoltare personaggi insospettabili di simpatie clericali, come Richard Dawkins e Stephen Hawking, che nei loro rispettivi testi, L’Illusione di Dio e Dal Big Bang ai buchi neri, ricordano proprio la sincera fede cattolica del grande pisano (Hawking, dopo aver descritto il processo, in perfetta armonia con tutta la storiografia contemporanea, conclude così: “Galilei rimase un fedele cattolico”). Oppure potrebbe leggere una nota divulgatrice scientifica, come Dava Sobel, che nel suo “La figlia di Galileo. Una storia di fede, scienza e amore” (Rizzoli Bur, Milano, 1999), racconta il rapporto del grande fisico con la figlia suor Maria Celeste, con la fede cattolica, uomini di Chiesa (tra cui due scienziati importantissimi come Padre Benedetto Castelli e Padre Bonaventura Cavalieri) e la preghiera.

Il darwinismo
Quanto alla vicenda Wilberforce-Huxley, invece che presentarla falsamente come emblematica di uno scontro tra l’uomo di fede e l’uomo di scienza, bisognerebbe inquadrarla onestamente, ricordando che Huxley era un feroce razzista, convinto che i neri fossero delle scimmie e che potessero gareggiare con gli uomini bianchi solo “in una competizione di morsi”, e che il vescovo anglicano, allarmato dagli strumentalizzazioni razziste, materialiste e colonialiste dell’evoluzionismo, era il terzo figlio di quel William Wilberforce che, spinto dalla sua fede nella eguale dignità degli uomini, tutti figli da Dio, era riuscito poco prima a far abolire la tratta degli schiavi africani nell’Inghilterra razzista e classista dell’Ottocento (si veda in proposito il bel film Amazing grace).
Quanto al darwinismo in generale, anche in questo caso la lettura semplicistica e dogmatica di Odifreddi non coincide né con quella di Darwin (che si riteneva agnostico, piuttosto che ateo), né con quella di Alfred Wallace, teista e coscopritore con Darwin della selezione naturale, né con quella di Bertrand Russell, il quale, sempre nella sua Storia filosofica, a pag. 695, mette in dubbio che la selezione naturale sia “il meccanismo” che, “in un certo tempo sufficientemente lungo” rende “conto dell’intero sviluppo dal protozoo all’homo sapiens”. “Questa parte della teoria di Darwin, chiosa Russell, è stata molto discussa ed è considerata da molti biologi passibile di importanti obiezioni”.

Scienziati di fede
Detto questo, Odifreddi, oltre ad un riferimento, per nulla cogente, alle statistiche (le sue danno i credenti in Dio, oggi, in netta minoranza tra gli scienziati, ma ve ne sono che vanno in senso esattamente opposto), ha ricordato più volte il suo maestro, il logico-matematico Bertrand Russell, che effettivamente è stato il precursore dei polemisti antiteisti contemporanei.
Anche Russel era un matematico, amava come Odifreddi l’ironia e le incursioni, talora spericolate, nel campo teologico, storico e filosofico, sempre contro la fede in un Dio Creatore, la Chiesa e il cristianesimo.
E’ proprio il riferimento di Odifreddi a Russell ad aprire la porta a numerose ed utili considerazioni storico-filosofiche. Anzitutto Russell, in quei primi anni del Novecento in cui ci furono le maggiori scoperte della fisica, pur non avendo statistiche in merito a disposizione, lamentava esplicitamente la presenza di troppe persone di fede tra i massimi scienziati dell’epoca.
Nel 1931 , per esempio, scriveva in tono polemico: “Di recente, la maggior parte dei fisici eminenti e numerosi eminenti biologi hanno dichiarato formalmente che i recenti progressi della scienza hanno confutato il vecchio materialismo, e hanno portato a reintrodurre le verità della religione” (Bertrand Russell, Dio e la ragione, Newton, Roma, 1994, p. 149; il testo compare nella versione inglese su The scientific Outlook, nel 1931).
In effetti in quegli anni di dominio politico e culturale dell’ateismo, la fede in Dio veniva affermata proprio dagli scienziati. Non solo da G. Lemaître, padre del Big Bang, ma anche dai più celebri premi Nobel per la Fisica: W. Heisenberg, M. Planck, R. Millikan, autore di “A scientist confesses his faith”, e A.H. Compton, autore di “Life after death”. In Inghilterra il materialismo veniva contrastato dai due massimi astrofisici dell’epoca, Sir James Jeans e, soprattutto, Sir Arthur Eddington, padre della moderna astrofisica e autore di “Science And The Unseen World”.
Ma se non gradiva la presenza di troppi scienziati credenti a lui contemporanei, Russell notava, in questo caso senza polemica, che il senso religioso aveva caratterizzato anche tutti i pionieri del pensiero scientifico.
Nella sua “Storia della filosofia occidentale” (Tea, Milano, 1991) ricordava infatti, per esempio, che Copernico “era un ecclesiastico polacco, di inattaccabile ortodossia” (aggiungeva che riguardo all’ idea secondo cui spostare l’uomo dal centro dell’universo abbasserebbe l’uomo, “una simile conseguenza della sua teoria non sarebbe stata accettata da Copernico, la cui ortodossia era sincera, e che protestava contro l’ipotesi che la sua teoria contraddicesse la Bibbia”, p. 510-511); sosteneva inoltre che anche nel Settecento “la maggior parte degli uomini di scienza” erano “modelli di pietà religiosa” (p. 521).
In un breve saggio, “Scienza e valori” Russell esordiva così: “La filosofia che è parsa la più appropriata per la scienza è variata da un’epoca all’altra. Per Newton e per la maggioranza degli inglesi suoi contemporanei sembrava fornire le prove dell’esistenza di un Dio in quanto legislatore Onnipotente: egli aveva promulgato la legge della gravitazione e qualunque altra legge naturale che fosse stata scoperta …” (Bertrand Russell, Il mio pensiero, Newton, Roma, 1997, p. 645).
Si potrebbe anche aggiungere, per completezza, che Alfred North Whitehead (1861-1947) autore insieme a Bertrand Russell dei Principia Mathematica (1910-1913) che diedero fama ad entrambi, è anche noto per aver sostenuto che l’origine del pensiero scientifico va rintracciata nella teologia medievale; più precisamente nella “concezione medievale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l’energia personale di Yahwèh e la razionalità di un filosofo greco” (Alfred North Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Bollati Boringhieri, Torino 1979, pp. 20-25 e 30-34).

Dio e la matematica
Ma per tornare alla matematica, è sempre Russell, così amato da Odifreddi, a spiegarci l’origine di quel legame tra matematca e fede in Dio che Francesco Malaspina ha inteso riprendere, in modo innovativo ed originale, nel suo “Dio e l’ipercubo”.
Scriveva infatti, riguardo a Pitagora: “La matematica… comincia con lui e in lui è strettamente connessa con una particolare forma di misticismo… L’ideale contemplativo, dal momento che portò alla creazione della matematica pura, fu l’origine di una attività utile… La matematica è, credo, ciò su cui sostanzialmente poggia la fede in una eterna ed esatta verità, nonché in un mondo intelliggibile al di sopra dei sensi. La geometria tratta di cerchi esatti, ma nessun oggetto sensibile è esattamente circolare… Anche le dottrine mistiche sul rapporto del tempo con l’eternità sono rafforzate dalla matematica pura, dato che gli oggetti matematici, come i numeri, anche se del tutto reali, sono eterni e fuori del tempo. Tali eterni oggetti si possono concepire come pensieri di Dio. Di qui la dottrina platonica che Dio sia geometra…Non so di nessun altro uomo che abbia avuto altrettanta influenza nella sfera del pensiero. Lo dico, perché ciò che appare come platonismo, si trova già, se analizzato, nell’essenza del pitagorismo. L’intera concezione di un mondo eterno rivelato all’intelletto, ma non ai sensi, deriva da lui” (B. Russell, Storia della filosofia occidentale, Tea, Milano, 1991, p. 49-56).
Dovrebbe essere chiaro, allora, grazie a Russell, perchè il pensiero dei grandi matematici (Cartesio, Pascal, Eulero, Leibniz, Cauchy, Cantor, Gödel, De Giorgi, Grothendieck …) è nella stragrande maggioranza dei casi del tutto opposto a quello di Odifreddi (il quale, non essendo per nulla sciocco, lo sa assai bene, ma non può dirlo).
Qui il filmato della disfida, la parte di Odifreddi: https://www.youtube.com/watch?v=zRAE7r9_QM4. Qui Malaspina a Trieste con mons. Crepaldi

da: www.libertaepersona.org

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