di Domenico Bonvegna
Abbiamo più
volte notato come certo giornalismo, ma anche tanto intellettualismo deforma i
fatti, la realtà. Spesso da quello che scrivono si deduce che vivono in un loro
mondo immaginario, lontani dalle cose reali. Molti lo hanno scritto a proposito
del voto della Brexit in Gran Bretagna, per le elezioni americane, ma
anche per il referendum sulla riforma costituzionale in Italia, del 5 dicembre
scorso. In tutti questi casi, la lettura della stragrande maggioranza dei media
e degli intellettuali era completamente lontana dalla realtà, o perlomeno si
era tentato di deformarla.
Peraltro
qualcosa di simile avviene nel presentare i discorsi di Papa Francesco,
facendolo apparire quello che non è.
In questi giorni
su questo argomento ho letto un bellissimo libro, oserei dire profetico, perchè
pubblicato più di quarant'anni fa. Si tratta di “L'intelligenza in
pericolo di morte”, scritto da un filosofo cattolico belga, professore
universitario, Marcel De Corte.
Del saggio di De
Corte ci interessa soprattutto il terzo capitolo,“L'informazione
deformante”, nonostante l'età, mi sembra ancora oggi attuale. Qui il
professore descrive egregiamente il lavoro degli intellettuali che attraverso i
mass media, i giornali, la televisione, ora potremmo aggiungere la rete
internet, deformano e smantellano la realtà sociale.
L'intelligenza era in pericolo di morte quarantasette anni fa, quando De Corte
ha scritto il saggio, a maggior ragione è in pericolo oggi. Del libro ho letto
l'edizione pubblicata nel 1973, dal mitico editore Giovanni Volpe,
presentata e tradotta dal francese da Orsola Nemi. Recentemente il saggio è
stato pubblicato soltanto da Effedieffe, valorosa casa editrice che però
è di nicchia e quindi difficilmente raggiungerà i grandi canali di diffusione
letteraria.
Oggi l'uomo è
condizionato dai mass media, che sono“strumenti condizionatori”. “Disavvezzo
a pensare col proprio cervello, - scrive la Nemi - egli preferisce
pigramente la illusione alla realtà, quindi non è più capace di conoscere Dio,
da cui ogni realtà deriva”. Pertanto, l'uomo di oggi, è “colpito,
esautorato nella intelligenza, che è la sede di ogni libertà, è esposto ai
pericoli di qualsiasi propaganda, vi è tanto abituato che non vede come le
parole che gli vengono quotidianamente imbandite non coincidono con la realtà
in cui si muove”.
Per De Corte,“l'intelligenza
si è invertita. Invece di conformarsi al reale, ha voluto che il reale si
conformasse alle sue ingiunzioni”. Così l'uomo immagina una società
costruita da lui, che non ha più riferimenti con i principi immutabili,
acquisiti per sempre dall'umanità. Così attraverso l'informazione, l'uomo
diventa “padrone del suo destino collettivo: può, a suo piacimento farsi
sul piano sociale, ridotto e identificato con l'economico, nell'attesa di farsi
individualmente secondo la volontà propria,liberata dalle servitù della
materia da una informazione esauriente”.
L'uomo con
l'informazione diventa capace “di essere il suo proprio demiurgo, il
fabbricatore di se medesimo, l'homo faber di se stesso”.
Il testo di de
Corte è una serrata critica della società di massa e del sistema democratico
moderno scaduto ormai in demagogia. Il professore francese fa leva sugli studi
di Augustin Cochin, il genio francese che ha ben studiato
l'azione deformante e la distruzione dell'intelligenza durante il giacobinismo
della Rivoluzione Francese. Intanto si precisa che la democrazia odierna,“non
ha nessuna comune misura con la democrazia del passato, con la democrazia
ateniese per esempio, o con le democrazie comunali del Medio Evo, più di quanto
l'abbia con la democrazia legittima descritta da Pio XII, seguendo i grandi
filosofi politici del passato, o con la democrazia elvetica di oggi”.
Tuttavia per De
Corte il cittadino non si comporta allo stesso modo nei due sistemi, anche se
hanno lo stesso nome. Le antiche democrazie erano a misura d'uomo, qui
il cittadino conosce direttamente e per esperienza i problemi che deve
risolvere. Non accade allo stesso modo nelle democrazie moderne, dove“le
questioni poste al cittadino sono talmente ampie e complesse che egli non può
conoscerne i dati attraverso la sola fonte autentica di conoscenza:
l'esperienza”.
Secondo De
Corte, il cittadino dei regimi democratici moderni, assomiglia molto a un“re
merovingio di cui bisogna cercare altrove il maggiordomo”. Pertanto questo
cittadino,“è obbligato a ricorrere all'immagine che se ne foggia
nell'interno del suo pensiero e a proiettarla nella pasta molle e amorfa di ciò
che si chiama società per darle una forma”.
Ma essendo molto
limitata la capacità immaginativa del cittadino si appella agli “informatori,
che gli offrono modelli prefabbricati”, cioè ai giornalisti, agli
intellettuali. Così il cittadino immerso nell'immaginario, per esprimere la sua
volontà politica,“entra nell''isolatore' (la cabina elettorale).
In pratica “è chiamato a trasformare il mentale nel sociale, immaginario
nella realtà, il logico in ontologico”.
De Corte insiste
nella dura critica della democrazia moderna. Per lui,“non esiste. Esistono
nel nudo scenario delle democrazie, le minoranze dirigenti che conquistano lo Stato
Vacante, ne occupano i posti di comando, sia direttamente, sia per
interposta persona. Tali minoranze, che detengono le leve dello Stato
democratico, non possono agire se non FACENDO COME SE LA DEMOCRAZIA ESISTESSE,
sinceramente o o, consapevoli o no”.
Per il filosofo
francese questa minoranza illuminata detiene il vero potere, che“non possono
governare i cittadini se non ingannandoli e persuadendoli di detenere loro
tutti i poteri, mentre sono privati del potere fondamentale di decisione e
direzione che determina tutti gli altri e che possiedono solo verbalmente”.
Secondo De
Corte,“in nessuno periodo della storia, il cittadino è stato sprovvisto di
potere reale quanto nella democrazia moderna”. Augustin Cochin l'ha
ammirabilmente dimostrato nei suoi studi per tutte quelle, società o gruppi “della
Repubblica delle Lettere, Accademie, Logge”; tutte hanno lo stesso
carattere: “sono egualitarie nella forma, e i loro membri fraternamente
riuniti, figurano liberi, spogli di ogni aggancio, da ogni obbligo, da ogni
funzione sociale effettiva”. Praticamente i membri per entrare in queste
società si liberano di tutte le caratteristiche che hanno nelle loro comunità
naturali: famiglia, mestiere, parrocchia, villaggio, regione. Qui in pratica
non hanno“nè interessi diretti, né responsabilità impegnata nelle cose di
cui parlano”. Queste associazioni hanno il solo scopo di esprimere
opinioni, attraverso discussioni e voti. “Amputati da ogni effettiva
relazione con le realtà sociali della vita quotidiana, costoro non possono che
imporre in anticipo e senza appello, anzitutto a se stessi, e poi al pubblico
che addottrinano, il punto di vista della intelligenza soggettiva,
irreale[...]”. Pertanto, “in quelle città del pensiero, tutto si dice,
tutto s'immagina lontano dagli esseri e dalle cose, fuori dell'esperienza,
dalla tradizione, dal realismo del senso comune che impone all'intelligenza il
mondo degli oggetti[...]”.
De Corte,
facendo parlare sempre Cochin, afferma che in quel mondo della Rivoluzione
francese, in quella“Città del pensiero”, all'essere reale e personale
dell'uomo si sostituisce un essere sociale e fittizio”. Così
non siamo più nel mondo vero,“ma in un universo di parole, in un traffico di
discorsi, di scritti”, ridicolo per un mondo reale. Anche De Corte non si
meraviglia che la maggior parte dei cosiddetti ”intellettuali” siano di
“sinistra”, ci si domanda perchè mai “i grandi centri d'informazione:
agenzie di stampa, giornali, attualità cinematografica, radio, televisione,
università, centri di ricerche, eccetera, siano imbottiti di rivoluzionari, di
proseliti della sovversione o di 'simpatici' liberali, che si prestano
sorridendo a fare la parte di furieri del nihilismo”. Sarebbe sorprendente
il contrario. Certo esistono le eccezioni, tuttavia questi centri sono popolati
di gente che non accetta la condizione umana, sono lontanissimi quanto più
possibile dalla vita quotidiana degli uomini e“sono quasi tutti amputati dal
rapporto fondamentale con la realtà e con il principio della realtà”.
Secondo De
Corte, “la cerchia della informazione è lontanissima dalle cerchie naturali,
dove si svolge la vita vera degli uomini, dove nulla accade di 'nuovo', se non
l'incessante rinnovarsi della vita[...]”. De Corte è lapidario, a questo
proposito, “è paradossale che le intelligenze amputate debbano essere dal
'sistema' chiamate a guidare le normali intelligenze”.
Tuttavia a
questa morte delle intelligenze non si è arrivati in poco tempo, è da due
secoli che si lavora per rendere le menti sradicate dalla realtà e ridurle alla
pura soggettività. Ci sono mille esempi di questa operazione di sradicamento ad
opera di “filosofi” che hanno minato le fondamenta dell'antico regime con la
loro critica e con la informazione deformante di fatti reali. Gli informatori
democratici, gli intellettuali, giornalisti, sono in stretto rapporto con
le masse che informano. Praticamente lavorano su “raggruppamenti
artificiali, inorganici, omogenei, ridotti ad amalgama docile e plasmabile,
dispongono di un'autentica macchina capace, se maneggiata secondo le
regole, di colpire le menti e farle pensare o agire come loro decidono”.
Sostanzialmente
secondo De Corte è la stessa legge che resse le società di pensiero, di due
secoli fa. Questa legge,“ impose uno o due macchinisti per manovrare 'la
macchina' e vuole che la democrazia moderna abbia continuamente a capo
informatori che martellano l'opinione amorfa e le permettano di esprimersi”.
Il tema
necessita di ulteriori chiarimenti, alla prossima.