di Domenico Bonvegna
Una
premessa è d’obbligo, perché ci occupiamo di una pagina di Storia come quella
della conquista di Fiume del 1919 ad
opera del comandante Gabriele D’Annunzio, alquanto complessa e così lontana nel
tempo. La risposta si potrà ricavare leggendo l’ottimo e ben documentato lavoro
di Salvatore
Calasso, pubblicato dalla rivista trimestrale, Cristianità
(Luglio-settembre 2011, n.361), il titolo: “L’impresa di Fiume avanguardia della
Rivoluzione Culturale”.
Intanto
Calasso ritiene opportuno introdurre, l’episodio dell’impresa di Fiume anche se
è avvenuto molto tempo dopo, con l’epopea
risorgimentale. Di fatto, per Calasso, l’impresa di Fiume, conclude il
Risorgimento: “Essa cerca di portare a
compimento, in stile quasi garibaldino, l’unità del nuovo Stato italiano verso
i suoi ‘confini naturali’, quelli cantati, secondo la retorica rispolverata
anche di recente, da Dante Alighieri nella Divina Commedia: ‘si com’a Pola, presso del Carnaro/
ch’Italia chiude e suoi termini bagna”.
Ma
l’impresa fiumana secondo Calasso rappresenta anche e soprattutto altro. In
sintonia con la rivoluzione politica
della modernità e in proseguimento con l’ideologia risorgimentale, a Fiume si tenta di istituire un “nuovo
ordine”, non solo politico, ma
anche e soprattutto esistenziale e morale, un ordine che, per concretizzarsi,
dovrà passare attraverso la rigenerazione della nazione e dei suoi componenti”.
Significativi sono a questo proposito, il risalto dato da D’Annunzio al discorso pubblico, il motto e lo slogan, il
richiamo alla massa e alla storia idealizzata dell’antica Italia, il culto dei
martiri e della bandiera. Tutti dati che tratteggiano una specie di “religione
civile ‘laica’”, che verranno fatti propri, prima dal fascismo, poi, in
parte, dalla politica odierna, che è alla ricerca di un’identità sempre
precaria.
L’impresa di
Fiume.
Si
pone nel magma rivoluzionario,
creatosi subito dopo la Prima Guerra Mondiale (1914-1918); i due fatti più
significativi sono la fine dell’Impero
Austro-Ungarico e soprattutto la formazione del nuovo Stato, dell’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche. Una novità politica che influenzagran parte degli Stati
europei, anche se si assume caratteristiche ideologiche diverse o opposte a
quella socialcomunista, ma sicuramente ne riprendono alcuni aspetti e danno
inizio alla stagione dei totalitarismi.
Certamente
l’impresa fiumana è stata strumentalizzata dal fascismo, che ha visto nelle “vicendefiumane,
la riscossa nazionale destinata a sfociare nella nuova Italia del Littorio”.
Infatti, la cultura dominante continua a giudicarla sotto quest’aspetto. E
tuttavia,“con il passare del tempo, però,
questo episodio assume sempre più un connotato nuovo, che lo libera dal
significato di un semplice colpo di mano nazionalista per annettere la città di Fiume al Regno
d’Italia e lo classifica invece come un esperimento rivoluzionario che va oltre
al totalitarismo…”.
Ma
per comprendere il carattere eversivo dell’impresa
fiumana, bisogna precisare che cosa s’intende per Rivoluzione, Calasso fa
riferimento al grande pensatore cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira.
La Rivoluzione per de Oliveira, ha un’accezione negativa, intende distruggere
un potere o un ordine legittimo e ne instaura uno illegittimo. L’ordine
legittimo è quello che rispetta la “legge
naturale, i valori tradizionali come
il valore primario della vita umana dal concepimento alla morte naturale, la
famiglia naturale come cellula fondamentale della società(…) la proprietà come
valore sociale, la religione come valore fondante il vivere personale e
comunitario”.La Rivoluzione intende
eliminare questa visione del mondo, per sostituirlo con altri elementi
radicalmente opposti. “L’avventura di
Fiume si presunta come un esempio anticipatoredei comportamenti politici che
caratterizzeranno la società occidentale dalla conclusione del Secondo
Conflitto Mondiale (1939-1945) in poi ed è un’anticipazione di quella che
Correa de Oliveira chiama IV Rivoluzione,
a dominante socio-culturale ovvero di tipo morale”. In pratica, i fatti di
Fiume, anticipano la Rivoluzione sessantottina: “nel microcosmo che si crea a Fiume, in seguito all’occupazione da
parte dei legionari capeggiati da D’Annunzio, (…)il piacere diventa prerogativa di tutti coloro che sono convenuti alla
festa della rivoluzione. Godimenti senza limiti, divertimenti, libero
fluire dei desideri, comportamenti disinibiti, privi di moralismo: tali sono i
caratteri che di quest’esperienza collettiva, sostanzialmente liberatoria, ci
tramandano cronache e memorie”.
L’avventura
fiumana inizia la mattina del 12 settembre 1919, quando D’Annunzio fa il suo
ingresso trionfale nella città a capo di un manipolo di granatieri, si
concluderà nel dicembre 1920 con il cosiddetto ”Natale di sangue”. “Nella Fiume dannunziana – scrive
Calasso, – viene creata e sperimentata ‘per la prima volta una liturgia della
politica di massa’, attraverso riti collettivi, come la celebrazione degli
anniversari, le cerimonie di giuramento e le marce militari, e tramite
simbologie pseudoreligiose, come il culto dei caduti e dei martiri, in una
sorta di nuova religiosità laica il cui perno è il rapporto quasi magico fra il
‘capo’ e la massa, espresso
soprattutto nella ‘manifestazione’,
che diventa anche una festa in cui ‘(…)ogni
regola di comportamento è rovesciata, l’ordine militare si converte in
disciplina elastica, la rivista diventa spettacolo che coinvolge tutti in
esplosioni d’allegria collettiva”.
Interessante
la descrizione cha fa dell’ambiente fiumano il fondatore del futurismo, Filippo Tommaso Marinetti
(1876-1944).
Sostanzialmente
a Fiume si sperimenta “un modo nuovo di
fare politica, di stampo parareligioso, che i rituali e le cerimonie politiche
degli Stati totalitari del secolo XX faranno proprio e raffineranno, facendone
un potente strumento di propaganda teso alla fondazione rivoluzionaria di una
nuova visione dell’uomo, in cui la religiosità tradizionale di natura
trascendente viene sostituita da una totalmente rivolta all’immanente di cui la
politica diviene l’artefice con l’utilizzo di una simbologia quasi sacrale…”.
Pertanto, la Fiume dannunziana, appare, “come
un microcosmo dove il percorso della modernità giunge rapidamente al suo apice”.
Citando Mario Carli, Calasso scrive che a Fiume viene rappresentata una società rivoluzionaria dai connotati
libertari e anarchici. Tuttavia a Fiume si cerca di combinare individualismo e comunitarismo, “in un nuovo ordine politico-sociale, frutto di un magma
ribollente di stati d’animo, di concezioni della vita plurali, di aspirazioni
al cambiamento radicale dello stato di cose, che mette insieme idealismo,
nazionalismo, utopia anarchica e vitalismo festaiolo”. E’ veramente
suggestiva la descrizione dell’esperienza fiumana, che viene fatta dallo
storico Mario Isnenghi, intesa come una “nuova agorà”: “Fra il settembre 1919 e il dicembre 1920 si dispiegano(…) mesi di
inebriante pienezza di vita durante i quali la piccola città adriatica viene
strappata alla sua perifericità e vissuta e presentata – da pellegrini
dell’arte, della letteratura e della politica, accorsi non solo dall’Italia –
come il luogo di tutte le possibilità: il centro del mondo, la ‘città olocausta’- nel linguaggio
immaginifico di D’Annunzio – alla cui fiamma si alimentano il pensiero creativo
e i ‘nuovi bisogni’- individuali e
collettivi, nazionali e di genere; la ‘piazza
universale’ di tutti i progetti e di tutti i sogni”. Per D’Annunzio,
Fiume, diventa “la città di vita”, “una
sorta di piccola ‘controsocietà’ sperimentale, con idee e valori,
completamente in contrasto con la morale del tempo, disponibile alla trasgressione della norma, alla pratica di
massa del ribellismo.
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