domenica 18 giugno 2017

L’errore di Platone e Cartesio

di Francesco Agnoli

Ideologia gender, la pratica dell’utero in affitto, l’opinione secondo cui non importa chi genera i figli, ma chi li alleva… sono tutte posizioni filosofiche basate su una visione spiritualista dell’uomo. Monica Cirinnà, Sergio Lo Giudice, Vladimir Luxuria… anche se a prima vista potrebbe sembrare strano, sono dei puri spiritualisti, degli attardati seguaci di Platone e di Cartesio.
Se in un recente passato a dominare è stato il paradigma materialista, per il quale l’uomo è solo materia, oggi a cercare una rivincita è la visione opposta: tutto è spirito.
Se tutto è spirito, non importa se si nasce maschio o femmina, da un punto di vista materiale, corporeo, genetico, anatomico, ormonale, psichico…. L’importante è ciò che si pensa e si decide di essere. Un maschio che si ritiene femmina, sarà femmina, e viceversa (lo stesso discorso però nessuno lo farebbe mai per un’anoressica: “se ti senti grassa, è perchè sei grassa”)
Analogamente non importa se un figlio nasce da un patrimonio genetico di una persona estranea, da un ovulo comperato, o nell’utero di una donna che non vedrà mai: l’importante è chi crescerà il bambino, e con quale “amore” lo farà.
Ciò che conta è un “amore” svincolato dalla natura, dalla biologia, dalla genetica, dall’esperienza…
Ma lo spiritualismo è una visione corretta, filosoficamente e scientificamente, dell’uomo?
No. Come non lo è il materialismo, che ha ormai mostrato, esistenzialmente, tutti i suoi limiti. Spiritualismo e materialismo colgono solo parte della realtà umana, e come tali non possono che portare al fallimento e alla sconfitta.
Oggi sappiamo molto bene che Platone e Cartesio, i filosofi che scindevano in un rigido dualismo anima e corpo, avevano torto. Un grande neuroscienziato, Damasio, ha scritto proprio un libro intitolato Cartesio aveva torto (Adelphi).
Vedevano molto più lontano Aristotele, e, ancor di più, filosofi come Agostino e Tommaso, che, rifacendosi alla Bibbia, coglievano l’uomo non come puro corpo, nè come anima calata, contenuta in un corpo, ma come un’ unità psico-fisica.
Per Platone e Cartesio l’uomo è essenzialmente e unicamente anima, pensiero. Per il grande filosofo greco il corpo è la prigione, la tomba dell’anima (soma-sema); per il celebre matematico il corpo è mera res extensa, un abitacolo senza vera dignità, come lo scafandro dell’astronauta (l’astronauta è tale, quale che sia lo scafandro che indossa).
Ebbene, come si diceva, oggi è piuttosto chiaro che questa visione non regge, così come non regge l’idea materialista secondo cui l’uomo è solo ciò che mangia, ciò che le leggi naturali decidono che sia…
Le neuroscienze ci dicono che, accanto ai geni maschili e femminili, esistono anche il cervello maschile e femminile, la psicologia maschile e femminile; la medicina in generale contraddice il dualismo cartesiano per il quale basta curare il corpo, infischiandosene dell’anima, così come rigetta l’idea che sia sufficiente alleviare le sofferenze dell’anima, per guarire il corpo.
Si va sempre di più comprendendo la necessità di una visione unitaria.
Infatti le cosiddette malattie psicosomatiche dimostrano chiaramente la capacità del corpo di agire sulla psiche e della psiche di agire sul corpo; analogamente l’assistenza di un anziano mostra che tutto il nutrimento biologico possibile, senza un nutrimento affettivo, serve a ben poco; i casi di persone che si risvegliano dal coma, non per merito di un medicinale, ma perchè trattati con affetto e premura, magari per anni, dai loro parenti, confermano ulteriormente che tutto ciò che è spirituale è anche corporale e viceversa.
Così, quanto all’identità sessuale, si nasce maschio, ma nello stesso tempo si diventa maschio. Si nasce femmina, ma si deve anche diventare femmina. Il dato naturale, corporeo, materiale, cioè il nascere maschio o femmina, esiste, è evidente, non può essere negato, ma non basta, non è tutto: deve per così dire crescere, svilupparsi, fiorire.
Accanto al dato, il corpo, ci sono l’ambiente, i condizionamenti, le scelte… in una parola la vita che compete allo spirito.
Fingere che non esista il dato genetico, materiale, la natura, come fa lo spiritualista, è, come tutte le finzioni, nocivo; fingere che non esista il dato culturale, ambientale, educativo, del libero arbitrio, come fa il materialista, è anch’esso un atteggiamento errato, perchè paraziale.
Nessuno di noi cercherebbe di far crescere limoni dai semi di soia; ma neppure di far crescere limoni dai semi di limone, privando la pianta di acqua, luce e nutrimento.
Si è maschio o femmina, dunque, sia nel corpo, che nella psiche; si è padri e madri sia fisicamente, che spiritualmente. Il ritornello secondo cui vi sono padri e madri che non sono buoni padri e buone madri, è una banale constatazione, che non porta però con sè, come conseguenza, la bontà della omogenitorialità.
Dal seme di limone può non nascere un bel limone succoso; ma ciò non significa che, per avere limoni succosi, sia meglio fare a meno del seme di limone.
Così i genitori devono essere anzitutto tali (cioè capaci di generare, cioè complementari e diversi); inoltre devono anche essere “bravi” genitori, cioè capaci di unire al dato biologico, al loro saper generare nel corpo, la capacità di generare anche nello spirito. Solo così il figlio sarà frutto di una relazione completa, e potrà così sviluppare in modo completo la sua natura. Solo così sarà anzitutto un figlio a tutti gli effetti, ed inoltre sarà anche amato da chi deve amarlo, da chi può dargli ciò di cui ha bisogno.
Negare la natura in nome della cultura è dunque come negare il corpo in nome dello spirito: una operazione spiritualista assurda come quella contraria. La cultura stessa, infatti, esiste perchè l’uomo è, per natura, un animale culturale (concetto del tutto evidente alla linguistica e alle neuroscienze, quando dichiarano che il linguaggio potenzialmente infinito è solo umano, è solo della natura umana; vedi Andrea Moro, Parlo dunque sono, Adelphi, 2015).
Allora, di cosa ha bisogno ogni uomo? Essendo fatti di anima e di corpo, in stretta e inscindibile relazione tra loro, abbiamo tutti bisogno sia di nutrimento biologico sia di nutrimento spirituale. Non di uno solo. E viviamo ogni esperienza con il corpo e lo spirito, insieme.
Questo non solo da adulti: sin da bambini. Scrive il celebre ginecologo Carlo Flamigni parlando della vita fisica e psichica del feto umano di pochi mesi: “Lontano dall’essere un ospite inerte, il feto svolge un ruolo attivo nell’andamento della gravidanza, controlla vari aspetti del suo sviluppo ed è capace di rispondere a vari stimoli uditivi, visivi e tattili provenienti dall’ambiente esterno. Alcuni psicologi parlano di ‘personalità’ del feto prima della nascita. Queste supposizioni sono confortate da vari racconti di individui in ipnosi che hanno ricordato esperienze vissute nel periodo prenatale o l’esperienza della nascita. In base quindi al presupposto che il feto possa essere cosciente, consapevole e capace di memoria, è anche stato ipotizzato che le esperienze che vive durante il periodo prenatale possano influire sullo sviluppo della sua emotività e sulla sua mente. Vari studi hanno dimostrato che l’attitudine della madre verso il feto ha un forte impatto sulla salute sia fisica che psichica del nascituro. I bambini nati da madri ‘ambivalenti’, cioè con difficoltà ad accettare la gravidanza anche se apparentemente felici, presentano spesso problemi comportamentali e somatici… le cosiddette ‘cool mothers’, madri cioè che per problemi di carriera o finanziari non vogliono una gravidanza, hanno più spesso figli inizialmente letargici e apatici. Il bambino prima della nascita è strettamente legato alle esperienze fisiche, mentali ed emotive della madre” (Avere un bambino, Mondadori).
Il celebre ginecologo Pino Noia, insieme ad altri autori, ricorda che “è ormai accertato che il feto risenta degli stati d’animo materni”, attraverso la percezione di mutazioni di tono di voce, attività fisica e frequenza cardiaca della madre. Egli ha bisogno non solo di nutrimento biologico, ma anche di “nutrimento psichico”. Analogamente il neonatologo di fama mondiale, Carlo Bellieni, dell’Università di Siena, ricorda che la risposta al dolore del feto non può essere soddisfatta solo da un farmaco: “la persona che soffre, e così il neonato, ha bisogno di una presenza umana per consolarlo e aiutarlo” (Noia et al., Il dolore feto neonatale, Ginecorama, ottobre 2011, n.5; Carlo Bellieni, L’alba dell’io. Dolore, desideri, sogno, memoria del feto, Società editrice fiorentina, 2004);
Se dunque un bambino crea una relazione fisica e psichica con la madre, già nell’utero, ciò non dimostra a sufficienza che di quella madre egli è figlio, sia materialmente che spiritualmente? Che toglierlo alla madre significa recidere un legame psichico e fisico, e non solo spostare una creatura da un contenitore ad un altro, come si fa con il caffè?
Se una donna non può mai essere un puro contenitore, perchè ogni esperienza corporale ha un corrispettivo spirituale (quale donna ha vissuto la gravidanza solo come un fatto meramente corporeo?); se il legame del corpo del bambino con quello materno non esaurisce il rapporto del bambino con la madre, è difficile capire che la maternità surrogata è una ferita profonda sia per la donna che per il bambino?
E’ difficile capire che un bambino ha bisogno del padre e della madre; di più: di essere frutto dell’amore spirituale e corporale, nella sua unità veramente generatrice, dei suoi genitori?

da: www.libertaepersona.org

sabato 17 giugno 2017

La presenza di Dio negli abissi del cuore umano e nella letteratura

di Claudio Forti

Nel nostro tempo confuso e relativista sentiamo spesso parlare di emergenza educativa. Questa emergenza è sotto gli occhi di tutti coloro che hanno davvero a cuore il destino delle nuove generazioni. Ma che cosa vuol dire educare? Educare deriva dal termine latino “educere” (tirar fuori). Vuol dire tirar fuori dal soggetto uomo ciò che di meglio è in lui. Far sì che prevalga il bene.
Oggi però il compito educativo si è fatto più complicato per il fatto che ormai non esiste più una nozione sicura di che cosa voglia dire bene e male, giusto e ingiusto, normale e anormale, eccetera, proprio perché, nella “dittatura relativista” ognuno vuole avere la sua personale opinione, e personale libertà di opzione su che cosa significhino per lui questi termini. Il risultato di questa libertà senza verità non è però la felicità, ma la scontentezza, la delusione, la depressione e in tanti casi la disperazione.
Ritengo utile, a questo riguardo, trascrivere l’ultima lezione della prof Procaccini, per dare un esempio a chi non ha potuto ascoltare la sua trasmissione, di che cosa significhi davvero EDUCARE! ”Riconoscete la vostra semenza, – ci avverte il sommo poeta Dante -, fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”. Ma, visto che la professoressa parla di Antoine de Saint-Exupéry, ecco una famosa frase tratta dalla sua celebre opera “Il Piccolo Principe”: «”Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Carissimi amici, buona giornata a tutti! Chi ha ascoltato la trasmissione del 6 aprile scorso, sa che abbiamo iniziato a parlare di un altro scrittore della letteratura francese del 900: Antoine de Saint-Exupéry, noto soprattutto quale autore del “Il Piccolo Principe”. In realtà la sua produzione è molto vasta, ma poco conosciuta. Abbiamo in passato focalizzato l’attenzione sulle sue due principali vocazioni. Penso che lo ricordiate: il volo e la scrittura. Vocazioni avvertite in tenerissima età e mai tradite.
Ci siamo intrattenuti sull’importanza che ha avuto per lui l’infanzia e il rapporto con la madre. Ed infine sulla sua vita tumultuosa, molto, molto avventurosa, e sulla sua costante ricerca di Dio. Era un personaggio amante dell’avventura e della vita. Vita intesa come partecipazione, impegno, responsabilità nei confronti dell’altro. Oggi mi ripropongo di completare la sua biografia, interrotta nell’ultima conversazione a causa della tirannia del tempo.
Continuerò ad avvalermi dell’ottima pubblicazione di Enzo Romeo, dal titolo “L’invisibile bellezza di Antoine de Saint-Exupéry, cercatore di Dio”, Edizione Ancora. Può darsi che qualcuno nel frattempo l’abbia anche letto. Con l’occasione ringrazio vivamente Enzo Romeo per aver realizzato un’opera culturale di ampio respiro, che permette di conoscere in modo approfondito un autore tanto significativo, ma purtroppo non sufficientemente noto.
Più che narrare le vicende della sua vita, mi preme entrare nell’animo di quest’uomo inquieto e tormentato, completamente immerso nell’esistenza, nell’esistenza terrena, con gli occhi sempre rivolti al cielo. Se la sua passione irrefrenabile per il volo può spiegare il suo amore per il cielo: il suo bisogno di scoprire un “oltre” più affascinante e più misterioso del cielo stesso, spiega altrettanto bene il suo anelito verso l’infinito, verso l’eternità.
A costo di risultare noiosa, sento la necessità di ribadire ancora una volta lo scopo di queste mie conversazioni iniziate ben 5 anni fa. Il mio intento è quello di scoprire la presenza di Dio negli abissi del cuore umano attraverso l’incontro con autori della letteratura italiana o straniera. In passato ho presentato autori italiani. Ora mi sto rivolgendo agli stranieri perché mi pare di aver esaurito, purtroppo – nella speranza di trovarne qualcun altro -, questi autori connotati da una profonda tensione verso il soprannaturale. Autori, ahi me, assai rari.
È importante confrontarsi con loro e risvegliare in noi esigenze spesso sopite, assieme a ideali, valori, slanci del cuore, soffocati da una quotidianità che ci porta ad immergerci nelle cose, perdendo di vista proprio quell’infinito e quell’eternità a cui siamo destinati. Eh questa è un po’ la nostra condizione.
Inoltrandoci nella vita di Antoine Saint-Exupéry potremo riflettere su tematiche quanto mai attuali, come la scristianizzazione di massa, la solidarietà, la fraternità. Fraternità, non solo sbandierata a parole, ma testimoniata attraverso l’impegno e il sacrificio personale. L’importanza, insomma, di realizzare il disegno di Dio in noi, compiendo un percorso di perfezione spirituale, non disgiunto, ovviamente, da quello umano e professionale.
E ancora rifletteremo su come la tecnologia possa migliorare la nostra vita, senza con ciò, renderci schiavi. E ancora su come salvare la nostra individualità, la nostra originalità e la nostra unicità, nonostante la globalizzazione e la dittatura del pensiero unico. Riflettere su tutto ciò significa, per noi adulti, prendere sempre più consapevolezza dei mali da cui siamo minacciati. Adesso però non è il caso di farne l’elenco, perché sarebbe troppo lungo, ma vogliamo soprattutto adoperarci per salvare i nostri figli. Ecco, bisogna salvarli fin dalla più tenera età, poiché dobbiamo renderci conto che fra le tante emergenze del mondo di oggi, quella educativa è una delle più gravi. Se ne parla, si, se ne parla anche a Radio Maria, ma non abbastanza in altri ambiti. E invece è diventata davvero un’emergenza!
Animati dalla volontà di accendere il nostro fuoco interiore – ed è già un impegno molto, molto importante! – per infiammare il nostro piccolo grande spazio sociale che ci è concesso, procediamo alla conoscenza di Saint-Exupéry, che nei suoi romanzi usa spesso parole quali eternità, amore, religione, civiltà cristiana, passione, impegno, sacrificio, responsabilità, condivisione, amicizia, bellezza. Sentite che famiglia ricca di parole, che veramente dovremmo tenere sempre presenti!
A proposito dell’eternità leggiamo questa sua bellissima similitudine: “L’uomo è come l’albero, che nelle sue radici nasconde il mistero della vita. Sa succhiare dalla terra la linfa necessaria per elevarsi. Se sapremo assomigliare ad un ulivo, e come lui bilanciare i rami che tendono in alto, allora gusteremo l’eternità”. Situata nella dimensione dell’eterno, la missione dell’uomo consiste … consiste in che cosa? Consiste nel superare il limite della brevità della vita attraverso l’azione creatrice. Azione creatrice che comporta, non solo l’arricchimento del singolo individuo – cioè il nostro – , ma dell’intera umanità. Per azione creatrice non si intendono cose mirabolanti. Qualsiasi azione, qualsiasi lavoro, qualsiasi attività, può essere, ed è, un’attività creatrice.
L’uomo, essendo un essere in divenire, deve tendere alla perfezione. Pensiamo ai notissimi versi di Dante Alighieri nei quali il sommo poeta, precisamente nel XXVI canto dell’Inferno, fa dire ad Ulisse: “Consideratela vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”. Ecco, penso che molti ricordino questa frase esemplare.
Possiamo affermare senza ombra di dubbio che Antoine de Saint-Exupéry ha fatto suo questo monito dantesco, testimoniando con la sua vita e proclamando nei suoi scritti l’importanza di utilizzare al meglio le proprie potenzialità. Cioè investire nel modo più proficuo, più costruttivo, i talenti che Dio ci ha donato, per ottenere il massimo da noi stessi. E qui dobbiamo sgombrare il campo dal pensiero che si operi per ambizione, per primeggiare, per poter dimostrare qualcosa. No, no, è tutt’altro questo, lo capite bene!
Rimanendo sempre nel tema del miglioramento, mi viene in mente il breve romanzo intitolato “Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach, la cui lettura o rilettura, consiglio a genitori e educatori. Questa lettura però andrebbe fatta insieme ai giovani o ai giovanissimi. Adesso è molto difficile stabilire che cosa si intenda per giovani o giovanissimi, anche perché i bambini sono molto precoci. Comunque questo piccolo romanzo andrebbe veramente letto. È, come è noto, un best seller degli anni Settanta. Ora ultimamente mi sembra che sia stato un po’ abbandonato, ma io vi consiglio di riprenderlo.
Per chi non lo conoscesse dico semplicemente che si tratta di un testo di formazione, il cui protagonista, il Gabbiano Jonathan, non si accontenta di volare come fa il suo gruppo, e di volare soltanto per procurarsi il cibo. No, no, lui vuole volare per superare sempre nuove sfide; per raggiungere traguardi sempre più impegnativi. Si parla, insomma, del percorso di auto-perfezionamento di questo gabbiano che impara a volare, uguale vivere, attraverso l’abnegazione, il sacrificio e soprattutto la gioia di farlo. L’entusiasmo, il piacere di impegnarsi.
Richard Bach dedica la sua storia metaforica al vero Gabbiano Jonathan che vive nel profondo di ognuno di noi. Si, il Gabbiano Jonathan vive nella nostra interiorità, come del resto vive il fanciullino di pascoliana memoria, di cui abbiamo parlato abbondantemente nella scorsa puntata. Mah, ogni tanto mi chiedo, soprattutto riferendomi a me stessa: quanti di noi hanno la consapevolezza e cercano di fare emergere queste perle dagli abissi in cui li abbiamo sepolti. Ce ne dimentichiamo purtroppo!
Per tornare ad Antoine de Saint-Exupéry, ribadiamo che egli è l’emblema dell’uomo che sente la vita come impegno, come responsabilità, come un bene immenso di cui dobbiamo rispondere al creatore e all’intera umanità. Nel 1939 il nostro autore è a tutti gli effetti una personalità. In gennaio è promosso ufficiale della Legion d’Onore e il mese successivo esce il suo romanzo “Terra degli uomini”, che negli Stati Uniti è scelto come libro del mese. Quindi è noto nell’ambito della letteratura. Nel contempo compie un viaggio in Germania dove gli vengono mostrate con ostentazione le conquiste sociali del nazismo, di cui egli prende atto con raccapriccio, nella convinzione che l’uomo si ridurrà come una formica se non ritroverà il rispetto dell’altro in quanto immagine di Dio. E quindi qui già si intuisce e intravede quale sarà la fine dell’uomo.
Saint-Exupéry cerca ostinatamente ciò che può restituire all’uomo il valore della sua esistenza. Tenta di trovare una chiave morale, che gli sembra che i suoi contemporanei abbiano smarrito. Pensate, già allora lui aveva questa intuizione. Intuizione che noi possiamo constatare essere più che vera. “Il tempo dell’attesa sta finendo. La Francia è ormai ad un passo dalla avventura bellica. Il primo settembre l’esercito tedesco varca la frontiera polacca e due giorni dopo Parigi e Londra dichiarano guerra alla Germania. Il 4 settembre Saint-Exupéry è mobilitato dall’aviazione con il grado di capitano e destinato a Tolosa come istruttore dei piloti. Ma fa di tutto per essere assegnato a una pattuglia operativa. “Voglio fare la guerra – dice – per amore e per religione interiore. Si, poiché tutto ciò che amo è minacciato”. Badate bene che non si tratta di un guerrafondaio, né di un uomo che ami la violenza, anzi.
Due mesi dopo, nonostante le sue precarie condizioni di salute, riesce a farsi assegnare a una squadra di ricognizione. Rifiuta di pilotare un caccia o un bombardiere perché non vuole uccidere, “ma sente di dover stare nel cuore della battaglia, uomo con gli uomini”. Queste sono parole sue. “Se bisogna essere sale della terra occorre mischiarsi e confondersi con la terra”. Il suo ormai è un impegno a tutto campo per la salvezza della nazione e la difesa dei valori fondamentali della civiltà in cui si riconosce.
Scrive: “È l’eredità spirituale del cristianesimo la sola fonte che può alimentare la rivolta contro labarbarie nazista. La casalinga tedesca, quando vedrà svuotare le culle ebree avrà unastretta al cuore elancerà, suo malgrado, un grido che le costerà la deportazione, ma che la traccia cristiana che rimane in lei non le farà trattenere”. Parole veramente incisive.
Mentre infuria il conflitto mondiale, mette in chiaro il suo concetto di civiltà. “Una civiltà è un’eredità di credenze, di costumi, di conoscenze lentamente acquisite nel corso dei secoli, che aprono all’uomo la sua dimensione interiore”. Ci dispiace fortemente che la civiltà di cui si sente parte non sappia far ardere i cuori delle persone. Ma ascoltiamo ancora le sue parole: “Una civiltà, come una religione, che si rammarica della mollezza dei suoi fedeli, si accusa da sola, perché è essa stessa che deve motivarli ed esaltarli. Allo stesso modo, è inutile lamentarsi dell’odio degli infedeli. Vuol dire che non si è riusciti a convertirli”. Che responsabilità che abbiamo tutti!
Questa civiltà, questa religione, che una volta ha infiammato gli apostoli, ha fatto crollare i tiranni, ha liberato gli schiavi, oggi non fa più nulla per mantenere vivi i suoi valori nel cuore degli uomini. È tristissimo, ma a mio avviso è molto vero. Sempre più vero. Come nuova etica è stato proposto l’arricchimento di stampo capitalistico e materialistico. Per che cosa dovrebbe esaltarsi un giovane? Si gioca in borsa, si discute di auto nei bar, si fanno solidi affari con la finanza, e ci si dimentica che siamo tutti abitanti dello stesso pianeta, passeggeri di una stessa nave. Pensiamo a quello che succede nel mondo. Come facciamo noi a sentirci fuori? Continua lui: “Quando dico che ciascuno è responsabile di tutti, sono nella grande tradizione di Sant’Agostino”.
Ecco, secondo me l’insegnamento è grande e va letto e ripensato, perché si modifichi anche il nostro cuore, che qualche volta, forse anche per l’assuefazione di fronte alle cattive notizie e alle tragedie del mondo, si indurisce, si preserva, quasi si difende. Infatti questa analisi fatta circa un secolo fa, per la sua attualità non può che indurci a riflettere, a riflettere sull’oggi.
Tutti conosciamo la realtà in cui viviamo. Tutti, ma in particolare chi ha qualche filo d’argento fra i capelli, non si ritrova più in una società che si sta avviando con una velocità impressionante verso l’autodistruzione. Tutti sappiamo che la profezia di Robert Hugh Benson, de il suo “Padrone del mondo”. Ricordate? Ne abbiamo parlato a lungo e per alcune puntate. Beh, questa previsione catastrofica, purtroppo, è diventata realtà. La deificazione dell’uomo, di cui parla con insistenza Hugh Benson. Questa deificazione si sta realizzando in pieno. L’uomo si sente il padrone della vita, il padrone del mondo.
Ecco, a questo punto, fatta questa analisi, che fare? Dobbiamo rassegnarci all’ineluttabile? Vivere secondo la logica del “carpe diem”? Del cogliere l’attimo fuggente? Sentirci vittime incolpevoli e rimanere lì prostrate e passive? Ammantarci di indifferenza? Perdere la speranza, o ancora peggio, accusare Dio di essersi dimenticato di noi? Eh, trovo che sia negativo fare tutto ciò. Quindi dobbiamo evitarlo, perché questi sono atteggiamenti, non solo anticristiani, ma oltretutto sterili e controproducenti. Non servono assolutamente a nulla. Come dicevamo l’altra volta: dobbiamo combattere la nostra battaglia quotidiana per salvare le nuove generazioni. Proteggiamo i bambini da tutta una cultura che li uccide prima di nascere, o li getta senza alcuna precauzione in pasto agli idoli dominanti.
Capisco perfettamente quanto sia difficile educare. È un compito sempre più arduo. È sempre stato difficile, ma ora più che mai. Cerchiamo comunque di partire da ciò che il fanciullo è e ha nel suo patrimonio genetico, per orientarlo verso una vita bella, ricca di entusiasmo e di sane aspirazioni. Potenziamo le sue capacità! Valorizziamo i suoi piccoli successi, senza però farli sentire come degli dei. Diamo però importanza a ciò che riescono a fare di buono! Incoraggiamolo nelle difficoltà. Aiutiamolo ad avere stima di se stesso; sempre e innanzitutto perché è figlio dell’amore dei genitori e del Padre celeste. Poi perché ogni creatura umana è un essere unico e irripetibile! Questo non lo ricordiamo abbastanza. Inoltre è sempre importante tener presente la piccola via di Santa Teresa di Lisieux. Non tutti siamo chiamati a compiti eccezionali. No, no, la maggior parte di noi non è destinata alla notorietà, né tantomeno a diventare famosa con imprese fuori del comune. No, la nostra vita è molto più semplice!
Ma in questa vita “normale”, ricordiamo la via suggerita dalla piccola carmelitana: “Compiere le cose ordinarie in modo straordinario”. Quanto ci esalterebbe sapere di aver fatto bene quello che ci è stato chiesto di fare! Insegnamo ai nostri figli, non solo a svolgere il proprio lavoro in qualsiasi ambito, come quello domestico, scolastico, sportivo o ricreativo. A svolgerlo con correttezza e precisione, ma anche con l’intento di raggiungere risultati sempre più soddisfacenti. Di superare sempre nuovi ostacoli.
Purtroppo anche lo studio – che è il compito principale dei ragazzi e dei bambini – oggi ha perso ogni valore, sia per molti genitori, e soprattutto per moltissimi ragazzi. L’importante è strappare la promozione, quando questa – diciamocelo pure – è diventata quasi un diritto garantito dalle istituzioni. Voglio dire che il 6 non si nega a nessuno, e alla fine nemmeno il diploma. Ma dove è finito il piacere di conoscere e di scoprire nuovi orizzonti? Ma dove è finito?
Si pensa che internet possa sostituire il processo formativo della scuola, cadendo così nell’ennesimo clamoroso errore di pensare che una macchina possa sostituire il processo formativo. Ma una macchina non può sostituire il rapporto interpersonale fra alunno e docente. La scuola non trasmette più che nozioni. Ma le nozioni le possiamo trovare anche altrove. La scuola fornisce il metodo per acquisire queste nozioni e per rielaborarle. La scuola guida ai processi logici che portano ad un apprendimento vero! La scuola ti infonde l’entusiasmo (Almeno dovrebbe farlo. Ndt), ti infonde il calore con cui ti fa avvicinare alla scienza. Ma non so purtroppo se la scuola si senta ancora investita di questo compito così importante!
Ed ecco perché la famiglia dovrebbe ancor più farsi carico della formazione, anche culturale, oltre che affettiva, emotiva, morale e sociale dei figli. In un’epoca in cui si tende alla superficialità, alla deresponsabilizzazione, al pressapochismo, al tutto e subito, all’arte di arrangiarsi al guadagno facile, trovare un professionista, un’infermiere, un artigiano, una commessa, un cameriere, anche un addetto ai servizi più umili, eccetera, che ami il suo lavoro e lo compia con passione, spirito diabnegazione, onestà, competenza, con l’intento di compiere un servizio utile per la collettività, beh, trovare una persona così è un’esperienza che ci riscalda il cuore e ci accarezza l’anima, tanto ne abbiamo bisogno, tanto latroviamo raramente!
Quando ci capita, per esempio, di fare questa felice esperienza, non lasciamola passare senza una sottolineatura, senza un apprezzamento che gratifichi chi ci ha regalato un po’ di se stesso, e se possibile serva come esempio ai nostri figli di vera grandezza. Servirà a loro come stimolo e servirà anche a ridimensionare la loro tendenza a credere che l’uomo importante debba necessariamente bucare lo schermo televisivo o quello cinematografico. (Basta vedere le pazzie e l’esaltazione con cui i giovani e adolescenti seguono i loro “idoli” , cantanti o sportivi che siano, anche se spesso non sono dei veri esempi da seguire. Ndt). O apparire nelle pagine web sui vari social network. Debba avere insomma una visibilità a qualsiasi costo o una notorietà anche creata nel malcostume, nella perversione. Questa è una deformazione mentale che dobbiamo combattere perché sta prendendo sempre più campo. Penso che siate d’accordo con me.
Riprendiamo ancora il nostro discorso sulla personalità di Antoine de Saint-Exupéry, l’autore del Piccolo Principe per poi, attingendo da lui, fare delle riflessioni sulla nostra attuale realtà, soprattutto in relazione al problema educativo. A proposito della comunicazione legata alla tecnologia, mi piace ricordare ciò che diceva circa 80 anni fa Antoine de Saint-Exupéry, quando la tecnologia non aveva raggiunto i livelli di oggi, però lui parla profeticamente dell’era della comunicazione di massa.
Scrive: “Qualcosa di nuovo è in formazione nel nostro pianeta. I progressi materiali dei tempi moderni hanno certamente unito gli uomini in un vero e proprio sistema nervoso. I legami sono innumerevoli. Le comunicazioni sono istantanee. Siamo materialmente uniti come cellule in uno stesso corpo, ma questo corpo non ha ancora un’anima”. Ecco, questa è una frase sulla quale dovremmo fermarci: “non ha un’anima”. E chissà cosa direbbe se si trovasse a vivere nel nostro presente. Non oso immaginarlo.
Ormai la tecnologia è diventata una divinità, ahi me, necessaria, con la quale, volenti o nolenti, dobbiamo misurarci quotidianamente. E purtroppo chi non si è aggiornato per motivi di età o di altro, è tagliato fuori. Finisce con l’essere in un mondo che non gli appartiene più, che non riesce ad accoglierlo, perché lui è un diverso. Non si tratta di criminalizzare la scienza e le sue applicazioni, si tratta piuttosto di non diventarne schiavi, di non cadere nella trappola della dipendenza.
Se un ragazzino chatta con i suoi amici per condividere le sue scoperte, esperienze, emozioni, ben venga! È una cosa senz’altro da incoraggiare. Tutt’altra cosa è la comunicazione priva di contenuti e di finalità, fatta solo per vincere la noia, la solitudine, il vuoto, il vuoto interiore che attanaglia anche i ragazzi.
Purtroppo gli adulti – a tal proposito – non sono spesso dei buoni modelli. Dobbiamo perciò uscire dal conformismo e avere il coraggio di adottare stili di vita che possano promuovere la crescita della persona, non l’appiattirla e omologarla! Ricordiamoci di quel detto: “Un bambino che legge sarà domani un uomo che pensa”. Ma un bambino che legge, di solito vede leggere i propri genitori. Vede genitori appassionati alla lettura, che non stanno sempre e solo sullo smartphone o davanti al computer.
Poi, leggere fino a una certa età non può essere un’attività solitaria. Dev’essere un momento di comunione con l’adulto. Un’occasione di vicinanza intellettuale ed affettiva. Dobbiamo accendere l’animo dei nostri figli, aiutarli ad innamorarsi di ciò che è buono e bello. Facciamo loro scoprire i valori su cui si fonda la nostra civiltà cristiana e su cui si fonda anche la nostra natura umana. Perché noi abbiamo anche delle esigenze profonde che non possiamo reprimere, non possiamo sprecare! Soprattutto non combattiamo contro il mondo, perché è una battaglia persa, ma combattiamo a favore della vita, dell’amore, della solidarietà, della bellezza. E sicuramente il mondo migliorerà, anche per merito nostro. Forse non riusciremo a vederne i risultati, ma siamo certi che i nostri sforzi non andranno persi. Il seme gettato può anche cadere sull’asfalto, fra i sassi, fra i rovi, ma qualche seme sicuramente andrà a buon fine, e cadrà sul terreno giusto. E soprattutto prepariamo questo terreno per accogliere il seme! Questa è la cosa che più dovrebbe impegnarci di più.
Tutto questo e molto di più ci ha incitato a fare coi suoi testi e con la sua esistenza Antoine de Saint-Exupéry, che confida all’amico Breton: “L’uomo ha bisogno non di odio, ma di fervore. Non si muore contro: si muore per”. Ecco, non mi soffermo su questo passaggio, perché ne parleremo con gli ascoltatori.
In quei voli sulla Francia in fiamme e fra le mitragliatrici dei caccia nemici, sente e si dice sicuro di conoscere tanto bene quanto un Padre della Chiesa, qual è la più grande tentazione. Cedere alle ragioni della logica. Antoine impara a sperare quando tutto è disperazione. “Disperare significherebbe negare Dio presente in noi.E sottrarsi al dovere della speranza vorrebbe dire ritenersi più importanti di Dio”.
Questo tema della speranza, che è molto scottante, perché in un mondo il cui scenario è fatto solo di pianti, di preoccupazioni, di minacce, di tragedie, di dolore, riuscire a sperare non è facile. Però anche il Papa lo sa bene, eh? Tanto che ieri ha parlato proprio della speranza, e ha detto delle frasi lapidarie, che rimangono impresse. Ha detto che “il cristiano deve essere l’olio della speranza, e non l’aceto della disperazione”. E ha poi aggiunto: “Se è vero che finché c’è vita, c’è speranza, è altrettanto vero che fin che c’è speranza, c’è vita”. Come sentite, sembrano addirittura aforismi, tanto sono incisivi.
Se la speranza, oltre ogni evidenza è una prerogativa dell’uomo Saint-Exupéry, un’altra virtù che possiede oltre misura, è quella della carità intesa come fratellanza e condivisione, attenzione per chiunque si trovi nel bisogno. L’abbiamo già detto, ma è bene ribadirlo, perché è un’altra virtù difficile da vivere.
Scrive nei suoi carné: “Siamo gli uni per gli altri dei pellegrini che attraverso diversi cammini avanziamo faticosamente per giungere allo stesso appuntamento”. Ecco, lo stesso concetto dell’essere tutti nella stessa barca, di essere in cordata, di essere legati a doppio filo l’uno con l’altro. E questa è una grande verità.
Lui compiange l’uomo immiserito dalla mancanza del senso del divino. Guarda i compagni che dormono al suo fianco. Sono nobili. Retti, puri, fedeli, eppure terribilmente poveri. Persone che avrebbero tanto bisogno di Dio. Ecco, le virtù umane sono senz’altro ammirevoli, lodevoli, però devono essere sostanziate, devono essere supportate dalla presenza di Dio.
A tal proposito viene da pensare che tanti uomini di oggi il loro dio l’hanno trovato: eh, è il Principe del mondo! Questo dio è evidente nel consumismo, nel benessere, nel divertimento, nel potere, eccetera. È il Principe del mondo che li lusinga, li illude, ma alla fine poi li distrugge! Mettiamo in guardia i giovani, perché fra un Dio che ti dice: ”Prendi la tua croce e seguimi”, e un dio che ti promette la felicità sulla terra, capite bene che la scelta è scontata, soprattutto in un giovane! Eh, il Dio che ti invita a portare la croce dietro a Lui, non è così accattivante come chi ti promette di essere felice fin da subito senza nessuno sforzo.
Il 29 giugno del 1944 Saint-Exupéri compie 44 anni, e supplica il comandante Gavoil di lasciargli prendere il suo posto nella missione di ricognizione nell’area di Anneçi. È la zona della Francia dove si trova Saint Maurice, il luogo dove lui aveva trascorso la sua infanzia felice. Quindi una zona a lui molto cara. Durante il volo lo scrittore subisce una avaria e si salva per miracolo. Le missioni di ricognizione continuano a ritmo accelerato. Gavoile è sempre più inquieto. Sono evidenti i limiti dello scrittore, che fa fatica anche ad indossare gli indumenti da pilota. Il comandante si decide finalmente ad un faccia a faccia. Deve parlargli! Non può più lasciarlo andare così allo sbaraglio. In piena notte bussa alla sua porta. Non ha intenzione di rimproverarlo ma vuole soltanto dargli qualche consiglio: raccomandargli di essere cauto, visto che ha il record degli incidenti. Fa cadere il discorso su certe imprudenze commesse durante la missione del 29 giugno.
Saint-Exupéry comprende e lo supplica di lasciarlo volare. “Come Parlare della Francia se non si prende parte al rischio”? Questo è lui. Lui vuole esserci, vuole rischiare in prima persona. Ma più si soffre e si lotta per sopravvivere, e si muore, come potrebbe lui starsene in pantofole? E poi ha già visto negli occhi la morte. Non ha paura di affrontarla. Morire non è niente quando si sa per chi si muore. Questo è l’atteggiamento proprio del martire. Ad un tratto chiede al comandante, gli prende la valigetta con i suoi manoscritti e gli dà tutte le istruzioni per il dopo. Ripeto, il dopo. Sconvolti iniziano entrambi a piangere. Questo è quanto scrive Gavoile. Il generale Chamber rammenta invece che mentre vive gli ultimi giorni di vita, il pilota aveva raggiunto una tale trascendenza spirituale e una tale altezza, che non poteva più ridiscendere sulla terra degli uomini.
Gli si offrivano solo due soluzioni: o essere ucciso in guerra, o chiudersi in una celletta dell’Abazia di Solesmes. Il destino ha scelto per lui la prima soluzione, cioè quella di essere ucciso in guerra. Le ultime righe scritte da Antoine somigliano molto ad un epitaffio: “Se sarò ucciso non rimpiangerò assolutamente niente. Il formicaio futuro mi spaventa”. La notte fra il 30 e il 31 luglio, il giorno della sua ultima missione, rientra in camera molto tardi, tanto che si tiene pronto un altro pilota per sostituirlo. Ma il mattino Saint-Exupéri, taciturno, si presenta in pista e prende posto sul suo apparecchio P38. Alle 8.45 decolla con destinazione la Savoia. Alle 13, ora prevista per il ritorno alla base, egli non rientra. I radar cercano invano il suo aereo. Alle 14.45 il pilota viene dato per disperso. Come ho già detto, aveva da poco compiuto 44 anni.
Sono state fatte molte illazioni e ipotesi sulle cause della sciagura, ma le ricerche non hanno portato a nessun riscontro oggettivo. Finalmente nel 1998 un pescatore marsigliese trova nelle reti a strascico un braccialetto in argento. L’oggetto è tutto incrostato di calcare. A malapena si legge un nome: Antoine de Saint-Exupéry, con accanto quello di una donna: Consuelo. Sappiamo che Consuelo era sua moglie.
Nel settembre del 2003 vengono ripescati alcuni pezzi del velivolo. Solo una parte del mistero è svelata, cioè il luogo dove si è inabissato l’apparecchio. Una località legata ai suoi affetti più intimi. La mamma di Antoine in quei giorni abitava a Cabri, non lontano da Cannes. E la sorella minore ad Abbi, presso Saint Raphael. Lo scrittore aveva forse voluto salutare i suoi cari sorvolando quei luoghi prima di prendere la direzione della Corsica. E forse questo gli è stato fatale. Non sapremo mai la verità. Ma in fondo non ha importanza.
Viene in mente la preghiera tratta da Cittadella, il suo ultimo romanzo: “Signore, quando un giorno riporrai nel granaio la tua creazione, spalancaci le porte e facci penetrare là dove non ci verrà più risposto, perché non ci sarà più alcuna risposta da dare, ma solo la beatitudine, soluzione di ogni domanda e Volto che appaga”. La mamma, Marie, nella Pasqua del 1945, 8 mesi dopo la morte di Antonio, compone una poesia in cui emerge la sua fede e il suo dolore per un figlio a cui è stata negata anche la sepoltura. Vi leggo questi pochi versi: “Dovunque cerco il mio bambino, dal giorno della sua nascita ho urlato per metterlo al mondo, e urlo ancora oggi poiché non so niente di lui. Più niente, neanche una tomba. Ma la sua fame di luce era tale che ivi è salito, pellegrino delle stelle. Pellegrino del cielo. È arrivato alle lanterne di Dio? Ah, se lo sapessi piangerei meno sotto il mio velo”.
Il 2 febbraio 1972 – pensate quanto è sopravvissuta la mamma al figlio! – , la pétite maman ormai completamente cieca, raggiungerà la stella a cui aspirava ormai da tanto tempo. Ella diceva: dove il Piccolo Principe la stava aspettando. Ecco, io direi di fermarmi qui per non rubarvi troppo tempo. La prossima volta inizieremo ad analizzare il Piccolo Principe. Per questa volta vi inviterei a discutere e riflettere sul problema educativo, perché è quello che ci sta più a cuore. E che possiamo prendere ispirazione per la nostra opera altamente delicata e preziosa, anche da questa figura eccelsa che è Antoine de Saint-Exupéry. Vi ringrazio per la vostra pazienza e aspetto i vostri interventi.
(Nelle loro numerose domande i radioascoltatori hanno espresso la preoccupazione, principalmente per le nuove schiavitù in cui cadono sempre più sia gli adulti che i giovani, causate dai moderni mezzi di comunicazione, come la televisione, i computer, i tablet e i telefonini, che se mal usati, creano isolamento, incomunicabilità, assuefazione e diseducazione. Termino con le due ultime significative domande e risposte. La professoressa, in una delle sue risposte invita i genitori e gli educatori ad unirsi per combattere contro questa emergenza. Ndt).
Buon giorno! Sono Francesca dalla provincia di Nuoro. Ho sentito solo l’ultima parte della trasmissione, ma conoscendo un po’ Saint-Exupéry, mi sento di dire qualcosa visto che il tema centrale è quello dell’educazione. Io sono una insegnante, ora non più in servizio, ma se dovessi iniziare a insegnare rivoluzionerei tutta la mia didattica. Ho due cose da dire, sia ai genitori che agli insegnanti: “Non passano le parole, se non nel modo con cui vengono dette”. Questa è una cosa centrale e che è difficile da capire perché non se ne fa esperienza. Papa Francesco giorni fa ha detto che “quando ci sono dei conflitti, non pensate di poterli risolvere con le parole, ma facendo le cose insieme”. Fare le cose insieme significa dedicare tempo, pazienza, amore, comprensione, accoglienza, eccetera. Ma voglio ricordare ancora un altro elemento, e cioè ciò che ha detto la Madonna in un suo messaggio. Ha detto: “Pregate finché la vostra preghiera diventa gioia”. Allora, siccome siamo all’interno di Radio Maria e il pubblico che ci ascolta è formato da gente in ricerca e dal popolo mariano, io voglio dire che se non si prega non si fa assolutamente niente. Per ragione di tempo non posso dilungarmi sui particolari, ma questa è la mia esperienza quotidiana.
Procaccini. – è chiaro che il Padre Eterno e la Madonna ci concedono le grazie col tempo, con la pazienza, con l’insistenza e non bisogna stancarsi. Perché – prosegue l’interlocutrice – i tempi di Dio, i suoi disegni e pensieri non sono i nostri, perché la nostra conoscenza è necessariamente limitata e per questo, in qualche modo “falsa”. Tutto quello che lei dice – prosegue la Procaccini – è giusto, solo che la mia preoccupazione, purtroppo, è che molti genitori, soprattutto i più giovani, non hanno questa formazione religiosa e umana, e quindi non possono trasmettere quello che non hanno. Per questo mi rivolgo soprattutto ai nonni, perché possano, almeno loro, trasmettere questi valori e adottare questi metodi, che i genitori non conoscono. E non conoscendoli sono nell’impossibilità di educare i figli in questo modo sano, cristiano e umano. Io sono molto favorevole a una catechizzazione dei genitori, prima che dei bambini, perché i genitori hanno bisogno per primi, di crescere, poi potranno svolgere il loro compito educativo. Grazie per il suo prezioso intervento! La ringrazio tanto!
Pronto. Sono Maria da Bari. Ho ascoltato con piacere la sua lezione. Siccome i problemi che sono stati esposti, praticamente li viviamo tutti, io ho un nipotino di 6 anni che è schiavo del tablet. E questo mi duole tantissimo, perché si accanisce in una maniera tale da subire delle violenze, persino dal punto di vista fisico, ma anche da quello educativo. Io sono la nonna e non riesco in nessun modo a renderlo capace di svincolarsi da queste catene. Che cosa debbo fare?
Procaccini. – Giochi con lui. Gli legga qualche fiaba! Bisogna fargli vedere che, se le pagine del tablet hanno il loro fascino, lo hanno anche le parole dei racconti e delle fiabe. È necessario cercare di tirarlo su altre sponde, in modo che lui possa apprezzare e capire che c’è dell’altro, oltre al suo cellulare. Che c’è altra Bellezza da scoprire. Per questo è però importante che anche i genitori seguano la stessa linea educativa. Senza il supporto dei genitori non è che potrà fare molto. La ringrazio!
Sono Manuela da Torino. Io sono stata una schiava dei telefonini e di tutta quella che è la moderna tecnologia, e voglio incoraggiare le mamme e i genitori a far presente ai figli che possono finire schiavizzati, finendo col non aver voglia di fare niente, con strane paranoie. Questo è ciò che provavo io. E dico un’altra cosa, e cioè di stare attenti alle musiche che ascoltano. Infatti, ascoltando molta di quella musica noto che, non solo c’è un incitamento alla ribellione, al sesso libero e ad altre brutture.
Procaccini. – Scusi, se ho capito bene, lei è uscita da questa dipendenza … Risposta. “Si, ne sono uscita grazie a Medjugorje. Sono stata là in preghiera per 5 giorni e ho avuto la grazia. Per questo vorrei dare a tutti un consiglio: “Ora più che mai c’è bisogno di pregare il Santo Rosario! È veramente una grazia. La Madonna ci aiuta! Almeno una persona in famiglia preghi il Rosario! Io ho 25 anni e ormai non vivo senza questa preghiera. Ho visto grandi miracoli, perché Dio aiuta veramente”! La professoressa ringrazia per la bella testimonianza e saluta dando appuntamento al primo giovedì di agosto.
(A questo punto vorrei terminare con le parole della migliore educatrice in assoluto, che è Maria, Regina della Pace, col messaggio dato a Mirjana il 2 giugno scorso a Medjugorje. Ndt):
Cari figli,
come negli altri luoghi in cui sono venuta a voi, così anche qui vi invito alla preghiera. Pregate per coloro che non conoscono mio Figlio, per quelli che non hanno conosciuto l’amore di Dio; contro il peccato, per i consacrati, per coloro che mio Figlio ha chiamato ad avere amore e spirito, forza per voi, per la Chiesa. Pregate mio Figlio, e l’amore di cui fate esperienza per la sua vicinanza vi darà la forza e vi disporrà alle opere di carità che compirete nel suo nome. Figli miei, siate pronti: questo tempo è un punto di svolta. Perciò io vi invito nuovamente alla fede e alla speranza, vi mostro la via per la quale dovete andare, ossia le parole del Vangelo. Apostoli del mio amore, al mondo sono così necessarie le vostre mani innalzate verso il Cielo, verso mio Figlio, verso il Padre Celeste! E’ necessaria molta umiltà e purezza di cuore. Abbiate fiducia in mio Figlio e sappiate che potete sempre essere migliori. Il mio Cuore materno desidera che voi, apostoli del mio amore, siate piccole luci del mondo. Che illuminiate là dove la tenebra vuole regnare, che con la vostra preghiera e l’amore mostriate agli altri la strada giusta e salviate anime. Io sono con voi. Vi ringrazio!

da: www.libertaepersona.org

giovedì 15 giugno 2017

“Siamo tutti fuori”: itinerario alla scoperta di G. K. Chesterton

di Giulia Tanel 

“Per la prima volta in vita mia ogni sillaba pronunciata da lui aveva sapore. Anzi, non solo aveva sapore in sé, ma dava sapore ai miei giorni
“. Scrive così Annalisa Teggi nell’introduzione a Siamo tutti fuori – Viaggio nel paese delle meraviglie di G. K. Chesterton (Berica Editrice, 2016), un agile ma denso libro di ‘appunti’ su diverse opere del celebre scrittore inglese. Infatti, precisa l’Autrice, “non è un saggio letterario su Gilbert Keith Chesterton. Non è esauriente dal punto di vista biografico. Non è metodico, non è sistematico. Sono i quaderni dei miei primi otto anni di scuola elementare“.

Chesterton, dal canto suo, non si definiva uno scrittore bensì un giornalista, “perché anche un poeta o un romanziere può essere, in fondo, nient’altro che un giornalista se a tema dei suoi contenuti c’è uno sguardo attuale sull’umanità. Anche l’uomo comune è un giornalista, se abita con meraviglia e senso critico i fatti di ogni suo giorno” (p. 91). Un senso critico che ha portato questo grande autore a essere quasi un profeta del nostro tempo, tanto complesso quanto incompreso.
Chesterton aveva a cuore l’uomo, che “non è – nota la Teggi – una scimmia evoluta; è un’anima immortale den- tro un corpo che deperisce. È un unicuum, che va protetto abbracciando la sua carnalità imperfetta con la fortezza dei suoi bisogni eterni“. Siamo uomini finiti che aspirano all’infinito, anche se spesso ci illudiamo (e lo facciamo tutti!) di poter riempire da sé il vuoto che si sente dentro nel vivere senza il Creatore, finendo per cadere sotto la tirannia delle mode e del pensiero unico.
Un totalitarismo delle idee travestito da democrazia, una schiavitù realizzata nel nome della libertà, in un contesto dove, “come le onde del mare, sono visibili (e tollerabili) solo delle opposizioni superficiali e insignificanti, purché l’acqua sottostante resti placida. Tutto ciò è segno di una dittatura subdola cui fa comodo che esista una democrazia formale per ingannare la vista. A quanto pare le «pecore» umane non sono così sveglie da chiedersi come mai, se siamo così liberi, andiamo tutti in giro con la medesima pelliccia bianca” (p.105).
Spesso siamo uomini vivi solo fisicamente, ma morti dentro, nichilisti fin nell’intimo, come nota Chesterton in Uomovivo.
Di fronte all’analisi (effettivamente impietosa) che Chesterton dà della società, si potrebbe essere presi dallo sconforto: non c’è più speranza, l’umanità si è oramai persa e non è possibile ritrovare la bussola. Invece non è affatto così, come nota la Teggi: “A partire da questa pars destruens, Chesterton edifica la speranza, come ragionevole presenza. Se tutto il mondo è solo un caotico ammasso che tende al nulla, perché ne è parte una creatura che per natura contraddice il caos e il nulla, essendo capace di generare legami con l’esistente? Se il nulla e il caos sono la cifra dell’universo, perché dell’universo fa parte anche una sentinella?” (p. 30).
A tutte queste domande Chesterton una risposta l’ha data, e il libro Siamo tutti fuori – Viaggio nel paese delle meraviglie di G. K. Chesterton di Annalisa Teggi ne fornisce uno spaccato ampio e originale, con quel tocco di leggerezza che fa tanto del bene alla letteratura, nella nostra mentalità ‘scolarizzata’ così spesso rivestita di una pesante patina di noia.

da: www.libertaepersona.it