di Tommaso Romano
La poesia siciliana ha
due fiati espressivi che si sono misurati nella vicenda letteraria e negli echi,
con alterne fortune. Il primo di questi ha ottenuto riscontri critici, storicizzazioni
e attestazioni accademiche e di antologie paludate: è quella che a parole si
riallaccia alla storia popolare e locale, in realtà trasferendo nell'idioma,
con sperimentalismi discutibili, tutto il peso - a volte benefico, a
volte artefatto - di una erudizione e ricerca qualche volta malcelata, spesso
intellettualmente assai smaliziata.
Il secondo gruppo, un tempo
assai numeroso e gioiosamente produttivo di testi naive, trasmetteva le proprie
bucoliche e dolci liriche senza curarsi del successo fra i piani alti della
cultura; molti inoltre erano analfabeti senza complessi di inferiorità,
possedendo viva creatività e spontaneità come proprio sigillo veritativo.
A questo secondo gruppo, di
poeti popolari e capaci di buone letture e sapienti ed essenziali scritture, appartiene
Antonino Lo Piparo, più volte premiato con merito e facente parte del
prestigioso Circolo Giacomo Giardina, egregiamente presieduta da Giuseppe
Bagnasco, il poeta pecoraio che fu amico di Lo Piparo. Oggi festeggiando lui e
tutti noi il suo novantesimo, ci consegna un volume ricapitolativo frutto di
una intera vita di affetti, di lavoro e di amore genuino per la poesia, sempre assai
gradevole nella forma originale, nel lessico semplice e incisivo, nel ritmo
delle colorate immagini che si dipanano nella fedeltà alla tradizione
identitaria con metafore puntuali, scaltre, suggellate da ironia sottile
e da paradossi, accompagnati da un complice sorriso che trapela anche dai versi
e che si coglie dai canti popolareschi autentici, sempre graditi al pubblico di
astanti e lettori e vissuti dal poeta come un compito, un paladinesco
destino a difesa dell'umano, del vero del buono, di ciò che non può e non
deve scomparire nei flussi effimeri e avviluppanti della caotica modernità', con
particolare riferimento alla memoria e alla storia ,specie quella della sua
Baaria, costitutivo del genius loci.
Dicitore incantevole e
forbito, Lo Piparo ha trovato nel palcoscenico teatrale e cinematografico
(specie con Peppuccio Tornatore), ulteriore suggello per il suo estro
creativamente nativo.
Lo Piparo mi ricorda le
vivide descrizioni che il mio Grande Amico Giuseppe Bonaviri tesseva dei poeti
popolari di Mineo, i quali si riunivano a Camuti per cantare a quelle montagne
la voce ancestrale del loro cuore delle speranze e delle sofferenze. Ricordo
Bonaviri non a caso perché' il geniale scrittore siciliano ha testimoniato come
pochi la profondità dell'isola, il mito, il simbolo della terra come pochi
altri.
Il problema estetico e
glottologico sono secondari come tali dal Nostro, rispetto alla incubosa
preponderanza dei poeti "colti" che scrivono invece senza posa con
accanto il Mortillaro o il Traina, alla spasmodica ricerca di un a Koinè
francamente improbabile.
Il nostro Lo Piparo, come
ditta dentro secondo Dante, è un uomo
che ha felicemente sconfitto il nichilismo con la parola, il tedio con la resa
mimica, il tempo che passa con la serenità che sa cogliere e custodire con
garbo e modi sempre ispirati alla cortesia, al rispetto e alla gentilezza.
Lo piparo è un dono
d'altri e più felici tempi, che si umanizzano nella postura e nella comprensione
sempre vigile dei fatti, delle cronache delle notizie che rielabora con lievità
e trasparenza, con intima spiritualità e sincera moralità.
Caro Lo Piparo, la poesia
del sangue siciliano è il sangue vivo della tua poesia.
La comunità' bagherese può
e deve esser fiera di annoverarti fra i suoi figli degni di lode di stima, di
affetto.
La bellezza della vita è
nei tuoi versi sinceri e nel candore della tua anima infinita.
Nessun commento:
Posta un commento