domenica 2 aprile 2017

Poesia operativa, strumento di trasmutazione

di Vittorio Varano




Nell’affrontare il problema di dover fornire una rappresentazione figurativa del tempo, i pensatori si dispongono in due grossi schieramenti contrapposti : i sostenitori del tempo dritto e quelli del tempo curvo ; a loro volta, il primo gruppo è composto da due sottoinsiemi : i sostenitori del tempo-retta ( che si estende all’infinito in entrambe le direzioni, all’indietro verso un passato senza principio, in avanti verso un futuro senza termine ) e quelli del tempo-segmento racchiuso tra due limiti estremi ( da una parte la Creazione, e dall’altra la Fine del Mondo, o Ultimo Giorno, o Giorno del Giudizio che dir si voglia ) ; il secondo gruppo è costituito anch’esso di due sottoinsiemi : i sostenitori del tempo-cerchio ( l’Eterno Ritorno dell’Uguale ) e quelli del tempo-spirale ( conciliazione tra sviluppo storico e i suoi corsi-e-ricorsi ) ; questi quattro tipi di pensatori descrivono il tempo in quattro modi diversi, ma descrivono lo stesso tempo ; ma questo tempo non è l’unico tempo ; e non è neppure il principale, ma, anzi, un tempo secondario e superficiale, in senso letterale.
Questo tempo è un tempo superficiale perché è una traiettoria su un piano, ossia uno spostamento lungo l’asse di un sistema di coordinate cronologiche ( e tutta la disputa tra i quattro gruppi verte soltanto sulla forma di quest’asse, non sulla sua natura ) ; il tempo superficiale è un tempo secondario perché è preceduto da un tempo profondo, che non è bidimensionale come il piano su cui scorre un punto, ma binario come un punto che pulsa. Il tempo secondario è superficiale, il tempo principale è puntiforme ; il tempo superficiale è il tempo-progressione, il tempo puntiforme è il tempo-pulsazione ; il tempo-progressione è il tempo triplo ( che si dispiega nella successione di passato, presente e futuro ), il tempo-pulsazione è il tempo doppio ( dell’alternanza notte e giorno ) ; il tempo triplo è il tempo della prosa ( del ricordo e del racconto ), il tempo doppio è il tempo della poesia ( il tempo del canto ) ; come il 2 è, più del 3, vicino all’1, così la poesia è, più della prosa, prossima all’Assoluto. Il percorso di risalita del singolo al Principio Primo avviene in modo indiretto, attraverso un passaggio intermedio : il ritorno dal tempo-progressione al tempo-pulsazione, dal tempo della prosa al tempo della poesia ( specifico, a scanso di equivoci, che quando parlo di poesia mi riferisco in modo esclusivo alla sua modalità arcaica fondata sul battito, e lascio volontariamente fuori dalle mie riflessioni tutto ciò che è scritto in versi sciolti, che io non considero poesia ) ; chi compone poesia in questo antico senso, ottiene con la regolazione del ritmo del pensiero, lo stesso effetto che, con la regolazione del ritmo del respiro, ottiene chi pratica il pranayama ; chi padroneggia la tecnica del versificare come tecnica del battere, attua un’arte sostanzialmente simile a quella utilizzata nei misteri della metallurgia, tramandati nelle corporazioni di mestiere dei fabbri : la meditazione mediante martellamento. Chi padroneggia pienamente quest’arte ha raggiunto la maestria; ma nessuno ha mai raggiunto la maestria senza passare per un periodo di apprendistato, sottoponendosi a un addestramento di lunga durata ; poeti non si nasce, né ci s’improvvisa : ogni vero poeta è uscito semplice uomo dal ventre della propria madre biologica, ed è stato rigenerato ( e reso poeta ) dall’esempio ispiratore di un grande poeta precedente che gli ha fatto da padre adottivo, non importa se vivo o morto, indipendentemente dal fatto che questo rapporto di filiazione spirituale fosse puramente ideale (come nel caso emblematico ed eclatante della venerazione così intensa, e forse così eccessiva da rasentare l’idolatria, che Dante rivolgeva a Virgilio ), o un discepolato vissuto di persona, come quello del giovane Valéry nei confronti del più anziano Mallarmé, pontifex maximus dell’ultimo tempio della poesia occidentale : la scuola simbolista francese, sulla cui storia conviene soffermarsi un po’, perché intrisa degli stessi insegnamenti esoterici diffusi negli ambienti occultisti ottocenteschi da cui verrà fuori la grandiosa sintesi dottrinaria di René Guénon, che non casualmente mette al centro della sua concezione dell’arte sacra proprio l’uso del simbolo, ma non avendo avuto una formazione umanistico-letteraria bensì scientifico-matematica ( mancandogli un’esperienza operativa della poesia, che conosceva soltanto da un punto di vista speculativo ) ne sopravvaluta l’importanza, a discapito di quella del tempo-del-verso ; la stessa dimenticanza
( che in sede teorica ha come conseguenza la parzialità della visione guenoniana dell’arte ), quando a dimenticare uno dei due pilastri su cui poggia l’architrave di quel santuario, sono gli stessi esponenti di spicco della scuola, ne provoca il crollo. A dimenticare furono in due : Rimbaud, e lo stesso Mallarmé ; e da queste due dimenticanze ebbero avvio le deviazioni che causarono la catastrofe che ci ha condotti fino a quella cosa a noi contemporanea, che continua ad essere chiamata poesia, pur avendo cessato di esserlo da circa un secolo. Il primo a perdere l’orientamento fu Rimbaud, che nella prima fase della sua produzione ( il Battello Ebbro e gli Ultimi Versi ) era riuscito a mantenersi fedele ai dettami del fondatore Baudelaire, ma successivamente ha commesso quell’errore contro cui ci mette in guardia l’avvertimento evangelico che comanda di non credersi mai superiori al proprio maestro, e accusandolo di manierismo formalista, nelle Illuminazioni ( abbagliato dallo splendore delle sue allucinazioni, ed accecato dall’orgoglio ) abbandona definitivamente la metrica per dedicarsi in modo esclusivo a quella che per l’altro era sempre rimasta un’occupazione di second’ordine : la cosiddetta poesia in prosa ; da questo voltafaccia avrà origine l’eresia surrealista di Breton ( ma almeno, Rimbaud è degno di rispetto e merita ammirazione perché è stato coerente, e portando alle estreme conseguenze l’allontanamento dalla poesia, ha smesso di scrivere, come avrebbero dovuto fare tutti quelli che assunsero la sua eredità, se avessero avuto la sua audacia ).
Il secondo a cadere fu Mallarmé, che dopo Herodiade e il Pomeriggio di un Fauno, si lascia andare alla spericolata sperimentazione di Un Colpo di Dadi, che sposta la poesia dalla dimensione della successione temporale, non verso l’alto a quella dell’intermittenza inspirazione-espirazione, ma verso il basso a quella della simultaneità dell’estensione spaziale ( cominciando quella trasformazione della poesia da musica a pittura, da arte sonora ad arte visiva, che sarebbe infine sfociata nell’attuale confusione fra poesia e performance, rappresentazione, spettacolo, intrattenimento, passatempo, evento, eccetera ), anticipando, e spingendo a, l’eresia calligrammatica di Apollinaire ; Breton e Apollinaire sono le due mani che insieme, seppur da lati opposti ed in maniera indipendente l’una dall’altra, afferrano e sollevano il tembino, scoperchiando la fogna sotterranea da cui fuoriesce la fanghiglia avanguardista che si riversa nelle strade e nelle piazza delle città europee, inondando inizialmente Parigi, invadendo poi le altre capitali culturali, e una volta allagato l’intero continente, attraversa l’oceano e confluisce nella puzzolente spazzatura di quella cloaca a cielo aperto che è la beat-generation americana, in cui la parola artista diventa sinonimo di disadattato sociale, mentalmente disturbato, disoccupato, delinquente, drogato, eccetera ; e qualunque deviazione dalla norma e/o differenza dalla massa è ormai sufficiente per avanzare la pretesa di essere accettato, accolto ed acclamato come un creativo, un contestatore, un coraggioso, eccetera. La mancanza dei colpi di maglio dei versi di uguale lunghezza, significa che la poesia non è più scaturigine di quelle scintille che, come le gocce che una dopo l’altra scavano la pietra, una dopo l’altra scaldano la psiche, fino a portarla a temperatura di ebollizione e provocarne il cambiamento di stato ; quel “trasumanar” di cui parla Dante in un celebre passo della Divina Commedia, non è solamente l’oggetto della sua poesia, ma ne è anche l’effetto ; ossia, la stazione interiore che Dante prova a “significar per verba” dopo averla realmente raggiunta, l’aveva raggiunta proprio grazie alla poesia ; ma scomparsa questa concezione spirituale della poesia, si è verificata una scissione che ha divaricato in due poli diametralmente opposti l’approccio teorico al problema : da una parte una concezione scettica che assegna alla poesia un senso ridotto, ristretto ( una sorta di minimo sindacale di senso, appena soggettivo, o tutt’al più sociale ) e dall’altra una concezione superstiziosa che attribuisce un’efficacia quasi sovrannaturale non alla poesia effettiva, ma alla semplice etichetta POESIA che si può appiccicare su qualunque accostamento ( sarebbe più esatto dire accozzaglia ) di parole.
Come ho già fatto in “Metro, Metodo, Modello” ( di cui questo si può considerare come il seguito ideale ) concludo con un paio di quartine tratte dal mio libro Variando, attinenti all’argomento che ho trattato nell’articolo :

“la poesia non è lo svago dei plebei
non lo psicologo che ascolta se lo pago
che se piango o se mi sfogo mi dà spago
lei non sente se non ho pensieri belli

la poesia non è una prosa che va a capo
in cui l’autore ha perso il filo o divagato
ma se arrivo in mezzo al rigo non è un vezzo
ed una frase senza ritmo non è un verso“

da: http://www.ereticamente.net

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