lunedì 25 settembre 2017

Stato o anti-Stato? Il culmine del Quarto Stato

di Cristiano e Davide Lugli

Il tentativo di tracciare un bilancio significativo sulla nostra epoca è cosa assai ardua, se esso volesse essere fatto descrivendo per filo e per segno i passaggi che hanno operato allo sfacelo odierno, inteso da tutti i piani: spirituale anzitutto, a cui segue quello politico, economico, sociale, per confluire nel peggio, ovverosia la mancanza della semplice morale o, ancor meglio, la totale assenza di buon senso naturale. Sarebbe tuttavia stolto presumere che la mancanza di quest’ultimo sia la cosa più assurda, e questo ragionamento comporterebbe il cedimento ad un’analisi fatta con pensiero tipicamente moderno, e cioè quello che porta a salvare il salvabile, l’ultimo vagone, senza comprendere che questo è il classico principio rivoluzionario, con annessi stravolgimenti “dal basso”. Non esageriamo affatto nell’affermare che ogni tipo di cambiamento oggi viene proposto dal basso, dai sottostrati di una società amorfa nella quale il cieco guida il cieco e lo schiavo comanda l’altro schiavo. L’inversione, o meglio la sovversione, sono i capitelli portanti del pensiero collettivo, pensiero che, volente o nolente, porta i più a compiacersi del limbo rintronante verso cui tutti ci dirigiamo quotidianamente, perlomeno sonnecchiando in esso e contribuendo almeno parzialmente alla dissoluzione in atto.
L’approfondimento pur di senso generale che vorrebbe qui compiersi si concentra essenzialmente sull’idea di Stato, in senso assoluto e non relativo, superiore e sideralmente distante dunque dalla concezione che conviene all’homo odierno, sia esso politico o bassa manovalanza.
Dall’idea di Stato e dai connotati assunti da esso si può facilmente capire l’epoca in cui si vive, cosicché, per rendere chiara la nostra, sarà conveniente analizzare i passaggi da un punto di vista marxista il quale, seppur rivoltante, ha identificato con maligna astuzia i passaggi fondamentali della decadenza che potremmo tranquillamente definire “post-moderna”. È ovvio che l’esame storico di comunista memoria è qualcosa di atroce se analizzato secondo il loro punto di vista, giacché esso si rifà ad una purtroppo vera concatenazione di eventi in grado di determinare l’assetto economico, adulando il proprio trionfo nel dominio della classe lavoratrice, proletaria nel senso più inferiore del termine. I passaggi salienti apportati dall’idea marxista di Stato, non sono altro che la traccia di una regressione e della concomitante discesa del tipo di civiltà, nonché del potere politico. Il grosso problema storico-politico però, se vogliamo, consiste nella mancanza di una manovra in senso opposto da parte del pensiero di Destra – esso inteso non solo come politico, ma anzi e soprattutto come consono alla nobiltà d’animo – il quale non ha saputo inquadrare gli avvenimenti storici in uno schema di maggiore ampiezza rispetto a quelli primitivistici ed in preda al materialismo storico, di cui la feccia marxista è stata levatrice per eccellenza. Mancando una chiave interpretativa diversa, collegata ad una visione superiore della storia, metastorica, le forze infere hanno potuto agire indisturbatamente falsandola e plagiando la civiltà corrente fino ad oggi, in cui il marxismo è visto come giusto corso storico, e la vittoria della classe operaia come conquista senza precedenti.
Con questa architettonica truffa l’uomo moderno è stato reso dimentico dell’organizzazione sociale completa regnante in epoca cristiana secondo una retta gerarchia, e franata piano piano regredendo dall’uno all’altro strato gerarchico per lasciare infine spazio all’apice contrario, ad una piramide nettamente rovesciata alla cui punta del baratro si trova ciò di cui persino il marxismo non ha dato una precisa spiegazione, forse per il semplice motivo che le tappe storiche da esso tracciato sono state la semina per questo ultimo sub-strato sociale: il Quinto Stato.
Per esso e in accusa di esso non si vuole raffazzonare la stessa critica mossa da Allegri e Ciccarelli, denunciando la precarietà odierna e la presunta mancanza di “democrazia” o dintorni, quanto piuttosto tutto il contrario: l’intento è quello di presentare una visione oggettiva di questo Quinto Stato che, come detto, non conosce una vera definizione nemmeno in ambito marxista.
Per comprendere la sua struttura e prendere di conseguenza in considerazione la possibilità che esso esista, è necessario un ragguaglio in merito a quanto poco sopra detto sull’organizzazione sociale resasi manifesta in tutta l’epopea tradizionale. É testato come ogni civiltà normale strutturasse il proprio assetto attraverso quattro predominanti piani gerarchici, al massimo gradino dei quali stava la figura spirituale, il sacerdozio ed il cosiddetto “diritto dall’Alto” (o “divino”) esercitato dal Romanus Pontifex. Il susseguirsi di questo tracciato storico avallò la discesa del primato spirituale per lasciare posto a quello retto dall’aristocrazia, sviluppatasi e conclusasi nel medesimo con le grandi dinastie europee.
Il punto successivo fu cruciale e quanto mai gravoso, poiché assunse già i disvalori democratici con l’avvento della Rivoluzione Francese che, tramite il liberalismo e l’industrializzazione, impose la struttura del Terzo Stato, borghese e ricolmo dei connotati di plutocrazia e capitalismo: non solo la veridicità e virilità dell’autorità non si fonda più su criteri sovrannaturali o comunque spirituali, ma addirittura essa s’impernia sui dettami del dio danaro, andando da sé il moderno fenomeno che sancisce la dirittualità materialista del presupposto economico come padrone delle dinamiche politiche e sociali. L’immersione totale nella materia, avvalorata dall’industrialismo, sostituisce (fino ai giorni nostri) ogni legame con il sovrannaturale, cosicché i grandi capitali industriali divengono i colossi della mondialità propinata all’uomo-vittima del Terzo Stato.
Andando via via gradatamente passiamo a definire l’ultima visibile fase di questo crollo, come detto preannunciata dal filone storico tracciato dal marxismo, e cioè gli sviluppi socialisti e di basso proletariato convogliati all’interno dell’industrializzazione: era evidente che l’idea di sostentamento materialista voluto dalla borghesia determinasse una classe sociale ancora più infima in grado di soddisfare questa idea, per nutrire il decorso che a grandi e veloci passi si stava compiendo sotto gli occhi di un mondo che non godeva più di una Luce da ricercarsi nel sovrannaturale, in Dio, nella Chiesa e nei suoi Santi, ma all’interno di quel “lume intellettuale” razionalista e laicista che ha obnubilato la civiltà fino ad oggi.
Il comunismo sovietico traccia per contro l’ultima fase ribellandosi alla sua stessa madre generatrice, niente di meno che il Terzo Stato, attraverso un apparente scalzamento di quei rigori medio-borghesi che lasciano spazio alla venuta del Quarto Stato. Gli uomini diventano numeri e la massa incalza il diritto al “diritto”, alla ribellione del cosiddetto “ceto debole” pressato sotto il giogo del padrone ricco, flebile inganno di rivalsa giacché nessuno sprofondamento di strato gerarchico è mai casuale, seppur quest’ultimo del Quarto Stato è riuscito a creare un irreversibile e nefando connubio con il Terzo Stato, che produce per logica conseguenza il falso mito antagonista fra blocco russo-cinese comunista e quello statunitense liberal-capitalista, con annessi satelliti concernenti gran parte del resto del mondo. Così facendo sarebbe stato certo il dominio mondiale e il rovesciamento esiziale della gerarchia, il Quarto Stato attuando il risucchio di ciò che ancora sussisteva del mondo del Terzo Stato.
Come si è sopra detto, però, questo percorso di abissale regressione non può dichiararsi completato al trionfo del Quarto Stato perché i fenomeni esistenti oggi sembrano aver preso una traiettoria ancora più sconvolgente in seno alle idee che hanno fatto da massa di sfondamento, o se vogliamo di sprofondamento.
Di certo l’argomento del Quinto Stato a cui in questa sede facciamo riferimento era già stato toccato da qualche personaggio dello scorso secolo, ed in particolare si può segnalare Hermann Berl che a cavallo fra la prima e la seconda guerra mondiale scrisse un libro intitolato “L’avvento del Quinto Stato”. A Berl fece seguito Giulio Cesare Andrea Evola, anch’egli tentando di approfondire questo fenomeno politico-sociale. Pur volendo aprire tutte le riserve che ci si sente di aprire sui due personaggi, va detto che intercettarono un interessante passaggio, in particolare riferendoci al pensatore italiano che, al contrario di H. Berl (ossessionato da un racconto di cariche emotive in cui la storia viene interpretata in ottica regressiva), tenta di connotare la storia in modo lucido e non cedendo all’inganno marxista in cui invece cadde evidentemente il tedesco.
L’interpretazione evoliana del Quinto Stato richiederebbe delle distinzioni essenziali, come lui stesso asserì in un articolo del 1974: “Qui bisogna riferirsi soprattutto all’idea che ogni organizzazione comprende due principî elementari, forze di ordine da un lato, forze di caos dall’altro. Essa sorge da un’azione formatrice che vincola e frena in determinate strutture (entro le quali esse possono manifestarsi creativamente come un fattore dinamico) le seconde. Ebbene, quando un ciclo volge al termine, questo substrato elementare, il fondo sub-personale e quasi si potrebbe dire goethianamente “demonico” che nelle civiltà tradizionali era piegato, tenuto a freno e elevato a una legge superiore e dal naturale prestigio che rivestivano i valori spirituali, eroici e aristocratici e i rappresentanti di essi, tende a tornare allo stato libero, ad agire in modo distruttivo, a prendere il sopravvento.”
Possiamo anche risolvere la questione ciclica sostituendola con un concetto più consono e conosciuto all’Occidente, verosimilmente parlando di civiltà decaduta e giunta ad un punto di non ritorno (ché forse non è così?), non variando però il cuore del discorso e l’aspetto esasperato che ne deriva da questi tempi bui ed ultimi sotto ogni piano. Nel passaggio sopra menzionato viene fatto riferimento alle forze del caos che si muovono in senso opposto a quelle d’ordine le quali, in epoca tradizionale, contenevano gioco-forza le prime: e forse non accadeva questo nel corso della storia cristiana che si è susseguita fino ai tempi del becero illuminismo? Non era palesemente tutto contenuto in un grado d’ordine retto dal primato spirituale e regale rilasciato per comando divino da Cristo stesso alle autorità regnanti sotto il Sigillo dell’Agnello Immolato e della Sua Croce di Re? Tosto si pensi alla famosa visione di Leone XIII, e al potere infernale a cui è stato concesso di scatenarsi nell’ultimo secolo, non è forse stato auspicio della fine di questa forza d’ordine contenitiva e termine ultimo dell’impero del caos?
In questi termini possiamo senza dubbio affermare che il Quinto Stato, nella sua complessità motivazionale, è un prolungamento livellante e disumanizzante dello strato che lo precede, bestiale perché d’impronta marxista, ma allo stesso tempo imprevedibile e carico di piacere distruttivo. Questo di norma è il processo di ogni “rivoluzione”, giacché questo stato inferiore che si manifesta in tutta la sua scelleratezza è quello che corona il passaggio dall’uno all’altro, come in questo caso, esasperando la brama di eversione e di autodistruzione prima ancora della personalità, e poi della collettività.
Se il Quarto Stato prende la forma del non-Stato – il “potere” elevandosi dai bassifondi dell’umana disperazione – il Quinto Stato riveste invece le sembianze dell’anti-Stato se lo Stato lo si riconosce come realtà di ordine naturale certo, ma organizzata su modello preternaturale; esso è “anti-” (nella sua radice di “contrasto”) per eccellenza, rifiutando in toto come nei precedenti passaggi la realtà ordinata ad un Sommo Re che è Gesù Cristo. Il sintomo dell’anti-Stato è proprio il rifiuto della regalità, del comando proveniente dall’Alto dei Cieli che dispone, sempre per diritto divino, il comando della nazione. Il Quinto Stato è l’opposto e lo dimostra il sistema politico stesso, gravitante ancor più nel liquame creato dalla commistione fra marxismo e quello che insieme al liberalismo si è prodotto: la democrazia. La democrazia è una prorompente macchina di caos estremamente e minuziosamente organizzata, tanto che lo stesso Berl aveva identificato questo dinamico ossimoro di “caos organizzato”, e a nostro avviso con lungimiranza poiché quasi per un corso di naturale gravitazione, in un processo decadente è difficile che uno stadio non si concluda aprendo a ciò che appartiene ad un dominio ancora più infero, specie trattandosi di sistemi politici come nel caso che stiamo tentando di trattare nella sua complessità storica. L’attacco alla personalità poc’anzi sfiorata viene commissionato proprio dalle forze che affiorano dal basso demonizzando l’ordine sussistente, o ciò che perlomeno di esso è rimasto.
Sia chiaro che non si vuole qui enfatizzare il corso di tutta la storia come privo di problematiche, poiché per contro non è segreto che la violenza e le atrocità dei singoli siano sempre esistite; tuttavia l’esclusività della nostra epoca primeggia e rimanda a dei maligni metodi, studiati nel dettaglio, in grado di degradare gli esseri umani fino a ridurli ad essere cadaveri ambulanti, privi di volontà e zimbellati davanti ai loro stessi occhi senza essere più in grado di opporre la ben che minima resistenza, o ancora meno una reazione nonostante i falsi miti delle generazioni sovversive costituitesi negli anni ’60 – ’70. Questo genere di ribellione è anch’essa tipica dell’avvento del Quinto Stato, dove il caos spadroneggia e lascia campo alle forze selvagge le quali spazzano via per sempre l’idea di egemonikon che domava ed ordinava sensi e impulsi.
Interessante rispetto a questo senso di “ribellione” potrebbe essere un altro passaggio a cui sempre Evola allude, riferendosi al procrastinarsi dell’anti-Stato dal quarto al quinto strato, sotto l’anestetico collettivo delle generazioni emergenti:
“La rivolta può essere legittima quando si porta contro una civiltà in cui quasi nulla ha più giustificazione superiore, che è vuota e assurda, che, meccanicizzata e standardizzata, tenda essa stessa verso il sub-personale in un mondo amorfo della quantità. Ma quando si tratta di “ribelli senza bandiera”, quando la rivolta è, per così dire, scopo a se stessa, il resto facendo da pretesto, quando si accompagna a forme di scatenamento, di primitivismo, di abbandono a quel che è elementare in senso inferiore (sesso, ebrezza, violenza gratuita e spesso criminosa, esaltazione compiaciuta del volgare e dell’anarchico), allora non è azzardato stabilire un certo nesso fra questi fenomeni e gli altri che su un piano diverso attestano l’azione di forze del caos affioranti dal basso attraverso le crepe sempre più visibili dell’ordine sussistente, forze da cui sono posseduti elementi gettatisi allo sbaraglio e più o meno traumatizzati.”
A questo fa seguito il mezzo con il quale si demonizza il singolo per traumatizzare il collettivo, e questo mezzo è il “lavoro”: l’aspetto fondamentale per comprendere il turbamento dello stato psichico, o per meglio dire, psicotico, dell’individuo apportato dal Quinto Stato, è quello di entrare nel merito del “lavoro”in quanto tale. Ma questo lo approfondiremo in una seconda parte.
Ciò che non si può eludere raccogliendo il nocciolo di questa prima parte, è l’affiorante incombenza di queste forze caotiche sempre più potenti nell’ultimo stadio di cose a cui si è fatto riferimento. Esse scoccano i rintocchi delle campane infernali che Satana fa risuonare nella maggior parte delle anime, ottuse nei propri solipsismi, perse ed inebriate a causa di un’Istituzione divina che rivedrà la Sua gloria, ma ora composta da uomini non più in grado di occuparsi della loro salvezza e di quella altrui, verso cui – essi in primis – grava una enorme responsabilità.

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