giovedì 25 giugno 2015

Compie 800 anni la Magna Carta d’Inghilterra

di Giuseppe Bagnasco

   Ottocento anni fa, per la precisione il 15 giugno 1215, a Runnymede, località della Contea di Surrey posta nel sud-est di Londra, accadde un fatto che risulterà propedeutico nel processo dell’ evoluzione della libertà dell’uomo. Quel giorno il re d’Inghilterra, Giovanni Senza Terra (John Lackland), succeduto sul trono al più famoso fratello Riccardo Cuor di Leone, fu costretto dai baroni del regno a sottoscrivere la Magna Carta. Il documento redatto in latino col titolo Magna Charta Libertatum (Grande Carta delle Libertà), assurge a rilevante importanza storica perché con essa per la prima volta veniva riconosciuta l’inviolabilità dei diritti della persona contro ogni arbitrio perpetrato dal potere. L’eccezionale evento  è fatto risalire ad un fatto d’arme verificatosi l’anno precedente. Fu infatti nel 1214 che il re Giovanni, privato dal re di Francia dei suoi possedimenti continentali (da ciò il soprannome di Senza Terra), per riprenderli gravò di tasse i suoi baroni che si ribellarono ritenendo arbitrarie le dette imposizioni. La rivolta portò ad un compromesso con cui il re si obbligava a riconoscere e concedere alcuni diritti in cambio di un rinnovato impegno di fedeltà. Tuttavia questi diritti, in definitiva, interessavano e difendevano soprattutto i privilegi della nobiltà e dell’alto clero sebbene in effetti la Carta garantisse oltre i diritti dei feudatari e quelli della Chiesa, anche quelli delle città inglesi e di tutti gli “uomini liberi”. Ciò significava esclusione dei servi e degli schiavi. Fu sic et simpliciter una cessione di parte del potere della corona su tutti i campi nella vita della società del tempo. Tra i tanti la Carta stabiliva e garantiva ciò che in seguito, nel campo giuridico, sarebbero stati considerati diritti umani come ad esempio: 1) La garanzia per tutti gli uomini “liberi” (cioè non schiavi, né servi) di non poter essere arrestati e detenuti senza un regolare processo e senza una prova (l’habeas corpus integrum). 2) La proporzionalità della pena rispetto il reato commesso. 3) La possibilità per gli uomini liberi di poter ereditare la proprietà esonerando le vedove dall’obbligo di doversi risposare. Oltre a ciò prevedeva la libertà e l’integrità della Chiesa inglese, messa in precedenza in discussione dal re Enrico II (padre di Giovanni) con l’arcivescovo di Canterbury Tommaso Bechet che finirà assassinato nella sua cattedrale. Il che  provocò la scomunica di Papa Innocenzo III, lo stesso che aveva accettato la protezione  del piccolo Federico Ruggero (il futuro Imperatore Federico II) richiesta dalla madre Costanza d’Altavilla. Prevedevano ancora l’istituzione di una Commissione di 25 baroni col potere di promuovere la destituzione del re qualora avesse violato i suoi solenni impegni e l’introduzione di disposizioni che perseguivano la corruzione dei pubblici ufficiali. Però ciò che più conta, anche alla luce dell’importanza evidenziata in questo testo, fu il tassativo divieto imposto al re di poter stabilire nuove tasse ai suoi diretti vassalli senza il consenso del “Commune consilium regni”. Un organo composto da arcivescovi, abati, conti e tra i più importanti baroni del regno che doveva convocarsi con un preavviso di 40 giorni e agire con potere deliberante a maggioranza dei presenti. La creazione di questo Consiglio, in cui erano presenti tutti i grandi feudatari del clero e dell’aristocrazia, è comunemente intesa come la prima pietra del futuro Parlamento. Da notare che a quella data, in Europa esisteva già un Parlamento (il primo nella storia) ed era quello creato in Sicilia dal normanno Ruggero II, la cui composizione sarebbe stata implementata nel 1240 dallo svevo Federico II con l’inclusione dei rappresentanti delle città demaniali. Innovazione introdotta in Inghilterra solo nel 1264. Però fu con la redazione scritta della Magna Carta che uscirono modificati i rapporti feudali tra il re, che in fondo era un signore feudale, e i suoi vassalli ai quali era legato da un contratto personale per cui doveva rispettare i vincoli oltre  le leggi del regno. In definitiva fu la prima volta che, dopo il diritto romano e quello canonico (ecclesiastico), venne codificato in diritto pubblico quello feudale. E’ da rilevare comunque che, a parte questi, norme scritte esistettero già nell’antichità. Nello specifico ci si riferisce al Codice Hammurabi (1760 a.C.) della civiltà vetero-babilonese nel quale venivano elencate quelle riferite al furto, ai reati penali, al matrimonio ecc,.  Norme scritte quindi, anche allora non dissimili da quelle della Magna Carta che, dalla sua sottoscrizione, potevano così essere invocate da chiunque avesse visto violati i propri diritti. E ciò rappresentò sia la protezione legale degli uomini liberi sia l’affermazione dell’uguaglianza di tutti i cittadini (esclusi sempre gli schiavi e i servi). Principi ancora ripresi dal Parlamento inglese nel 1628 con la Petizione dei Diritti umani inviata al re Carlo I in cui, oltre a riaffermare leggi e statuti precedenti, era previsto il rifiuto del cittadino ad alloggiare soldati e il divieto di promulgare la legge marziale in tempo di pace . Per tutto ciò  la Magna Carta  è indicata come la base del Costituzionalismo moderno. In Inghilterra  solo nel Trecento il Parlamento fu diviso in due Camere: quella del Lords e quella del Comuni e che risulterà da guida per i futuri parlamenti d’Europa, laddove essi si formarono. E in effetti i suoi contenuti nel particolare riguardo ai diritti individuali delle persone, furono ripresi nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 dalla Rivoluzione Francese e questa sulla falsariga della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776. Il tutto poi  riconfermato nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalle Nazioni Uniti nel 1948. Per quel che riguarda la storia della nostra Sicilia, c’è da sottolineare che molti principi della Costituzione inglese, furono proposti dal termitano Paolo Balsamo e introdotti nella pur breve  Costituzione siciliana del 1812. Essa fu concessa dal re Ferdinando III di Sicilia (già re Ferdinando IV di Napoli), su “suggerimento” di lord Bentick, plenipotenziario inglese nella Sicilia “britannica” e antinapoleonica e che precedette di ben 36 anni lo Statuto albertino. In essa si stabiliva tra gli altri articoli, il principio della libertà personale (vietava l’arresto), della libertà di stampa e, cosa veramente innovativa, quella dell’inviolabilità del domicilio e della posta. Ma tutto svanì e fu annullato dalle regole della Restaurazione sancite dal Congresso di Vienna che riportò l’Europa all’Ancien Regime. Nel definire i nuovi assetti politici fu deciso tra l’altro di  riportare sul trono di Napoli il re Ferdinando I, questa volta come re delle Due Sicilie ( per riaverlo pagò milioni di ducati , anche al Metternich), ma a patto che osservasse le direttive congressuali e che si impegnasse a reprimere qualunque rivolta tesa a sovvertire l’ordine costituito, pena l’intervento dell’esercito austriaco. La soppressione del Regno di Sicilia dopo settecento anni di vita e conseguentemente, del suo Parlamento rappresentò per i siciliani un duro colpo che radicherà nel loro animo quel sentimento antiborbonico che sfocerà nella rivolta del ’21 e porterà alla fatale rivoluzione del ’48. Sentimento, sottolineamo, che non fu mai antiaustriaco come in tanta parte degli altri Stati italiani dove si sviluppò la storia risorgimentale.       

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