domenica 13 gennaio 2013

L'opera poetica di Tommaso Romano: perché leggerla?


Perché leggere l’opera poetica di Tommaso Romano? Cosa questa lettura può offrirci?
Scrive Salvatore Quasimodo: «Quello della poesia è un tema aperto all’infinito; Le domande che il poeta pone a se stesso, e quindi a tutti, possono essere ritenute oscure dai contemporanei, ma non per questo cessano di esercitare il loro influsso nelle zone più gelose di una società costituita. La nascita di un poeta è sempre un atto di “disordine” e presuppone un futuro nuovo modo di adesione alla vita, perché è bene dirlo subito: il poeta non rinnega mai la vita. La vita, la verità. Sono gli uomini che chiedono questo al poeta. L’uomo vuole verità dalla poesia, quella verità che egli non ha il potere di esprimere e nella quale si riconosce, verità delusa o attiva che lo aiuti nella determinazione del mondo, a dare un significato alla gioia o al dolore in questa continua fuga di giorni, a stabilire il bene e il male».
Leggendo ed interiorizzando le parole del poeta siciliano, facilmente si potrebbe arrivare ad una risposta al quesito che abbiamo posto. Perché, dunque, approcciarsi ad Esmesuranza, la raccolta poetica di Tommaso Romano, e Dilivrarmi, l’ultima silloge?
Perché quello dello scrittore, poeta, saggista, critico e studioso palermitano è un itinerario di vita, come quello che ogni uomo può attraversare, è un cammino costellato di domande, è un percorso disseminato da perché che esplodono di continuo, è l’universalizzazione dello status umano, quello status sempre proteso a domandare e domandarsi. Davide Rondoni ammette come l’intera vita, in ogni sua manifestazione, in ogni suo atto quotidiano sia una perpetua domanda, un continuo ed eterno cercare. Chiaro, risulta, come ogni opera poetica può donarci l’incanto di un perché, l’attesa di un senso (è questo il significato della parole di Quasimodo che abbiamo riportato), ma nello specifico, la penna di Tommaso Romano ci apre continuamente di fronte all’immagine di un uomo come tanti altri, di un nostro compagno di camerata, di un amico, di un fratello che cerca, indaga, scopre e mette per iscritto. E proprio questo noi uomini (seguiamo ancora la rotta quasimodea) chiediamo ad un poeta. Non astrattezze, non ameni inganni, non iperuranici paradisi senza concretezza: «Vago, perché vago?/Cammino, solo, scompostamente/perché cammino?/Il mio animo è turbato/dal mondo/.Vago e vago/come gli zingari/». Questi versi sono di un Romano che varca le soglie dell’adolescenza, che inizia un itinerario, che è turbato dal mondo. Il turbamento, sia chiaro, non può e non deve essere letto solo in chiave negativa: è qualcosa che smuove, che produce movimento, che scatena sensazioni di vario genere, è mobilità.
Mobilità. La stessa che ha visto e vede questo studioso muoversi perennemente in quel mondo che sin da giovane lo sconvolgeva e che gli urlava la necessità di farsi conoscere.
A chi scrive, oltre che all’opera poetica, è sempre piaciuto andare a scovare cosa i poeti stessi dicano del movente della loro penna, la poesia, appunto. Per Romano, poesia e vita sono una continua ricerca, scrive egli stesso che il «senso del senso» è l’aspirazione a perseguirlo; la ricerca stessa è appagamento, è cogliere il senso delle cose. Se il futuro, per Tommaso Romano, è sempre eventuale, dubbioso (Futuro eventuale è proprio il titolo di una sua silloge), è proprio quel mistero che rende bello il trascorrere del tempo: «Il mistero illeggiadrisce/il meccanico procedere dei giorni/mentre di sconfinate certezze/è avvolto il cielo del dubbio».
“Il mistero che illeggiadrisce” è la gioia dello studioso, che di quel mistero vuole farsi interprete, giorno dopo giorno, pagina dopo pagina. Ѐ questo il senso che Tommaso Romano dà alla sua esistenza? Probabile, per chi lo conosce, rispondere affermativamente: è nello studio e nella ricerca che quell’itinerario intrapreso diversi anni fa continua ad andare avanti, ma, ci ammaestra Romano stesso, il senso vero è quello che ognuno dà e darà alla propria esistenza. Ognuno ha una sua risposta, che da particolare può aprirsi all’universale, perché ognuno è una minuscola tessera del creato che va a formare uno splendido ed eterno mosaico: questo il significato del suo neologismo, Mosaicosmo.
Così, per concludere con un pensiero autorevole che bene sintetizza quanto detto, scrive Davide Rondoni a proposito di Tommaso Romano, di cui è da tempo amico, «il territorio della poesia di Romano è quello dell’avventura della conoscenza del mondo e dell’uomo. E come tale è un’avventura sempre nuova, irrefrenabile. Ogni libro costituisce un’icona di tale percorso di conoscenza, ma mai un’icona definitiva. Sopravviene altro – nella vita del poeta, nella vita del mondo – a urgere un passo ancora, una nuova verifica, una nuova paziente pittura. […] E il viaggio di uno diviene il viaggio di molti, e la conoscenza non è un acquisto geloso, ma uno stupore che si condivide».

Giuseppe La Russa

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