di Fabio Trevisan
Sembra incredibile che Chesterton avesse predetto nel 1923 (come richiamato nella frase in corsivo) e precisamente nel saggio: “San Francesco d’Assisi” una simile osservazione, sempre più palesemente rilevante ai nostri giorni. Molto prima della rivoluzione sessuale o dei costumi del 1968 e delle cosiddette battaglie femministe per l’emancipazione della donna, lo scrittore londinese aveva intravisto questa reale sottomissione alla schiavitù sessuale sotto diverse forme (pornografia dilagante, rivendicazioni sessuali stravaganti e contronatura, un’intera cultura mediatica piegata alle provocazioni sensuali). Per Chesterton: “Trattare il sesso come un innocente fatto naturale, ebbe per conseguenza che tutte le altre cose naturali si permearono profondamente di sesso”. Non si poteva infatti, secondo il grande scrittore cattolico inglese, assimilare il sesso ad altre abitudini elementari come il mangiare o il dormire: “Il fatto è che il sesso occupa un posto pericoloso ed eccessivo nella natura umana; per cui richiede un approccio particolarmente casto”. Sarebbe stato paradossalmente proprio con San Francesco che si sarebbero potuto mettere a posto le cose, ma purtroppo era prevalsa e tuttora prevale un’interpretazione erronea del Santo.
La religione di San Francesco d’Assisi non era affatto (e qui sta il paradosso) una religione naturalistica, ma anzi era una religione che avrebbe dovuto liberare dall’ossessione della venerazione della natura: “Non sarebbe servito predicare il culto della natura a gente per cui la natura era diventata innaturale… Non c’era più un fiore o una stella che non fossero contaminati. Soltanto il rigore del soprannaturale poteva ergersi a baluardo della salvezza”. Credo che sia superfluo sottolineare, per chi ancora conserva un barlume di ragione, la stupefacente attualità di tali riflessioni e ciò che Chesterton chiamava il “paradosso dei Santi”. Chesterton rimarcava questo peso eccessivo riguardo il sesso e ne indicava la deriva culturale e morale ed il bisogno di espiazione: “Per liberarsi da questa ossessione occorreva una religione che fosse letteralmente ultraterrena…questo malanno non passa che con la preghiera e con il digiuno”. L’importanza di San Francesco d’Assisi consisteva quindi nell’ aver segnato la fine di questo periodo d’espiazione a seguito di una profanazione della natura:“I fiori e le stelle hanno recuperato la loro primitiva innocenza. Il fuoco e l’acqua sono considerati degni di essere il fratello e la sorella di un santo. La purificazione dal paganesimo è finalmente giunta al termine”.
Era l’esaltazione di una natura purificata, di un approccio casto e divino riguardo il sesso, di una ricomprensione della bellezza del creato: questa avrebbe dovuto essere l’autentica liberazione dell’uomo! Esattamente il contrario di quanto avvenuto, dove il vero San Francesco è stato obliato così come il nostro Chesterton è stato accantonato dalla cultura dominante (ed anche, diciamola francamente, da quella cattolica). Come indicava il saggista di Beaconsfield, San Francesco era ancora in attesa di una riconciliazione con l’uomo, di una comprensione autentica della sua filosofia soprannaturale; la vera “liberazione”, secondo Chesterton, stava in quest’ultima saggia frase che egli sottoponeva a quella modernità impazzita che aveva stravolto l’interpretazione del Santo: “Con San Francesco l’uomo si è strappato dall’anima l’ultimo brandello di culto della natura e può tornare alla natura”. Aveva liberato l’uomo dal paganesimo e da quelle ossessioni (tra cui il sesso) di cui era permeato; si poteva ritornare ad un mondo purificato e ad ammirare e contemplare Dio e il creato.
Senza questa visione soprannaturale tutto, compreso il sesso, diventava nostro tiranno. L’amore di Dio e la salvezza dell’anima erano poste dal Santo d’Assisi sopra a tutto:“Laudato sii, mi Signore, per sora nostra Morte corporale”. Il corpo alla terra, l’anima a Dio.
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