di Luciano Pranzetti
Pubblichiamo questa lettera che il Prof. Luciano Pranzetti ha inviato alDirettore di Riscossa Cristiana, per segnalare una particolarità di tanti “piedi-lavori” moderni che, illudendosi di poter danneggiare il Cattolicesimo, finiscono col rivelare la loro reale valenza: l'impotenza; figlia di quell'hybris superuomistica che naufraga inevitabilmente nel pantano dell'autoillusionismo, sguazzando tra cervellotiche invenzioni, inavvertite falsità, approssimazioni pseudo-culturali e frustrati autocompiacimenti: tutti indizi certi di menti e cuori votati al cieco servilismo nei confronti del “principe della menzogna”.
Il dramma è che queste presunte imprese disinformative volte a sviare dalla Verità, in questi ultimi due secoli, con un crescendo da caduta vertiginosa, hanno intaccato la lucidità mentale e la coscienza di tanti cattolici, aiutandoli ad allontanarsi dalla realtà.
C'è da notare, in particolare, che, come dice Daniele Abbiati nel suo articolo del 2013, citato nella Lettera, “il Prof. Pranzetti è un lettore pressoché onnivoro, ma si dà il caso (malaugurato per il suddetto Brown) che il suo piatto preferito sia proprio l'Alighieri. A patto che venga cucinato rigorosamente secondo la ricetta originale. Se si sgarra, son dolori.”
E infatti è suo il saggio in tre volumi: Dante. La Divina Commedia tra Sacra Scrittura, Patristica e Scolastica, da noi a suo tempo segnalato: qui e qui e di cui abbiamo riprodotto, sopra, la copertina del volume Inferno.
Caro Direttore:
uscito, ai primi di maggio del 2013, il romanzo “Inferno” di Dan Brown, ne lessi con attenzione ogni pagina avvertendo subito che l’autore aveva, more solito, rifilato ai lettori sòle, balle e falsità guarnite da seriosa autorità storica.
E non mi sbagliavo perché, ultimata la lettura, mi fu facile stilare un catalogo degli errori riferiti all’opera dantiana, catalogo che ti invio perché, dopo la bella analisi di Pucci Cipriani [pubblicata su Riscossa Cristiana] sull’evento del film e, soprattutto, sulla cifra massonica di evidenza astrale, tu possa, se credi opportuno pubblicarlo, dare ulteriormente prova della protervia menzognera con cui talune opere, come questo libro e il relativo film, osano disseminare nella mente e nella coscienza delle persone, a danno specialmente della santa Chiesa Cattolica, la cui Gerarchìa pavidamente – o connivente? - tace e, nella fattispecie, di Dante.
Ecco il testo che, qualche giorno dopo, 25 maggio 2013, Il Giornale, a firma Daniele Abbiati, pubblicò, sintetizzandolo, nella pagina culturale:
Dopo le sesquipedali cappellate, disinvoltamente prese col suo “Codice da Vinci” ed. Mondadori 2003 – rimasticatura di quella brodaglia esoterica da bancarella che è il “Santo Graal” ed. 1982, di Baigent-Leight-Lincoln, dopo le menzogne, le fantasime e le leggende fatte passare per storia, ora Dan Brown, il cocco della massoneria azzurra angloamericana, si produce in altro attacco alla Chiesa cattolica così come si legge nell’ultimo suo aborto, “Inferno”, ed. Mondadori 2013, dove, a sostegno dei propri labirintici vaneggiamenti, entra nella struttura letteraria dantiana.
E qui, il prode illuminato cade nella più fitta sequenza di smarronate che nemmeno uno studente di terza liceo.
Noi, attenti studiosi del maggior universale poeta-teologo, Dante Alighieri, abbiamo sottolineato, e trasmesso all’editrice, 16 errori ascrivibili alla saccenza e all’ ignoranza dell’autore affibbiandogli, perciò, uno zero in letteratura, storia e verità.
Siamo lieti di rendere pubblici, se la cortesìa di qualche rivista ci premierà, gli sfondoni del suddetto Dan perché taluni incauti lettori possano essere messi in guardia dal trangugiare il beverone e la poltiglia di bugìe e, soprattutto, possano valutare di cotale scrittore “già la lega e ‘l peso” (Par. XXIV, 85).
Ne diamo conto ordinato per pagine successive:
14 – I lussuriosi non si contorcono sotto la pioggia ma sono trasportati da “una bufera infernal che mai non resta” (Inf. V, 31). L’autore li confonde con i golosi;
44 – Il “David” non misura, in altezza, m. 5,20 bensì m. 4,10 (cfr.: Michelangelo scultore – I Classici
dell’Arte Rizzoli n. 68, 1973);
55 - Non furono gli uomini della Chiesa cattolica a chiedere la morte di Copernico, ma Lutero e
Calvino;
78 - Quello di Botticelli sull’inferno non è “un quadro” ma una serie di disegni riportati a stampa da
Niccolò di Lorenzo della Magna nel 1481;
79 - Nella decima fossa di Malebolge non c’è folla di peccatori sepolti nel terreno e confitti capovolti questi sono i simoniaci della terza bolgia – ma vi stanno i falsarî;
165 - La morte di Buondelmonte de’ Buondelmonti non dette origine alle lotte tra guelfi e ghibellini
ma tra le due fazioni guelfe distinte in Bianchi e Neri:
174 - È chiacchiera gratuita, offensiva e smentita dai più seri studiosi, che Michelangelo avesse per
amante Tommaso de’ Cavalieri;
179 - I teschi, come scrive Brown, non sono una costante nella Divina Commedia o nell’inferno. Ve ne appare uno solo – un cranio peraltro vivo – quello dell’arcivescovo Ruggieri, róso da Ugolino
(XXXIII);
187 - Coloro che si mantennero “neutrali” – vale a dire, gli ignavi – non stanno “nei luoghi più caldi”
ma semplicemente fuori dell’Inferno (III), rifiutati da Dio e da Satana;
274 - Dante non saltò nella vasca del Battistero, ma ne ruppe le pareti a far defluire le acque onde
salvare un bambino – o uomo che sia – che vi stava affogando (XIX, 19/21);
283- Le anime degli invidiosi – cucite le palpebre col fil di ferro - non debbono “salire”, ma starsene
ferme, addossate une alle altre in accosto alla ripa rocciosa, in attesa di scontare il peccato (cornice
II);
284- L’angelo portiere del Purgatorio incide le 7 P soltanto a Dante che deve fare esperienza di tutte le balze e le anime purganti non debbono necessariamente passare o sostare per ciascuna. Stazio
(cornice V), scontato infatti il peccato di prodigalità, potrebbe salire subito al Paradiso ma preferisce accompagnare Dante e Virgilio (XXI);
288 - Le balze del Purgatorio non sono a spirale tale che si tratterebbe di una sola cornice, ma sono
gradoni raccordati tra loro da scalee intagliate nella roccia;
309 - La “Mappa” citata non è del Vasari ma di Botticelli,
347 - Nell’inferno dantiano non ci sono fiumi di pece ma solo un pantano, bollente e viscoso, sito nella V bolgia, ove sono a cuocere i barattieri;
425 - Enrico Dandolo, doge veneziano, espugnò la cittadella di Bisanzio il 17 luglio 1203 e non, come scrive Brown, nel 102;
425 - La prima chiesa di Santa Sofìa fu inaugurata nel 360 e distrutta, poi, completamente da un
incendio. La seconda, eretta da Teodosio II nel 415, finì anch’essa preda di un rogo durante la
rivolta di Nika nel 532. Giustiniano, allora, fece erigere la terza, quella attuale di cui si parla nel
romanzo, inaugurata nel 537, affidandone il progetto e la direzione a Isidoro di Mileto e Antemio
da Tralle. Brown fa confusione attribuendo alla terza basilica l’età della prima. Il quale Brown,
nel descrivere la cisterna colonnata, in cui si svolge l’ultima azione del romanzo, potrebbe – mera
ipotesi – aver saccheggiato Umberto Eco che, in “Baudolino” – ed. Bompiani 2000, pag. 26/32 –
descrive questa cisterna, che si estende sotto la basilica di Santa Sofìa, come “selva di colonne…
di una foresta lacustre”, teatro di una complicata avventura.
da: www.unavox.it/
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