di Francescoandrea Allegretti
E’ risaputo che Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65), retore e filosofo, massimo esponente dello stoicismo latino, fu un’anima (e un intelletto) pieno di inquietudine, sempre alla ricerca di quella autenticità dell’uomo che la Roma del tempo non riusciva a soddisfare. Questa sorta di “sana inquietudine” possiamo facilmente riscontrarla nei scuoi scritti e in particolar modo nei consigli rivolti all’amico Lucilio, in cui è viva l’intimazione a migliorarsi inseguendo le virtù che rendono l’uomo veramente tale. Dove ricercare dunque queste virtù? Dove rifugiarsi per scampare dal declino morale? E’ in questo contesto che Seneca dimostra una spiccata e profonda religiosità, il più delle volte messa da parte o addirittura taciuta, che rendono il filosofo di Cordova un personaggio affascinante come pochi agli occhi del cristianesimo:
«[…] Il dio ti è vicino, con te, è dentro di te. Secondo me, Lucilio, c’è in noi uno spirito sacro, che osserva e sorveglia le nostre azioni, buone e cattive; a seconda di come noi lo trattiamo, lui stesso ci tratta. Nessun uomo è virtuoso senza dio: oppure qualcuno può ergersi al di sopra della sorte senza il suo aiuto? Egli ci ispira principi nobili ed elevati. In ogni uomo virtuoso abita un dio (quale non si sa)» [1] .
L’inclinazione al pessimismo della filosofia stoica lascia qui spazio alla speranza e alla fiducia nel divino. Sebbene la concezione religiosa di Seneca sia plasmata sul modello pagano, le riflessioni da lui poste in essere trovano un chiaro riscontro nella concezione cristiana di Dio. Da tali parole non può che evincersi la profonda religiosità di Seneca e in particolar modo la convinzione secondo cui, partendo dal presupposto che dentro l’uomo risieda uno spirito sacro, venga sottolineato come nessuno è virtuoso senza dio e nessuno dunque può migliorarsi senza il suo ausilio. Secondo Seneca dunque, l’uomo è naturaliter religiosus e l’elemento spirituale è indispensabile per il pieno compimento dell’uomo stesso, delle sue virtù, della sua esistenza, del suo pensare e del suo agire.
«Se tu mi presti fede io ti rivelo i miei sentimenti più profondi: ebbene, di fronte a tutto ciò che mi si presenta avverso e doloroso, io sono giunto a formarmi questo stato d’animo, faccio atto non di obbedienza ma di consenso alla divinità, e la seguo per spontaneo atto di volere, non per la necessità» [2].
Quello che potremmo definire il “cammino spirituale” di Seneca, trova in quest’altro brano la massima espressione di contatto ed unione tra l’umano e il divino: è difficile infatti non notare la similitudine tra la pietas senecana del brano, con l’immagine cristiana dell’abbandono fiducioso a Dio ed alla Sua volontà.
Il pensiero del filosofo di Cordova dunque, non si discosta molto da quello cristiano: alcuni storici ipotizzarono anche – sebbene questa posizione sia stata ormai smentita – che egli fosse venuto a contatto diretto con il cristianesimo grazie al fratello governatore dell’Acaia, tappa dei viaggi di san Paolo (e da qui nacque il carteggio apocrifo tra i due). Alcuni apologisti considerarono Seneca un anticipatore del cristianesimo: tra di essi, Tertulliano ritenne che «Seneca è spesso della nostra opinione» [3]; altri invece, come sant’Agostino, trovarono nelle riflessioni senecane delle argomentazioni valide da usare contro il paganesimo (alcune parti del De superstizione ad esempio ci sono giunte in quanto citazioni dei Padri della Chiesa), sebbene il vescovo d’Ippona continuò a criticarlo poiché egli non si discostò mai dal culto pagano [4].
I punti in comune tra il pensiero cristiano e la filosofia stoica di Seneca sono dunque molteplici e grandi cose avrebbe potuto insegnare colui che forse sarebbe stato anche un buon cristiano. Scriveva Lattanzio (250-317), illustre retore e apologeta, che considerava Seneca “il più acuto tra gli stoici”: «Cosa potrebbe esprimere uno che conosca Dio, più veritieramente di quello che è stato detto da quest’uomo che non conosceva la vera religione? Egli avrebbe potuto essere un vero adoratore di Dio, se qualcuno gli avesse mostrato la strada» [5].
Note:
1 Epistolae ad Lucilium 41, 1-2.
2 Epistolae ad Lucilium 96, 2.
3 De anima XX, 1.
4 De Civitate Dei VI, 10; XX, 19.
5 Divinae Institutiones II, 8, 23; VI, 13, 24.
Bibliografia consigliata: A. Pantaleo Martina, Seneca e i cristiani, Vita e pensiero, 2001.
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