venerdì 26 maggio 2017

Pensieri dispersi (1980-1999)

di Anna Maria Bonfiglio

Quando il gelido sospiro della solitudine avrà spento ogni vivida luce, ricorda che c’è sempre un ultimo stoppino.
Triste dimora quella che non conosce le cristalline risa di un bambino.
Se la dignità è il nostro primo dovere, l’orgoglio è l’arma più pericolosa.
Spesso ci attacchiamo a un’idea e ce la portiamo appresso per tutta la vita. Così quando ci affezioniamo ad una persona ci leghiamo all’idea che abbiamo di essa e a quello che vorremmo fosse per noi. E se anche ci procura pene e sofferenze le cerchiamo attenuanti e giustificazioni, non tanto per generosità ma per fornire a noi stessi il motivo del nostro attaccamento e per conservare quell’idea che ci piace di avere. In ultima analisi costruiamo noi stessi la persona che amiamo, le diamo forma e vita, intenzioni e reazioni, pensieri e gesti, e poi ci sentiamo traditi se restiamo delusi.
La vera solitudine è il non sapere stare con se stessi.
Il martirio è la forma sublimata dell’autolesionismo.
Dio ha dato agli uomini dei compiti che non sempre egli è in grado di svolgere nel migliore dei modi.
 “Sempre” è una parola piena di mistero e nello stesso tempo il simbolo della nostra buonafede.
Lo spirito può legarci più del corpo, ma la sintesi dell’anima e del corpo può darci una parte di quella completezza a cui aspiriamo.
Dovremmo permettere che qualcuno legga le pagine della nostra vita che gridano di più. Solo così il grido potrebbe placarsi in un sussurro che chiede conforto.
I ricordi non si possono distruggere come la pagina di un libro, essi sono un’isola privilegiata alla quale non può accedere nessuno.
Vivere nell’amore di ognuno e nel dolore di tutti: la preghiera più bella che possiamo innalzare a Dio.
Ci affezioniamo troppo alla vita, questa schiavitù ci affascina e ci soggioga; siamo dominati dal desiderio di aspettare il domani, spezzare questo nodo ci priverebbe del piacere perverso di soffrire fino all’ultimo spasimo.
La coscienza uccide i sentimenti. Il volere andare a fondo in se stessi inibisce l’immediatezza, soffoca gli impulsi. Il doversi allineare alla formula del vivere “comune” avvelena la pura essenza del desiderio, sì che ogni nostro atto distaccandosi dalle nostre intenzioni viene contaminato dal contatto con una realtà organizzata in schemi: quello della morale, quello del peccato, quello del dovere, quello della coscienza. Il libero arbitrio è una trovata di chi vuole illudere se stesso, in realtà la libertà non esiste. Tuttavia il nostro spirito anela a questa libertà, che proprio perché utopica, è quanto di più desideriamo.
La scienza crea, la scienza distrugge, la scienza fa rinascere: un cerchio che si allarga senza mai chiudersi, contenendo tutte le innumerevoli capacità umane. Non c’è in tutto questo qualcosa di divino?
Il potere dell’intelligenza è illimitato quando essa si sviluppa come una quercia in un terreno libero e non come un fiore dentro un vaso.
Il mito di Amore e Psiche contiene la più bella metafora: l’amore è mistero. Non bisogna mai tentare di indagarlo, di spiegarlo, di analizzarlo o teorizzarlo. Occorre solo accettarlo nelle sembianze con cui si presenta, fidarsi e non accendere mai “la lampada”, perché nel momento in cui volessimo tentare di “conoscerlo” e farne un teorema o se volessimo penetrarne l’essenza, sarebbe perduto l’incanto. Ci sono cose che la sola ragione non può chiarire e che racchiudono l’imperscrutabile. L’amore è una di esse.
Un giorno, sul filo della memoria, s’affacceranno immagini degli attimi compiuti. Allora, nell’accostare a un volto le parole, ordiremo preziose trame. E tutto ci apparirà più bello.
La vita è un libro bianco dove è possibile scrivere qualunque cosa, anche la più inverosimile e assurda vicenda.
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Freud e la sua dottrina aprirono un nuovo orizzonte per indagare i problemi della psiche e finirono per addebitare al sesso frustrazioni e problemi irrisolti. Ora che il sesso non conosce più frontiere, ora che sono cadute le inibizioni, superati i sensi di colpa, fugati tabù e costrizioni, possiamo forse dire di essere più liberi e felici?
Mensch: groviglio di pene, nodo inestricabile di sofferenza e solitudine, somma di errori e incertezze, castello di speranze fallite e riconquistate.
Chi ha la sorte di vivere a contatto con i propri genitori non può sottrarsi alla pena di vederli invecchiare e avviarsi, giorno dopo giorno, alla meta ultima. Ed è un’agonia lenta, uno strazio dell’anima. Loro, che ci hanno sostenuto nella parabola ascendente, poco per volta, impercettibilmente, regrediscono a uno stadio di ingenuità e di ostinazione simile a quello dei fanciulli. Il loro fisico si corrompe, scema di forza e di volontà; la loro autorevolezza si arrende e si riduce a piglio petulante. Ma sopravvive in loro l’amorevole caparbietà di proteggerci, il desiderio di donarci l’unica ricchezza di cui sono rimasti possessori: la loro esperienza.
Arriva sempre il momento in cui bisogna fare i conti con il tempo che passa. Finita la stagione giovane e oltrepassata l’età di mezzo, giunge infine “il tempo terzo”. Non vecchiezza, ma età di riflessione, qualche volta di rimpianto, di prospettive “altre”. I giovani venuti dopo di noi hanno percorso il proprio cammino, li abbiamo visti studiare, lavorare, sposare e mettere al mondo nuove vite. Talvolta guardiamo indietro e ci stupiamo di avere vissuto tanto, perché dentro sentiamo di non essere ancora pronti a deporre le armi. Succede allora di poter avvertire un senso di inadeguatezza al nostro presente e di provare il timore di non doverci più attendere grandi cose dalla vita. Di sentirci disarmati e impotenti di fronte ad un tempo che ci ricorda la dolcezza del miele che abbiamo assaporato e al contempo ci lascia un retrogusto amaro per il mondo che avremmo voluto e che non è.  

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