«E che cosa pensate voi della Holy Maid?»[1] chiese Ralph puntando risolutamente al nocciolo dell’inchiesta. Sir More s’arrestò, piegò un tantino il capo da un lato come un cane intelligente e guardò il suo compagno con occhi scintillanti.
«È un argomento delicato», disse, e riprese a passeggiare.
«Questo è ciò che mi rende perplesso», ribatté Ralph. «Non vorreste manifestarmi la vostra opinione, Sir More?» Ci fu di nuovo silenzio, mentre raggiungevano il limite estremo della galleria e si voltavano di nuovo.
«Se non mi aveste risposto con tanta vivacità e audacia a pranzo, Sir Torridon, non avrei potuto fare a meno di ritenere come sospetta questa vostra visita. Ma una testa così valente non può essere alleata di un cuore perverso, e vi dirò ciò che penso». Ralph provò una sensazione di trionfo, e nessuna di rimorso.
«Ve lo dirò», continuò More, «ma sono sicuro che manterrete il segreto. Io credo che sia una buona donna, soggiogata dalle proprie fantasticherie». A Ralph vennero di nuovo meno le forze. Questa risposta non era affatto compromettente.
«Non dico che sia una fattucchiera, come pensano taluni, ma, riferendomi a quello che abbiamo detto or ora, credo che abbia un occhio largo e luminoso senza una mano proporzionata. Essa ha molte visioni ma pochi fatti. Quella storia dell’ostia che le fu portata da Calais dagli angeli per me è una sciocchezza. Dio onnipotente non compie dei miracoli senza motivo e per questo non ne ha nessuno. Il Santissimo Sacramento è lo stesso a Dover come a Calais. E una donna che può sognare quello, può sognare qualsiasi cosa, poiché son sicuro che essa non lo ha inventato. Perciò anche in altre cose può sognare ed è per questo che vi ripeto che è meglio che non pensiate a lei nei riguardi di vostro fratello. Essa non è né una profetessa né una pitonessa». La risposta era quanto mai insoddisfacente e Ralph cercò di rimediare.
«E circa la morte del re, Sir More?»
Questi si arrestò di nuovo.
«Sentite, Sir Torridon, credo che sia meglio lasciare da parte questo argomento», disse un po’ seccato. Ralph, accorgendosi della propria temerità, ritirò il labbro inferiore mordendoselo fortemente.
«Spero che vostro fratello sarà molto felice», proseguì l’altro dopo un momento; «anzi, sono sicuro che lo sarà, se la chiamata viene da Dio, come propendo a credere. Anch’io, come sapete, sono stato per quattro anni in un chiostro e qualche volta mi pare che avrei dovuto rimanervi. È una vita beata. Io non invidio molta gente ma invidio costoro. Vivere con l’ininterrotta compagnia di nostro Signore e dei santi, conoscere i Suoi segreti – secreta Domini – anche i segreti della Sua passione e le ineffabili gioie che scaturiscono dal suo dolore, è una sorte fortunata, Sir Torridon. Talvolta penso che come è per il corpo naturale di Cristo, sia pure per il suo corpo mistico: che ci siano delle membra, le Sue mani, i Suoi piedi e il Suo fianco, in cui siano inflitti i chiodi, quantunque non ci sia una parte sana in tutto il corpo, inglorius erit inter viros aspectus eius, nos putavimus eum quasi leprosum[2], ma che quelle parti del Suo corpo che soffrono di più siano pel fatto stesso più onorate e più felici delle altre. Chi se non i monaci, possono essere quelle felici membra?»
Parlava con molta solennità, con voce leggermente tremula e i benevoli occhi rivolti in basso; Ralph lo osservava da un lato con una certa meraviglia mista a pietà. L’aspetto di Sir More era così naturale che Ralph credette di aver valutato troppo la propria temerità.
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