di Luca Fumagalli
Quando Chesterton scriveva che «un grande classico è uno scrittore che si può lodare senza averlo letto», senza dubbio stava pensando anche e soprattutto a William Shakespeare, il più grande autore della letteratura inglese e una delle menti eccellenti della cultura occidentale. Chesterton, da fine cesellatore di paradossi, in poche parole esplicita l’essenza poetica del Bardo dell’Avon, promotore di un messaggio così radicato nel cuore e nella mente dell’uomo da essere universalmente valido. Il fatto che Shakespeare abbia qualcosa da dire a tutti noi non lo rende, però, una specie di extraterrestre, né tantomeno un essere quasi angelico, estrapolato da ogni contingenza, superiore alle esigenze e alle incognite del quotidiano.
Ma è proprio a questo punto che iniziano i problemi. La vita di Shakespeare, infatti, pur affannosamente indagata nei secoli da storici e letterati di tutto il mondo, rimane ancora un grande punto interrogativo. Pochi particolari della lunga parabola esistenziale del drammaturgo elisabettiano sono noti con un certo grado di sicurezza, mentre intere annate pare si siano perse nell’oblio. Da qui hanno preso piede le più assurde e strampalate supposizioni che hanno fatto nascere nel tempo una sorta di “questione Shakespeare”, non troppo diversa per complessità dalla nota “questione omerica”. Innumerevoli saggi e articoli sono stati scritti per rivelare le presunti origini italiane del Bardo o per narrare la storia di uno scribacchino poco talentuoso diventato celebre solo per aver fatto da prestanome a nobili letterati di corte. Il tema è ancora caldo, e film recenti come Shakespeare in Love (1998) o Anonymous (2011) sono riusciti a costruire sceneggiature convincenti – con ottimi incassi al botteghino – inseguendo ora l’una ora l’altra delle più fantasiose piste interpretative a disposizione.
Elisabetta Sala, docente di storia e letteratura inglese, con il saggio L’enigma di Shakespeare. Cortigiano o dissidente? (Ares, 2011) affronta l’argomento da una prospettiva diversa, anche se per certi versi non del tutto inedita. Sgombrato il campo dalle dicerie e dalle grossolane semplificazioni di certa storiografia nazionalista, Sala conduce per mano il lettore in un’appassionante avventura investigativa alla ricerca di tutti quegli indizi che sembrano confermare la più scomoda delle verità per la protestante Inghilterra: Shakespeare era cattolico.
Già Jan Dobraczynski nel suo romanzo L’invincibile armata (1960) aveva fatto indossare al Bardo i panni di uno sfuggente ricusante amico dei gesuiti, nelle cui opere mette alla berlina tanto l’anglicanesimo quanto l’ottusa arroganza del sovrano di turno (poco importa se Elisabetta o Giacomo). L’enigma di Shakespeare dà a questa intuizione la forma di un corposo trattato che vanta, tra i molti meriti, un ricco apparato bibliografico e una prosa godibile.
Bastano dunque poche pagine per far crollare miseramente l’immagine convenzionale del Shakespeare cantore dell’ottimismo elisabettiano. Le sue simpatie, a quanto emerge in modo sempre più chiaro da studi autorevoli, erano rivolte piuttosto alla minoranza perseguitata – tra l’altro era in stretto rapporto con diversi rappresentanti della dissidenza cattolica –, e le sue opere cercavano, pur cautamente, di dar voce a chi non aveva più diritto di parlare. Il teatro e i testi lirici sono attraversati, non a caso, da un filo rosso sotterraneo che torna alla ribalta nella riproposizione di figure e situazioni ricorrenti (nonché nella citazione di particolari della devozione popolare cattolica, scomparsa con l’imposizione della chiesa nazionale). Lotte fratricide, equivoci dalle terribili conseguenze e personaggi positivi ingiustamente esiliati sono solo alcuni esempi di quelle immagini shakespeariane che comunicano a più livelli e che, tra le righe, raccontano allo spettatore di un regime corrotto, di una religione annientata dalla brama dei disonesti e di tanti sacerdoti che hanno pagato con la vita la fedeltà alla Chiesa di Roma.
Se, come ha dovuto infine ammettere anche qualche studioso protestante, Shakespeare morì papista, è perché, molto semplicemente, era rimasto tale per tutta la vita.
da: www.radiospada.org
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