mercoledì 18 ottobre 2017

Pubblichiamo una poesia di Giuseppe Pappalardo

La storia di Rosa Balistreri

Rosa di tìa, ppi tìa, vògghiu cantari
la vita, li tò peni, lu duluri,
stu cantu mi lu sentu dintra u cori,
cantu perciò la storia e li tò amuri.

Penzu ccu quanti làcrimi e allammicu
tu cci cuntasti, prima di muriri,
a Cantavèniri avvucatu e amicu
comu la vita ti fici suffriri.

Nascisti di famìgghia puvireḍḍa,
fìgghia di la misèria e di na matri
ca travagghiava n casa, mischineḍḍa…
ḍḍi quattru liri, sulu di tò patri.

Tu fusti maritata a sìdici anni
a un omu jucaturi e vicariotu
di nomu Jachinazzu; un malacarni
ca di tò fìgghia si jucò la doti.

Tu ppi la ràggia (fu daveru troppu!)
quasi ca l’ammazzavi. E la galera
fu la tò casa pi sei misi. E ddoppu
finiù ca ti mpiegasti a cammarera.

Lassi la tò Licata, vai m-Palermu.
Ti metti ncinta un fìgghiu di patruni.
Iḍḍu ti porta, nòbbili di nfernu,
a dòrmiri e campari gnuni gnuni.

Quanti misteri, Rosa, avisti a fari!
vinnennu ficudìnnia e babbaluci…
Fu, tannu, ca ddicidi di mparari
a scrìviri. E sbucciava la tò vuci.

Tu ti ricordi quannu, sacristana,
facisti nnamurari a ḍḍu parrinu?
«Pòvira sugnu, sì; ma no buttana»
pinzasti. E un trenu fu lu tò distinu.

Ḍḍu trenu ti purtò nzinu a Firenzi;
puru na soru tò vinni ccu tìa.
È tempu di duluri e di spiranzi.
Mori tò patri. Nasci la puisìa.

Firenzi! c’è Manfredi, lu tò amuri.
È tempu di vuscàrisi du sordi,
è tempu di scurdari lu duluri:
eccu lu primu ddiscu ccu Ricordi.

È tempu di vidiri lu tò nomu
ccu Gnàziu, ccu Busacca e Dàriu Fo.
Si gràpinu li porti di Milanu
a ssa riggina ch’è la vuci tò.

All’ùrtimu turnasti ccà, nni nuàtri,
nun serva cchiù, ormai na granni artista.
Nfuḍḍìscinu li chiazzi e li tïatri,
nfuḍḍìscinu li genti a la tò vista.

Finisci ccà la storia, lu tò cantu,
ssa vita tò di paradisu e nfernu,
ma la tò forza, ma lu tò talentu,

càmpanu ancora ccà, di stati e mmernu.


La storia di Rosa Balistreri   Rosa di te, per te, voglio cantare/ la vita, le tue pene, i tuoi dolori,/ questo canto me lo sento dentro il cuore,/ canto perciò la storia e i tuoi amori.// Penso con quante lacrime e languore/ tu raccontasti, prima di morire,/ a Cantavenere avvocato e amico/ come la vita ti ha fatto soffrire.// Nascesti da famiglia disagiata,/ figlia della miseria e di una madre/ che lavorava in casa, poveretta;/ quelle quattro lire, solo da tuo padre.// Tu fosti data in sposa a sedici anni/ a un uomo giocatore e malandrino/ di nome Gioacchinaccio; un mascalzone/ che si giocò la dote di tua figlia.// Tu per la rabbia (è stato veramente troppo!)/ quasi che l’uccidevi. E la galera/ fu casa tua per sei mesi. E dopo/ finì che ti impiegasti come cameriera.// Lasci la tua Licata, vai a Palermo./ Ti mette incinta un figlio di padrone./ Lui ti conduce, nobile d’inferno,/ a dormire e vivere in ogni dove.// Quanti mestieri, Rosa, hai dovuto fare!/ vendendo fichidindia e lumache…/ Ma, allora, tu hai deciso di imparare/ a scrivere. E sbocciava la tua voce.// Tu ti ricordi quando, facendo la sacrista,/ fai fatto innamorare un prete?/ Povera sono, sì, ma non prostituta»/ pensasti. E un treno diventò il tuo destino.// Quel treno ti portò sino a Firenze,/ anche una tua sorella ti seguì./ È tempo di dolori e di speranze./ Muore tuo padre. Nasce la poesia.// Firenze! c’è Manfredi, il tuo amore./ È tempo di guadagnarsi un po’ di denaro,/ è tempo di dimenticare il dolore: ecco il primo disco con Ricordi.// È tempo di vedere il tuo nome/ con Ignazio, con Busacca e Dario Fo./ Si aprono le porte di Milano/ a codesta regina che è la tua voce.// In ultimo sei ritornata qui, con noi,/ non più serva, ormai una grande artista./ Impazziscono le piazze e i teatri,/ impazzisce la gente alla tua vista.// Termina qui la storia, il tuo canto,/ codesta vita di paradiso e inferno,/ ma la tua forza, ma il tuo talento,/ vivono ancor qui, d’estate e d’inverno.//               

venerdì 13 ottobre 2017

Per Antonino Lo Piparo

di Tommaso Romano

La poesia siciliana ha due fiati espressivi che si sono misurati nella vicenda letteraria e negli echi, con alterne fortune. Il primo di questi ha ottenuto riscontri critici, storicizzazioni e attestazioni accademiche e di antologie paludate: è quella che a parole si riallaccia alla storia popolare e locale, in realtà trasferendo nell'idioma, con sperimentalismi discutibili, tutto il peso -  a volte benefico, a volte artefatto - di una erudizione e ricerca qualche volta malcelata, spesso intellettualmente assai smaliziata.
Il secondo gruppo, un tempo assai numeroso e gioiosamente produttivo di testi naive, trasmetteva le proprie bucoliche e dolci liriche senza curarsi del successo fra i piani alti della cultura; molti inoltre erano analfabeti senza complessi di inferiorità, possedendo viva creatività e spontaneità come proprio sigillo veritativo.
A questo secondo gruppo, di poeti popolari e capaci di buone letture e sapienti ed essenziali scritture, appartiene Antonino Lo Piparo, più volte premiato con merito e facente parte del prestigioso Circolo Giacomo Giardina, egregiamente presieduta da Giuseppe Bagnasco, il poeta pecoraio che fu amico di Lo Piparo. Oggi festeggiando lui e tutti noi il suo novantesimo, ci consegna un volume ricapitolativo frutto di una intera vita di affetti, di lavoro e di amore genuino per la poesia, sempre assai gradevole nella forma originale, nel lessico semplice e incisivo, nel ritmo delle colorate immagini che si dipanano nella fedeltà alla tradizione identitaria con metafore puntuali, scaltre, suggellate da ironia sottile  e da paradossi, accompagnati da un complice sorriso che trapela anche dai versi e che si coglie dai canti popolareschi autentici, sempre graditi al pubblico di astanti e lettori e vissuti dal poeta come un compito, un paladinesco destino  a difesa dell'umano, del vero del buono, di ciò che non può e non deve scomparire nei flussi effimeri e avviluppanti della caotica modernità', con particolare riferimento alla memoria e alla storia ,specie quella della sua Baaria, costitutivo del genius loci.
Dicitore incantevole e forbito, Lo Piparo ha trovato nel palcoscenico teatrale e cinematografico (specie con Peppuccio Tornatore), ulteriore suggello per il suo estro creativamente nativo.
Lo Piparo mi ricorda le vivide descrizioni che il mio Grande Amico Giuseppe Bonaviri tesseva dei poeti popolari di Mineo, i quali si riunivano a Camuti per cantare a quelle montagne la voce ancestrale del loro cuore delle speranze e delle sofferenze. Ricordo Bonaviri non a caso perché' il geniale scrittore siciliano ha testimoniato come pochi la profondità dell'isola, il mito, il simbolo della terra come pochi altri.
Il problema estetico e glottologico sono secondari come tali dal Nostro, rispetto alla incubosa preponderanza dei poeti "colti" che scrivono invece senza posa con accanto il Mortillaro o il Traina, alla spasmodica ricerca di un a Koinè francamente improbabile.
Il nostro Lo Piparo, come ditta dentro secondo Dante, è un uomo che ha felicemente sconfitto il nichilismo con la parola, il tedio con la resa mimica, il tempo che passa con la serenità che sa cogliere e custodire con garbo e modi sempre ispirati alla cortesia, al rispetto e alla gentilezza.
Lo piparo è un dono d'altri e più felici tempi, che si umanizzano nella postura e nella comprensione sempre vigile dei fatti, delle cronache delle notizie che rielabora con lievità e trasparenza, con intima spiritualità e sincera moralità.
Caro Lo Piparo, la poesia del sangue siciliano è il sangue vivo della tua poesia.
La comunità' bagherese può e deve esser fiera di annoverarti fra i suoi figli degni di lode di stima, di affetto.
La bellezza della vita è nei tuoi versi sinceri e nel candore della tua anima infinita.

mercoledì 11 ottobre 2017

La curiosità del mondo

La coesione di una comunità, il suo talento nel condividere e tramandare la propria memoria, si misura - tra le altre cose - sulla capacità di rendere omaggio alle persone che, con la loro vita, il loro esempio, il loro impegno, mai si sono sottratti all'amore per la città e la sua gente. 
Così il 13 ottobre prossimo il Centro Studi Angelo Fiore ricorderà il Professor Natale Tedesco - già Presidente del Comitato Scientifico del Centro - a un anno esatto dalla scomparsa, nell'ambito della manifestazione "Territorio e memoria: percorsi letterari". La piccola kermesse, intitolata La curiosità del mondo (Santa Flavia, ore 17,30, presso la Sala Basile di Villa Filangeri) è stata immaginata e organizzata come ideale dialogo, amichevole chiacchierata, passionale e sentimentale disputa con allievi, amici, scrittori che hanno avuto consuetudine con il Professore Emerito di Letteratura Italiana dell'Università palermitana (ricordiamo, tra gli altri, i suoi saggi fondamentali su De Roberto, Sereni, il Crepuscolarismo, Svevo). A ricordare, e dialogare, con il critico militante, con il conoscitore d'arte ed esperto di pittura contemporanea, con l'appassionato cultore di cinema ci saranno Marcello Benfante, Salvatore Ferlita, Donatella La Monaca, Claudia Carmina, Tommaso Romano e Maurizio Padovano. In maniera diversa, e personale, tutti gli intervenuti tratteggeranno il proprio ricordo di Natale Tedesco; forse racconteranno il loro particolare rapporto di amicizia e di solidarietà culturale: tutti loro, sicuramente, non mancheranno di farlo sotto forma di dialogo, qui e adesso, con un personaggio che, in qualche modo, non ha ancora smesso di parlare con la sua città, i suoi amici, i suoi cari.

Il Centro Studi Angelo Fiore

lunedì 2 ottobre 2017

Relazione del Metropolita Hilarion di Volokolamsk

Il 22 settembre si è tenuto un simposio internazionale sul Futuro Cristiano dell’Europa nella residenza dell’Ambasciatore russo in Gran Bretagna. Il discorso di apertura è stato tenuto dal Metropolita Hilarion di Volokolamsk, Direttore del Dipartimento per le Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca.

Vostre Eminenze e Vostre Eccellenze, caro Sig. Ambasciatore, organizzatori e partecipanti alla conferenza,
Saluto cordialmente tutti coloro che si sono riuniti oggi presso l’Ambasciata russa a Londra per partecipare a questa conferenza dedicata alla questione del futuro del cristianesimo in Europa. Questo argomento non solo non perde alcunché della sua importanza, ma si ripresenta sempre di nuovo. Gli esperti ritengono che oggi il cristianesimo sia non solo la comunità religiosa più perseguitata del pianeta, ma che si ritrova anche a dover affrontare nuove sfide che riguardano le basi morali della vita dei popoli, la loro fede e i loro valori.
I decenni recenti hanno visto una trasformazione nello scenario religioso ed etnico dell’Europa. Tra le ragioni di essa vi è la più grande crisi migratoria del continente dalla fine della seconda guerra mondiale, causata dai conflitti armati e dai problemi economici dei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Secondo i dati dell’agenzia europea Frontex, più di 1,8 milioni di migranti sono entrati nell’UE solo nel 2015 [1].
I dati della relazione dell’ONU sulla migrazione internazionale mostrano che il numero dei migranti in Europa è aumentato da 49,3 milioni di persone nel 2000 a 76,1 milioni di persone nel 2015 [2].
Secondo la ricerca dell’Organizzazione Internazionale sulle migrazioni dell’ONU, in tutto il mondo circa l’1,3 per cento della popolazione adulta, che comprende circa 66 milioni di persone, nel prossimo anno intende spostarsi in un altro paese per viverci definitivamente. Circa un terzo di queste persone - 23 milioni - sta già progettando di muoversi. Il 16,5 per cento dei potenziali migranti che sono stati interpellati ha risposto che i paesi in cima alla loro lista sono Gran Bretagna, Germania e Francia. [3]
L'altro motivo della trasformazione della mappa religiosa dell’Europa è la secolarizzazione della società europea. I dati di un sondaggio britannico indicano che più della metà degli abitanti del paese - per la prima volta nella storia - non è legato ad una particolare religione.
2942 persone hanno partecipato ad un sondaggio condotto nel 2016 dal Centro Nazionale per le Ricerche Sociali in Inghilterra: il 53% di esse, alla domanda sulla fede religiosa, hanno risposto di non appartenere ad alcuna confessione religiosa. Tra i giovani dai diciotto ai venticinque anni, il numero di non religiosi è maggiore - il 71 per cento. Quando una ricerca analoga venne condotta nel 1983, solo il 31% degli intervistati dichiarò di non appartenere ad alcuna confessione. [4]
Possiamo vedere una tendenza opposta nei paesi dell’Europa dell’Est, in particolare in Russia. Un sondaggio condotto in Russia dal Levada-Center ha mostrato un forte calo del numero degli atei e dei non credenti: dal 26 per cento nel dicembre 2015 al 13 per cento nel luglio 2017. [5] Questo, naturalmente, non significa che il restante 83 per cento siano credenti praticanti.
Molti si definiscono “religiosi in qualche modo” o “non troppo religiosi”, ma sono comunque legati ad una delle religioni tradizionali. Tuttavia, il numero di persone che si autodefiniscono “molto religiose” sta crescendo costantemente.
Lo stato attuale della vita religiosa nella società russa è direttamente legato ai tragici eventi di cento anni fa. La catastrofe storica del 1917 ha comportato in Russia una guerra civile fratricida, il terrore, l’esilio dei migliori rappresentanti della nazione oltre i confini della loro patria e il deliberato annientamento di interi strati della società - la nobiltà, i Cosacchi, il clero e i contadini benestanti. Essi vennero dichiarati “nemici del popolo” e i loro parenti furono sottoposti a discriminazione e diventarono “privi dei diritti civili”, cosa che li ridusse ai limiti della sopravvivenza.
Tutto questo terrore si verificò sotto l’egida di un’ideologia comunista che combatteva ferocemente la religione. 
Milioni di credenti furono sottoposti alla più crudele persecuzione, a molestie, discriminazioni e repressioni: dalla derisione e dal licenziamento dal posto di lavoro fino alla carcerazione e alla fucilazione da parte dei plotoni d’esecuzione. La Chiesa in quegli anni generò una grande moltitudine di martiri e confessori della fede che, come diceva San Paolo, “furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia.” (Ebrei 11, 35-36).
La discussione sul futuro del cristianesimo in Europa è impossibile senza comprendere le prospettive per la sopravvivenza della religiosità tra i suoi abitanti.
La ricerca condotta dal Centro per lo Studio del Cristianesimo Mondiale presso il Collegio Teologico Gordon-Cornwell, USA, indica che il numero dei cristiani in Europa sarà costantemente in calo: da 560 milioni di persone nel 2015 a 501 milioni entro il 2050. [6]
I calcoli del Pew Research Center sono più pessimisti e prevedono una riduzione dei cristiani in Europa da 553 milioni di persone nel 2015 a 454 milioni di persone entro il 2050. [7]
Si tratta di previsioni allarmanti, ma che riflettono le tendenze attuali nella trasformazione dell’immagine religiosa dell’Europa e non possono essere ignorate. Alcuni suggeriscono che, a meno che non venga messa in essere una speciale forzatura, l’Europa non potrà cessare semplicemente di essere cristiana in forza del fatto che essa è stata cristiana per molti secoli.
Io vorrei ricordarvi che in Russia prima del 1917 nessuno aveva mai supposto che si sarebbe verificato il collasso di un impero cristiano secolare e che sarebbe stato sostituito da un regime totalitario ateo. E anche quando questo è accaduto, pochi credevano che fosse grave e per lungo tempo.
L‘odierno moderno declino del cristianesimo nel mondo occidentale può essere paragonato alla situazione dell’Impero Russo prima del 1917. La rivoluzione e i drammatici eventi che ne seguirono avevano profondi motivi spirituali, così come sociali e politici. Da molti anni l’aristocrazia e l’intellighenzia avevano abbandonato la fede e furono poi seguiti dalla gente comune. 
Sua Santità il Patriarca Kirill di Mosca e di Tutta la Russia ha parlato di questo nel gennaio 2017: “La rottura fondamentale del modo di vivere tradizionale - e ora sto parlando ... dell’auto-coscienza spirituale e culturale del popolo - fu possibile solo perché qualcosa di molto importante era scomparso dalle vite dei popoli, in primo luogo dalle vite delle persone appartenenti all’élite. Nonostante una prosperità esteriore ed apparente e le realizzazioni scientifiche e culturali, fu lasciato sempre meno spazio nella vita dei popoli ad una vera e sincera credenza in Dio, alla comprensione dell’importanza eccezionale dei valori appartenenti alla tradizione spirituale e morale.”[8]
Negli immediati anni del dopoguerra il cristianesimo ha svolto un ruolo rilevante nel processo di integrazione europea, che è stato considerato nel contesto della guerra fredda come uno dei mezzi per contenere l’espansione della propaganda atea e dell’ideologia comunista.
Nella sua propaganda anticomunista, il Vaticano faceva affidamento sull’unità europea, sui partiti cristiano democratici dell’Europa occidentale. Quest’ultima credeva fermamente che la civiltà occidentale fosse strettamente legata ai valori cristiani e doveva essere difesa dalla minaccia comunista. Papa Pio XII sosteneva la creazione di una comunità europea come “missione storica dell’Europa Cristiana”.
Il primo presidente della Repubblica Federale di Germania, Theodor Heuss, affermava che l’Europa era stata costruita su tre colline: l’Acropoli, che le ha dato i valori di libertà, filosofia e democrazia; il Capitolino [Campidoglio] , che rappresentava i concetti giuridici e l’ordine sociale romani; e il Golgotacioè il cristianesimo. [9] Va anche rilevato che i padri fondatori dell’Unione Europea erano uomini profondamente religiosi - ad esempio il ministro degli esteri francese Robert Schuman, il cancelliere della Repubblica Federale di Germania Konrad Adenauer e il ministro degli Esteri italiano Alcide De Gasperi.
E quando, mezzo secolo dopo la creazione dell’Unione Europea, stava per essere scritta la sua costituzione, sarebbe stato naturale per le Chiese cristiane aspettarsi che in questo documento venisse incluso il ruolo del cristianesimo, come uno dei valori europei, senza che questo contrastasse con la natura secolare delle autorità di un’Europa unificata.
Ma, come sappiamo, questo non è accaduto. L’Unione europea, nello scrivere la sua costituzione, ha rifiutato di menzionare il suo retaggio cristiano anche nel preambolo del documento.
Io credo fermamente che un’Europa che abbia ripudiato Cristo non sarà in grado di preservare la sua identità culturale e spirituale.
Per molti secoli l’Europa è stata la casa dove hanno vissuto fianco a fianco diverse tradizioni religiose, ma allo stesso tempo la casa in cui il cristianesimo svolgeva un ruolo predominante.
Questo ruolo si riflette in particolare nell’architettura delle città europee che sono difficili da immaginare senza le loro magnifiche cattedrali e le numerose chiese, anche se di più modeste dimensioni.
Un monopolio dell’idea secolare si è impadronito dell’Europa. La sua manifestazione è l’espulsione della visione religiosa del mondo dall’ambito pubblico. L’articolo 4 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione basate sulla religione e il credo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1981, afferma che "Tutti gli Stati dovranno adottare misure efficaci per prevenire ed eliminare la discriminazione in base alla religione o al credo, nel riconoscimento, nell’esercizio e nel godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali in tutti i campi della vita civile, economica, politica, sociale e culturale”. [10]
Gli architetti della società secolare hanno guardato all’aspetto giuridico della questione: formalmente si può confessare qualsiasi religione, ma se si cerca di motivare le proprie azioni attraverso la fede religiosa e la libertà di coscienza e incoraggiare gli altri ad agire secondo la loro fede, allora nel migliore dei casi si verrà sottoposti a censura, o, nel peggiore dei casi, a procedimento penale.
Ad esempio, se uno è medico e si rifiuta di eseguire un aborto, [11] o l’eutanasia, [12] facendo riferimento ai suoi principi religiosi, costui infrange la legge.
Se sei un pastore protestante e vivi in un paese in cui le unioni dello stesso sesso sono legali, hai poca possibilità di rifiutare a questa coppia il diritto del matrimonio in chiesa e nel contempo rimanere impunito da parte dello Stato.
Così, per esempio, il primo ministro svedese Stefan Löfven ha affermato di recente che tutti i pastori della Chiesa di Svezia dovrebbero essere obbligati ad amministrare i matrimoni in chiesa per le coppie dello stesso sesso, ed ha aggiunto che “io vi vedo un parallelo con l’ostetrica che rifiuta di eseguire aborti. Se si lavora come ostetrica si deve essere in grado di eseguire gli aborti, altrimenti bisogna fare un altro lavoro ... E lo stesso vale per i preti”. [13]
Tali personaggi politici sono l’esatto contrario di quelli che hanno fondato l’Unione Europea e questo tipo di retorica, a mio avviso, è un suicidio per il continente europeo.
La legalizzazione dell’aborto, l’incoraggiamento della promiscuità sessuale e i sistematici tentativi per minare i valori della famiglia hanno portato ad una profonda crisi demografica in molti paesi europei. Questa crisi, accompagnata da una crisi d'identità, porterà ad una situazione in cui altri popoli, col tempo, verranno ad abitare in Europa, con una diversa religione, una diversa cultura e un diverso paradigma di valori.
Spesso viene usato il linguaggio dell’odio nei confronti dei cristiani, quando essi insistono sul loro diritto di partecipare agli affari pubblici. Essi dovrebbero godere dello stesso diritto degli appartenenti a qualsiasi altra religione o degli atei; tuttavia, in pratica non è così: ogni anno si registrano decine di casi di discriminazione contro i cristiani a motivo delle loro credenze. Questi casi vengono evidenziati dai media e diventano argomento di discussione pubblica, ma il risultato è che la situazione nel suo complesso non cambia.
Nell’odierno mondo moderno europeo la secolarizzazione militante è stata trasformata in un potere autonomo che non tollera il dissenso. Esso permette a gruppi di minoranza ben organizzati di imporre con successo la loro volontà alla maggioranza, col pretesto del rispetto dei diritti umani. Oggi i diritti umani in sostanza sono stati trasformati in uno strumento per manipolare la maggioranza e la lotta per i diritti umani in una dittatura della minoranza sulla maggioranza.
Purtroppo dobbiamo constatare che questi non sono incidenti isolati, ma un sistema di valori già formato, sostenuto dallo Stato e dalle istituzioni sovranazionali dell’UE.
In una situazione in cui è in atto una pressione aggressiva dei gruppi che propagano idee inaccettabili per la morale cristiana tradizionale, è essenziale unire gli sforzi delle Chiese per contrastare questi processi, agire congiuntamente nei media, nell’ambito del sostegno legale, come pure nella comune propagazione dei valori cristiani a tutti i livelli possibili. È importante che le Chiese condividano le loro esperienze in questo ambito e sviluppino la cooperazione tra le organizzazioni dei diritti umani delle chiese e i centri di controllo.
Io credo che sia importante che i cristiani d’Europa stiano spalla a spalla per difendere quei valori sui quali è stata costruita per secoli la vita del continente e considerino le afflizioni e le costernazioni dei cristiani in tutto il mondo come proprie.

NOTE

1 - Frontex Risk Analysis Network Quarterly Report. Q4 2015. http://frontex.europa.eu/assets/Publications/Risk_Analysis/FRAN_Q4_2015.pdf
2 - International Migration Report 2015. United Nations Department of Economic and Social Affairs/PopulationDivision.        http://www.un.org/en/development/desa/population/migration/publications/migrationreport/docs/MigrationReport2015.pdf
3 - Measuring Global Migration Potential, 2010–2015. Issue No. 9, July 2017. http://publications.iom.int/system/files/pdf/gmdac_data_briefing_series_issue_9.pdf
4 -  Il numero di non credenti nel Regno Unito per la prima volta superava il 50% [sito in russo].
http://www.bbc.com/russian/news-41154931
5 - https://www.levada.ru/2017/07/18/religioznost
6 - http://www.gordonconwell.edu/ockenga/research/documents/StatusofGlobalChristianity2017.pdf
7 - http://www.pewforum.org/2015/04/02/religious-projections-2010-2050/
8 - Presentation by His Holiness Patriarch Kirill at the opening of the XXV Nativity Educational Readings http://www.patriarchia.ru/db/text/4789256.html
9 -  Chiese cristiane e integrazione europea: i parametri dell'interazione [sito in russo] http://orthodoxru.eu/ru/index.php?content=article&category=publications&id=2012-09-17-1&lang=ru
10 - http://www.un.org/ru/documents/decl_conv/declarations/relintol.shtml
11 - http://www.intoleranceagainstchristians.eu/case/medical-directors-dismissal-reversed.html
12 - Catholic care home in Belgium fined for refusing euthanasia. http://www.catholicherald.co.uk/news/2016/07/04/catholic-care-home-in-belgium-fined-for refusing-euthanasia/
13 -       http://www.intoleranceagainstchristians.eu/case/swedish-prime-minister-priests-should-perform-same-sex-marriages.html

da: www.univox.it

domenica 1 ottobre 2017

Demografia, la scienza incomoda

di Roberto Pecchioli

La demografia è una scienza trascurata e non di rado negletta perché incomoda. Sa dire sul futuro la sua parte di verità, ma è messa da parte per ragioni ideologiche, calcoli indicibili, probabilmente per scelte criminali di lungo termine che devono restare celate ai popoli. Una scienza, quella demografica, fortemente interdisciplinare e di grande capacità predittiva, a cavaliere tra l’antropologia, la sociologia, la biologia e la statistica matematica, poco popolare, tranne forse in circoli di esperti di geopolitica ed in pensatoi riservati, eppure indispensabile per capire quale futuro attende il nostro mondo ed il modello di società in cui viviamo. Nel presente intervento non intendiamo esprimere valutazioni o pareri personali, bensì esporre le convinzioni di alcune personalità intellettuali di primo piano.
Iniziamo ricordando uno sfogo di Giuliano Amato, risalente alla triste stagione del suo governo, allorché sbottò nei confronti degli italiani contrari all’immigrazione, ricordando loro che non si poteva dire no all’entrata di stranieri e contemporaneamente non avere figli. Discorso complesso, ma che aveva almeno il pregio di richiamare, da parte di un responsabile politico, all’elementare necessità della riproduzione sociale anche attraverso la catena generazionale. Amato, e l’intera classe dirigente nazionale ed occidentale di cui egli è membro da almeno quarant’anni, peraltro non solo non hanno fatto nulla per evitare la denatalità e ribaltare l’inverno demografico, anzi hanno costruito un sistema – politico, civile, culturale – assolutamente sfavorevole alla ripresa della natalità.
Nello stesso periodo – i flussi migratori erano già iniziati, ma erano imparagonabili per ampiezza alla situazione presente – si scomodò Sua Altezza Eugenio Scalfari, in una delle sue torrenziali omelie settimanali sul quotidiano da lui fondato. Forse non del tutto dimentico dei suoi esordi su fogli di guerra in difesa della razza (ohibò!) giudicò la nazione italiana autoctona degna di sussistere e di attraversare altri secoli di storia. Bontà sua. Più recentemente, Ettore Gotti Tedeschi, altissimo esponente della finanza cattolica, apprezzato saggista, legato al Vaticano, amico personale e confidente del Papa emerito Benedetto XVI, ha scritto quanto segue: “l’immigrazione è un mezzo pianificato e giustificato (un fine dichiarato dal segretario dell’ONU) dalla crisi economica. La crisi non è causa, ma effetto dell’ignoranza delle leggi naturali della demografia. La causa di questa ignoranza è il pensiero neomalthusiano ambientalista che considera l’uomo cancro della natura”.
Tutto assolutamente vero, tranne per un punto, ovvero la responsabilità degli ecologisti, che è largamente inferiore a quella degli ambienti economici e finanziari di vertice, come rileva un intellettuale senza paraocchi come Marco Della Luna. Di lui, economista monetario, ma anche sociologo e psicologo autore di numerosi libri di grande importanza, citiamo un brano di Oltre l’agonia, un testo che, in una situazione culturale e politica normale sarebbe conteso dalle grandi case editrici, contenente un’intuizione notevole. “Per la prima volta nella storia recente, si prevede che le condizioni di vita delle nuove generazioni saranno peggiori di quelle delle precedenti. Ciò mi suggerisce che la corrente replacement immigration, ossia immigrazione sostitutiva (di noi), finanziata coi soldi delle nostre tasse, voluta e progettata dalle élite cosmopolite (come era ben evidente nella campagna per delegittimare Donald Trump) abbia lo scopo di sostituire le popolazioni bianche, divenute pessimiste e poco prolifiche, quindi poco adatte a sostenere l’ordine del capitalismo finanziario, con popolazioni che, partendo da una condizione attuale pessima, hanno al contrario forti e realizzabili aspettative di miglioramento per il futuro, quindi fanno molti figli e domani molti investimenti, a sostegno del sistema”.
Sia Gotti Tedeschi sia Della Luna poi ricordano che la scarsa propensione a mettere al mondo figli fu fortemente diffusa ed incoraggiata negli anni 60 e 70 del secolo trascorso dalle medesime élite con argomenti relativi alla produttività e all’incremento della ricchezza che si sarebbe arrestato se gli europei avessero continuato ad essere genitori prolifici. Su quelle posizioni si distinse Henry Kissinger, uomo di vertice dell’establishment americano ed occidentale.
Pochissimi giorni fa abbiamo letto con attenzione e stupore, per le tesi che vi sono sviluppate e per l’importanza del medium coinvolto, il prestigioso quotidiano madrileno di area liberale El Mundo, una lunga intervista al professor Alejandro Macarròn, cattedratico di ingegneria delle telecomunicazioni, direttore della fondazione Rinascimento demografico. Il suo libro più noto, Suicidio demografico in Occidente sarà presto disponibile in lingua inglese; dubitiamo invece raggiunga gli scaffali delle librerie italiane.
Per l’ampiezza delle conoscenze, capacità di sintesi, profondità di analisi e per la trattazione davvero organica dei fenomeni collegati all’inverno demografico dell’Occidente, ne tracciamo un ampio riassunto, con l’avvertenza che Macarròn ha studiato ed elaborato innanzitutto i dati concernenti la sua patria, la Spagna, il cui andamento demografico ed il cui rapporto con l’immigrazione extraeuropea sono assai simili a quelli italiani, specialmente per la non casuale circostanza che l’ondata migratoria si è abbattuta in entrambi i paesi durante – e nonostante – il persistente ciclo economico negativo ed in presenza di una disoccupazione autoctona molto pesante.
Macarròn inizia citando uno dei massimi economisti spagnoli contemporanei, Juan Velarde, con il suo avvertimento “andando avanti così, la Spagna sparisce, ma sparisce per davvero “. Il problema della natalità non è urgente come una crisi economica. Ciononostante, è un fatto inesorabile che se proseguirà una natalità tanto bassa, Spagna (ed Italia) spariranno. C’è ancora tempo, i giochi non sono fatti del tutto, ma è pura matematica. Non è cosa opinabile, se non si inverte la rotta si va verso l’estinzione, che tarderà ancora un paio di generazioni, ma intanto dovremo vivere in una società scompensata, senza bambini. Impressiona il poco caso che si fa ad un argomento tanto decisivo per il futuro.
Assistiamo ad una vera e propria ondata di invecchiamento generalizzato. I dati sono desolanti, l’età con popolazione più numerosa è in Spagna quella di chi, nato nel 1970, ha 47 anni. E’ interessante notare che la natalità italiana comincia a calare un po’ prima, nel 1964, che resta l’anno più prolifico; questo si spiega con l’impatto dei nuovi paradigmi culturali dominanti, che hanno raggiunto noi con qualche anticipo sui cugini iberici. In Francia, Germania ed Inghilterra, la curva della natalità comincia ad inclinare al basso alla fine degli anni 50 per identici motivi, ma le statistiche successive risentono delle enormi ondate migratorie in quelle nazioni, e, per la Francia, si è verificata una inversione importante a seguito di forti interventi sociali e fiscali pubblici.
L’inverno demografico è divenuto drammatico nell’Europa dell’Est a seguito dell’abortismo diffuso negli ultimi dieci – vent’anni del comunismo e poi per la povertà susseguente all’impianto violento del capitalismo dopo il 1989. Solo la Russia di Putin, consapevole della natura vitale e storica del tema, sta faticosamente risalendo la china, tanto che la popolazione russa è in lenta, ma confortante risalita da alcuni anni. In Spagna, osserva Macarròn, nascono meno bimbi che nel Settecento, anche al netto della diminuzione della mortalità infantile. Ogni anno, se i ritmi sono quelli attuali, nascerà il 2% in meno di spagnoli. Alcune province spagnole hanno superato Genova e Trieste nel desolante primato dell’eccedenza delle morti sulle nascite: a Zamora, nel 2016, per ogni nato ci sono stati tre decessi, due in Galizia. La verità è che alcuni popoli europei si stanno riducendo di numero ogni anno, a depurare le statistiche dagli stranieri in entrata e dai loro figli.
Anche l’opinione comune secondo la quale lo spopolamento è un problema di mancanza di opportunità viene smontata con argomenti matematici: non ci sono bambini sufficienti per mantenere costante la popolazione neppure nelle città, non solo nelle aree rurali o in quelle più sfavorite. In più, avanza una componente di psicologia sociale: “Se vivi in una località dove ci sono quasi solo vecchi, vuoi andartene. A tutte le età, ci piace la gioventù. Se ti circondi solo di anziani, vedi la morte, la decrepitezza”. Demoralizzante, ma assolutamente vero. Inoltre, nelle zone che si spopolano, la qualità della vita diminuisce. Il dilemma morale che rilancia il professore spagnolo è angosciante soprattutto in quanto inconfessato, non ammesso, anzi rimosso dal dibattito pubblico: “Ce ne prendiamo cura (degli anziani) ed in quel caso ci roviniamo economicamente, o li abbandoniamo? Tanto i bambini che gli anziani costano denaro. Però i bimbi sono un investimento che produrrà futuro ed agli anziani diamo una qualità della vita. Tuttavia, la ricchezza che utilizziamo per loro, si consuma e non produce nel futuro”. Ogni giorno sperimentiamo quali risposte dà, anzi nega, la società di mercato che ci è toccata in sorte. La gioventù è essenziale: lo è nella sfida demografica, ma anche per intraprendere ed innovare. Il giovane osa per natura, mette in forse i tabù, le verità precostituite, ha minori rigidità. Da giovane, puoi sbagliare e recuperare il tempo perduto, perché c’è un domani.
Un argomento tipico di chi nega l’importanza della crisi demografica è che il mondo è sin troppo popolato e pieno di giovani. Argomento davvero facilone, ribatte Mazarròn, che lamenta come nella sua regione natale, le Asturie che furono culla della nazione spagnola da cui partì, con il re Pelayo, la Reconquista del territorio contro gli invasori arabi, oggi nasca un terzo dei bambini rispetto a mezzo secolo fa. Anzi, la terra celtica delle cornamuse iberiche e delle miniere, sarà la prima regione d’Europa a scomparire per assenza di popolazione. Non mi consola, afferma, che in Nigeria cresca molto la popolazione.
Storicamente, del resto, il numero era decisivo per lo sviluppo di un popolo. Poi, la tecnologia ha cambiato le cose, la produttività non è più questione di braccia utilizzate o di fanteria in marcia, ma di scienza e tecnica. Per questo l’Occidente domina il mondo. Siamo però ad un tornante ineludibile: il Terzo Mondo sta emergendo, la produttività media si avvicina alla nostra, pertanto il numero della popolazione torna ad essere decisivo. La prognosi è brutale “quando la Cina uguaglierà in produttività gli Usa, avrà quattro o cinque volte il suo PIL e noi europei tenderemo all’irrilevanza”. C’è di più, poiché la storia degli uomini è una vicenda di volontà di potenza, e Macarròn non si nasconde dietro il fumo politicamente corretto. “Se i nuovi leader mondiali saranno democratici, nessun problema. Però in Cina c’è stata una eliminazione massiccia di neonate solo per essere femmine. Pensiamo poi al mondo mussulmano, dove c’è una maggioranza pacifica ma una minoranza aggressiva. Se fanno una transizione verso la non aggressività, bene. Ma se non succede…”.
Il punto dolente è l’individualismo assoluto dell’Occidente, che rende inattuabile un concetto che era vissuto come naturale sino a mezzo secolo fa, riassunto dal demografo in una frase che sconcerta il senso comune dei più: “Dobbiamo pensare che avere figli è un dovere verso la comunità e l’umanità. Non importa se alcuni non ne hanno, ma la maggioranza deve averli”. In Spagna, un’ idea simile fu esposta da un sacerdote controverso ma importante, il fondatore dell’Opus Dei, José Marìa Escrivà de Balaguer, canonizzato da Papa Wojtyla.
In Occidente, ci stiamo abituando all’idea che l’immigrazione sostenga la demografia in tempi di abbondanza; nella storia ci sono state migrazioni virtuose che hanno aiutato a costruire grandi civiltà, ma ce ne sono state altre, come quelle dei popoli che chiamiamo barbari, che furono invasioni, portarono guerre, desolazione, crollo civile, morale, economico, demografico. Oggi facciamo i conti con l’estremismo islamico e, più ampiamente, con una parte di immigrati, anche di seconda o terza generazione, che odia il paese e la cultura dove si è installata.
I dati rivelati da Macarròn per il suo paese, non diversi peraltro, nella sostanza, da quelli che emergono dalle statistiche italiane, dimostrano che in Catalogna, quasi il venti per cento delle nascite è di figli di magrebini. Una scelta precisa, quella di privilegiare l’immigrazione nordafricana, da parte delle classi dirigenti di Barcellona, che rende ridicolo, in prospettiva, il loro ossessivo micro nazionalismo antispagnolo. La Catalogna di domani probabilmente non sarà più spagnola, ma tanto meno sarà catalana. Ed è incredibile che proprio i nazionalisti non si preoccupino della loro discendenza!
Un altro tema collegato è quello dello Stato sociale, che non fa nulla per la famiglia, ma spesso concede diritti agli stranieri in cambio di nulla. Nonostante una crisi devastante, solo pochi immigrati sono tornati in patria, qui come in Spagna. Diciamolo senza paura, facendo nostra un’osservazione del professor Macarròn. L’immigrato tradizionale aveva un piano A: lavorare. Adesso c’è anche un piano B: farsi mantenere dai sussidi pubblici e dalle reti sociali, a partire da quelle della Chiesa. Per quanto alcune convinzioni siano circondate dallo sdegno ufficiale, la verità è che l’immigrazione, se non se ne regolano i flussi ed i numeri, costituisce un gradito (dal sistema) eccesso di manodopera che compete con quella locale, abbatte i salari, specialmente quella dei ceti medio bassi, proprio coloro che vengono poi accusati di fascismo, razzismo e populismo perché non ci stanno. Un altro effetto è l’entrata illegale di “migranti”, che, una volta diventati troppo numerosi per essere poter essere espulsi, vengono regolarizzati. In Europa, le regolarizzazioni sono state 200 (duecento !!) in vent’anni.
Anche noi riteniamo errato contrastare quei segmenti di immigrazione che vanno a rimpiazzare posti di lavoro vacanti, ma il modello vigente non è affatto questo, tanto più in uno scenario in cui migliaia e migliaia di connazionali emigrano per motivi economici. Poi, naturalmente, lorsignori ed il clero mediatico ed intellettuale di servizio urlano “al lupo!“ contro il populismo.
Un’ulteriore spunto di riflessione che ci viene dall’intervista al Mundo riguarda la circostanza che tra i governanti occidentali, l’unico ad avere una famiglia numerosa è proprio l’odiatissimo Trump: cinque figli da tre donne diverse, ma quello è un altro tema. Ben dieci paesi europei hanno primi ministri o presidenti senza figli, a cominciare dal nostro Gentiloni, proseguendo con la britannica May, la tedesca Merkel, che pure in patria chiamano Mutti, mammina, e naturalmente il giovin signore della finanza Macron, la cui moglie ha un quarto di secolo più di lui. Macarròn osserva, non senza far correre qualche brivido lungo la schiena, che negli anni Trenta, gli unici due capi di governo senza prole erano il suo connazionale Azana, che ebbe gravi responsabilità nel clima che condusse alla tragedia della guerra civile del 1936/1939, e Adolf Hitler. Sin troppo ovvio, che, con responsabili politici ostili e personalmente estranei al problema, la famiglia resti esclusa dallo spazio pubblico, dove incede trionfante la sua scimmia, ovvero la beatificazione dell’esperienza e dell’unione omosessuale, programmaticamente sterile.
La storia recente è quella della passività, nel migliore di casi, oppure della negazione pura e semplice di un problema demografico di riproduzione della comunità, e, dai pulpiti più elevati, addirittura l’accordo e la propaganda di tale modello. C’erano economisti che dicevano che l’aumento della popolazione avrebbe significato un minore reddito pro capite. Il futuro di popoli interi, dunque, è stato lasciato nelle mani di personaggi la cui unica competenza – non di rado sopravvalutata e comunque non comprovata dai fatti – era di ambito matematico-economico. Popoli e nazioni sono ora demograficamente in ginocchio per responsabilità loro e dei loro mandanti, tra i quali, lo ripetiamo, spiccano le idee di Henry Kissinger. Sotto quel profilo, ha ragione Gotti Tedeschi ha chiamare in causa i ricorrenti rigurgiti malthusiani tra le élite riservate, diventati disgraziatamente sostrato culturale di massa. Ricordiamo che Thomas Robert Malthus, pastore protestante inglese ed economista cosiddetto “classico” teorizzò che ad ogni aumento di popolazione sarebbe cresciuta irrimediabilmente la povertà.
Altro grande responsabile è il “pensiero unico”, il quale rimuove i problemi scomodi e quelli a cui non è in grado di fornire una risposta immediata. Riportiamo il pensiero del professor Macarròn: “Alle persone piace vivere su una base di certezze (la mia casa, il mio lavoro, la mia famiglia). Quando qualcuno mette in dubbio lo status quo dicendo che la società ha un problema in quanto non nascono bambini, crea fastidio. L’Occidente è molto orgoglioso per ciò che ha conseguito negli ultimi duecento anni. Eppure, quando si mettono in questione determinate verità, la gente ti salta al collo; non è lo Stato che ti censura, è un altro tipo di censura”. Si tratta della dittatura del politicamente corretto, che dilaga specialmente sulle reti sociali. Democrazia, tuttavia, significa confronto, contrasto, critica. Winston Churchill sosteneva che la critica è un regalo, ed è paragonabile al dolore nel corpo umano, che avverte dei problemi. Il tema demografico è dei più sensibili, di quelli che “chi tocca i fili muore”. Non si accetta il dialogo, neppure si riconosce l’esistenza di distinti ceppi etnici e razziali, poiché questo contraddice il dogma di un’uguaglianza insostenibile, che è indistinzione, l’esatto contrario, oltretutto, dello spirito di conoscenza e di ricerca della verità che è stato un faro della civiltà europea.
El Mundo ha infine chiesto all’intervistato di fare proposte concrete. Non si deve nascondere che se anamnesi, diagnosi e prognosi sono chiare, la terapia è molto meno definita. Il primo passo, al quale contribuiscono in modo determinante studiosi come Mazarròn, è la presa di coscienza del fatto e la sua assunzione come problema. Siamo lontani dalle soluzioni, ma non ci troviamo più all’anno zero. Dobbiamo guardare la realtà senza false illusioni: la modernità (e la modernizzazione) ha portato meno natalità. La prima cosa è prenderne coscienza. La seconda è ridare valore al prestigio dell’essere genitori, mostrare il bello che rappresentano i nostri piccoli, i cuccioli di uomo. Ci incantano sempre, è qualcosa di istintivo, iscritto nella natura, come sorridere loro appena li vediamo. Poi occorre trasmettere senza paura il messaggio duro del fatto che il paese ha bisogno di figli, come è stato fatto in Francia pochi anni fa. Quindi, attivare misure economiche diffuse.
Sul punto Mazarròn dice cose assai serie ed equilibrate: “Bisogna compensare alle famiglie una parte significativa di ciò che costa avere figli. Non tutto, però, poiché allora ci sarebbe gente che avrà figli solo per denaro. Questo è capitato ed è stato moralmente un disastro. Gli aiuti devono centrarsi sulla donna, ma non solo. E bisogna stare attenti a favorire soltanto la donna che lavora fuori casa, come capita adesso. Se vogliamo incentivare la natalità, è a tutte le donne che dobbiamo rivolgerci, non solo ad alcune in funzione di ideologie. “. Noi aggiungiamo, riprendendo la lezione di Claudio Risé, ed in parte persino di un Massimo Recalcati, ridare senso, ruolo, prestigio al padre, il grande espulso, lo sconfitto principale del tempo nostro.
Dobbiamo invertire dal punto di vista culturale e civile i valori dominanti ostili alla natalità in genere ed alle famiglie numerose in modo particolare. Ci sono persone che liberamente decidono di avere molti figli: in un continente che ha bisogno di bambini dovremmo applaudirli, non solo aiutarli. Interessante e suggestiva è l’ultima domanda dell’intervistatore, che ha ipotizzato come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale possa indurre a lasciare in secondo piano il dibattito sulla natalità, per affidare il nostro futuro ai robot.
La risposta è quella di ogni uomo o donna di buon senso: oltre l’enorme questione dell’affettività che dà senso alla vita, è bello riportare per esteso il pensiero dell’ingegnere asturiano: “Misero panorama, una società invecchiata che confida nei robot anaffettivi … Una società disseccata. Zavorrata nell’economia e negli affetti. Gli anziani costano caro ed è pesante aver cura di loro. Vedremo cose moralmente indesiderabili. La pressione verso l’eutanasia attiva (cioè la soppressione farmacologica di soggetti non necessariamente consenzienti n.d.r.) sarà crescente perché le risorse sono scarse”. Soprattutto, ci permettiamo di aggiungere, perché il clima è contrario alle nascite, inclina alla morte e ragiona esclusivamente in termini di partita doppia.
E’ comunque già un successo insperato (a questo siamo giunti) che tesi normali e correnti sino a una generazione fa, oggi proscritte ed espulse per indegnità morale (di quale moralità, di grazia?) vengano diffuse su un grande quotidiano d’opinione. Aspettiamo che il problema demografico venga finalmente sdoganato anche in Italia, a partire dalla imminente campagna elettorale.
E’ urgente, è vitale, è imprescindibile suscitare un nuovo senso comune favorevole alla vita. Il volto il sorriso, persino il pianto di un neonato figlio nostro è il simbolo potente di un popolo che non vuole morire ostaggio di un mondo usuraio. Vide giusto Ezra Pound nel canto XLV: usura soffoca il figlio nel ventre / arresta il giovane amante/ cede il letto a vecchi decrepiti/si frappone tra giovani sposi.

da: www.riscossacristiana.it