di Fabio Trevisan
Nel capitolo conclusivo dello straordinario saggio “Ortodossia”, Chesterton
volle chiarire l’importanza dell’autorità e dell’ortodossia per salvaguardare
la moralità e l’ordine, il rinnovamento e il vero progresso. Questa sicura
custodia dell’umanità e dell’autentica libertà partiva dal riconoscimento del
dogma del peccato originale, da quella che continuamente egli chiamava la
filosofia o la tradizione della Caduta (con la C maiuscola). Con questa
fondamentale base universale Chesterton additava l’esatto pericolo che stavamo
(e che stiamo correndo): la salvezza dell’anima.
L’autorità della Chiesa che difendeva il dogma costituiva per lui la sicura
tutela della libertà e del povero: “Se vogliamo proteggere il povero, saremo
favorevoli alle regole fisse e ai dogmi chiari”. Sembrerebbe paradossale
invocare la necessità di dogmi chiari dinanzi alle miserevoli condizioni
dell’uomo di allora e della nostra attualità! Sembrerebbe preferibile
appellarsi alla sola misericordia, come accade oggigiorno. Qual era la
situazione spaventosa che saltava ai suoi occhi? Senza alcun dubbio era la
salvezza prioritaria dell’anima e per questo, ad esempio, preferiva parlare di
“dannazione” e non di “degenerescenza” come molti allora, con termini
pseudo-scientifici, sostenevano: “Se desideriamo che la civiltà europea sia
un’incursione vittoriosa e una liberazione, ci converrà sostenere che le anime
corrono un reale pericolo e non che questo pericolo è estremamente irreale”.
Davvero commovente era questo autentico sguardo misericordioso in Chesterton,
che coniugava carità e dottrina, autorità e libertà, ortodossia e salute
dell’anima.
Egli credeva razionalmente alla forza e all’autorità della Chiesa e lo faceva
appoggiandosi all’evidenza e al senso comune: “Ho esaminato gli argomenti
intellettuali addotti contro l’Incarnazione e ho trovato che erano la mancanza
di senso comune…la dottrina e la disciplina cattolica possono essere dei muri,
ma sono i muri di una palestra di giochi”. L’abbattimento dei muri non poteva
portare che all’anarchia, alla fragilità ed alla paura che Chesterton
esemplificava con una significativa immagine: “Immaginiamo dei fanciulli che
stanno giocando sul piano erboso di qualche isolotto elevato sul mare; finché
c’era un muro intorno a loro, essi potevano sbizzarrirsi nei giochi più
frenetici. Ora il parapetto è stato demolito, lasciando scoperto il pericolo
del precipizio. I fanciulli non sono caduti, ma i loro amici, al ritorno, li
hanno trovati rannicchiati e impauriti nel centro dell’isolotto, e il loro
canto era cessato”.
Ecco perché l’autorità e l’ortodossia (come quei muri) salvaguardavano la
nostra felicità e curavano la salvezza dell’anima; ecco perché il dogma permetteva
la libertà e una reale avventura nella storia dell’umanità. Per questo il
Cristianesimo ed i suoi dogmi erano visti da Chesterton nei rapporti pratici
con la sua anima e costituivano un insegnamento vivo, determinato e sicuro cui
aderire con tutte le facoltà umane (intelligenza, volontà, memoria). Bisognava
considerare la filosofia profonda della Caduta ed il paradosso fondamentale del
Cristianesimo, che non era l’ordinaria condizione dell’uomo né il suo stato di
sanità e sensibilità normale, ma piuttosto che la normalità stessa era una
anormalità. Eravamo e siamo pellegrini in esilio dalla vera terra del Padre,
bisognosi di una grazia salvifica che ci trascini verso l’alto, verso quella
vocazione soprannaturale alla quale eravamo e siamo destinati.
L’orizzonte chiaro dell’ortodossia permetteva di verificare se, nel corso delle
vicissitudini terrene, qualcosa ostacolava la salvezza dell’anima. L’autorità
della Chiesa consentiva così di assaporare la bellezza dell’avventura umana.
(Riscossa Cristiana, 1 luglio 2016).
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