mercoledì 17 gennaio 2018

Chi ha il coraggio di fare la rivoluzione o la controrivoluzione nella scuola

di Domenico Bonvegna

Probabilmente il tema dell'emergenza educativa è tra quelli più discussi, ma questo non è bastato a far prendere quei necessari provvedimenti nella scuola e nella società tutta. In queste vacanze natalizie ho letto un testo che si occupa proprio della scuola, dell'educazione, dell'insegnamento, della difficile professione dell'insegnante, dei genitori, delle famiglie. Il titolo del saggio: “Emergenza Educazione. Una sfida per docenti, famiglie e mondo politico, analisi e proposte”, di Roberto Pasolini, con prefazioni di Rocco Buttiglione e Onorato Grassi, edito da Associazione Thomas More di Milano. (2010). Successivamente pubblicato da Elledici.
Il professore Pasolini, è uno dei protagonisti della scuola milanese e nazionale, si prodiga con pazienza educativa, a sviscerare, uno per volta, gli aspetti, grandi e piccoli, delle vicende scolastiche, offrendo, per ciascuno di essi, acute e pertinenti analisi, che certamente il lettore apprezzerà. Il prof propone un testo agile elaborato attraverso la forma dell'intervista predisposta da Luigi Meani, uno strumento utile per le argomentazioni esposte nei cinque capitoli. Un testo dedicato soprattutto a coloro che vivono l'educazione come vocazione e impegno. Il lettore, sia esso insegnante, genitore, allievo o semplice cittadino, troverà non poche informazioni e riflessioni su un mondo che bene o male ha spesso a che fare. Pertanto, riflettere sul tema dell'educazione oggi è necessario, perché “nell'educare si gioca il presente, ma sopratutto si gioca l'avvenire dei figli e delle generazioni future”, scrive Pasolini nell'introduzione.
Ripercorriamo brevemente alcune risposte del professore alle domande poste da Meani. Le riflessioni anche se fatte qualche anno fa, e magari già sentite o lette in altri contesti, sono utili per affrontare l'annosa e spinosa questione educativa.
Nel 1° capitolo Educazione e Scuola”, si affronta il problema internet e come responsabilizzare i ragazzi al suo uso corretto. Questioni aperte di non facile soluzione. Alla“scuola di massa”, alla “scuola gregge”, che abbassa il livello di studio, d'impegno e di conoscenza, il professore lombardo, indica la strada che porta a eliminare“la massificazione degli approfondimenti, puntare sulla diversificazione e sulla valorizzazione come vero stimolo ad un apprendimento capace di creare aspettative. L'utopia del 'tutto uguali' è solo foriera di mortificazioni [...]”. Per Pasolini, bisogna dare “a tutti le indispensabili conoscenze di base, è doveroso puntare sulla personalizzazione e sul progresso negli studi sulla base del merito per dare il giusto stimolo ai capaci e, spesso, far scattare anche qualche effetto fruttuoso di emulazione negli studenti un po' meno bravi”. Il professore insiste:“bisogna avere il coraggio culturale di […]rompere il circolo vizioso, utopistico e per certi versi assurdo, che tutti devono poter lavorare in qualunque posizione professionale, anche se non ne hanno le capacità”.
L'autore del saggio affronta il tema del bullismo, della violenza nelle scuole, delle aggressioni, anche agli insegnanti, degli atti vandalici all'interno delle scuole. Il testo riporta i dati inquietanti di un'inchiesta fatta sulle scuole di Milano e provincia, dove risulta che l'81% degli studenti avverte un pesante disagio al solo pensiero di dover andare a scuola e che il 94,6% del campione dichiara di essere stressato e l'89,6% di essere annoiato. A fronte di questo ampio tragico panorama, la scuola deve rispondere, ma non solo lei. Servono “famiglie capaci di trasmettere e testimoniare valori, politici più credibili ed affidabili [...]”. Sostanzialmente oggi “i giovani non hanno più  riferimenti, mancano gli esempi di persone autorevoli”. Certo la scuola può fare molto, per dare credibilità alla sua funzione, per farla ritornare a quel “luogo di incontri che non si dimenticheranno per tutta la vita”.
Pasolini propone “veri maestri”, a questo proposito, fa riferimento ad un articolo della giornalista Isabella Bossi Fedrigotti: “I nostri figli senza maestri”. La giornalista critica gli errori degli adulti ridotti a proporre come ideali forti, la squadra di calcio, il finire in Tv o un certo tipo di abbigliamento.“Poveri ragazzi, viene da dire, però è questo il piatto che abbiamo preparato per loro, gli esempi che abbiamo fornito, i modelli che abbiamo fabbricato. Ed è un serpente che si morde la coda perché se famiglia, scuola e istituzioni varie oggi si rivelano così deboli, così inascoltate e incapaci di educare è anche perchè per prime sembrano aver smarrito nel tempo le ragioni forti del loro essere. I maestri, insomma, i tanto invocati maestri grandemente scarseggiano perché non credono più al loro magistero”.
Nel 2° capitolo, “Educazione e insegnanti”, si entra nel merito della didattica scolastica, del ruolo dell'insegnante. Il maestro dovrebbe trasmettere agli studenti la passione ad apprendere e ad approfondire la disciplina che insegna. Bisogna combattere,“il graduale appiattimento della classe docente da professionale a classe impiegatizia, mal retribuita, che ha generato un contesto lavorativo privo di stimoli, pieno di demotivazione, oppresso dalla burocrazia, nel quale la sindacalizzazione profonda ha avuto buon gioco, una sindacalizzazione incapace di leggere la reale necessità professionale dei docenti di mettere in atto le giuste strategie e che si limita alla garanzia del posto[...]”.
Tuttavia per l'esperto professore bisogna“valorizzare la professionalità docente, ridarle lo status sociale di primo piano, rimotivare il lavoro dei docenti è indispensabile per ridare slancio a tutto il sistema, per ridare l'entusiasmo di apprendere ai nostri giorni[...] Abbiamo bisogno di ritrovare docenti appassionati e, quindi, capaci di trasmettere interesse ai giovani e far loro scoprire il valore della cultura”. E' evidente che il riconoscimento economico diventa importante se non fondamentale per il docente. Anche se prima forse occorre dare dignità professionale agli insegnanti, e qui Pasolini, ricorda i tempi quando il maestro, al pari del maresciallo dei carabinieri, del medico condotto, del parroco, erano i “pilastri” del territorio.
Nel capitolo si auspica una vera e propria rivoluzione culturale:“occorre ritornare a valorizzare l'eccellenza. Occorre innalzare i livelli medi di apprendimento. Occorre che in ogni scuola possano formarsi gruppi di studenti eccellenti che abbiano loro per primi la passione, di apprendere [...]”. Per il professore, è auspicabile,“rompere il meccanismo dell'egualitarimo, frantumare la convinzione ideologica che giustizia sociale significhi stesso livello culturale per tutti”.
Pasolini affronta la questione del metodo educativo, come “interessare” lo studente allo studio delle discipline. Se gli studenti non rendono, la colpa è dei docenti che non li sanno interessare, è il solito slogan ripetuto dalle famiglie, con lo scopo di difendere i propri figli. Naturalmente il professore è consapevole che tra gli studenti esistono disagi e difficoltà oggettive, originate dalla mancanza di “autostima”, di non volersi mettere in gioco, dalla paura della sconfitta.
A queste mancanze si dovrebbe  intervenire con la didattica personalizzata, abbinata ad un rapporto personale capace di creare fiducia e soprattutto far capire allo studente che si ha fiducia in lui e nelle sue capacità di raggiungere obiettivi come tutti.
In “Educazione e Famiglia”, si affronta l'influenza della famiglia sull'educazione dei ragazzi.
Qui l'autore fa riferimento ai continui richiami del Magistero della Chiesa, in particolare a Benedetto XVI. I ragazzi di oggi sono figli, nipoti di quella generazione del 68, di quella cultura, espressa nel festival di Woodstock, che ha vissuto il forte tentativo di distruggere i valori che per secoli sono stati il punto di riferimento dell'educazione di tante generazioni. Lo storico Renzo De Felice ripeteva spesso che “i danni provocati dal 68' non sarebbero stati rimarginati in meno di cinquant'anni. Il principale prodotto della vittoria dell'ugualitarismo sul merito, infatti, è stato un profondo livellamento verso il basso di studenti e docenti”. Morale: per cambiare la nostra società, ciò che è immobile, non abbiamo alternative: “Dobbiamo abolire il 68”.
Quegli anni secondo Pasolini “hanno avuto un notevole impatto sulla cultura e sui costumi contemporanei e fatalmente si sono insinuati nel modo di pensare, nel modo di agire, nel modo di educare, ed hanno provocato l'inevitabile disgregazione sociale derivante dal non aver neanche cercato di sostituire i valori che si tentava di distruggere, Dio, Patria e Famiglia, con altri che dessero al contesto sociale un valore etico e morale di riferimento”.
Pertanto è evidente che non si può trasferire alla scuola tutta la responsabilità educativa. Il prof affronta la grave questione della inadeguatezza del ruolo educativo dei genitori. E' diffuso all'interno delle famiglie il permissivismo, poca fermezza, c'è un ampio “relativismo etico e morale”, più volte ribadito dal papa emerito Benedetto XVI.
In “Educazione e Società”, si affronta la questione del dare un senso all'educare, un nuovo slancio di passione per educare e soprattutto per lo studio. Per far riacquistare il gusto del “sapere per il sapere”, il gusto per lo studio, anche se questa ipotesi, potrebbe essere utopistica nell'attuale condizione della nostra società.
La scuola di oggi rischia di perdere il suo ruolo fondativo, lo sosteneva la giornalista Ida Magli: “Tutto quello che non so, l'ho imparato a scuola”, e affermava pessimisticamente: “E' passato il tempo, è cambiata la società, è cambiato il modo di vivere e la scuola è rimasta fuori della storia, fuori dalla realtà. Tanti ministri di buona volontà si sono succeduti, ognuno con la propria riforma, ma nessuno ha avuto il coraggio di una RIVOLUZIONE. Per questo il risultato è stato sempre quello che non poteva non essere: terapie su un cadavere”.
In questo capitolo Pasolini, risponde alle domande, forse tra le più significative, fondamentali per la Scuola, per la società. “Perché i ragazzi di oggi riconoscono sempre meno il valore dello studio? Lo studio è fatica, fatica nel leggere, fatica nel comprendere, fatica nel trasferire, fatica nel memorizzare e fatica nel far sedimentare il sapere dentro di sé. Perché per molti giovani sembra essere venuta meno questa necessità che impegnarsi attivamente nell'archiviare conoscenze dentro di sé?”. Potremmo rispondere: “perché ti chiedono a cosa serve e tu non sai dare una risposta convincente. Occorre motivare ad apprendere”. Tuttavia non solo lo studio, ma anche la lettura semplice è in crisi. “Leggere richiede un tempo che nella nostra società non esiste più”. E' in crisi la lettura dell'approfondimento. Molte colpe sono da attribuire a internet, a Google, al “copia e incolla”. Anche se bisogna far comprendere l'utilità,“sia di una gran quantità di informazioni acquisite in tempo veloce, sia la capacità di lettura, vissuta riga per riga, pensiero per pensiero che offre il desiderio di conoscere ed approfondire, 'vivendo' il libro e il suo autore.
Allora per concludere quali ipotesi, soluzioni, opportunità, sfide e decisioni si debbono metter in campo per far sì che l'educazione diventi veramente una priorità per il nostro Paese? Il testo cerca di rispondere alla domanda. Propone una grande mobilitazione coinvolgendo docenti, dirigenti scolastici.“Contestualmente sarà indispensabile avviare un processo di cambiamento che punti a ridare dignità sociale alla professione docente: selezione d'ingresso per i 'vocati', ed appassionati, riconoscimento economico in relazione al merito ed alla professionalità mostrata, valutazione degli esiti, team riconosciuti e remunerati sui risultati per la ricerca sull'innovazione didattica nelle scuole, riallineamento delle retribuzioni alla media europea, sono gli indispensabili obiettivi da porsi”.
Il secondo passo potrebbe essere il varo di norme coraggiose, anche “estreme” come la chiusura delle scuole mal gestite che rifiutano lo sforzo dell'innovazione. Assunzione diretta dei docenti, valorizzazione delle risorse umane, responsabilità della gestione, rendiconto sulla base dei risultati ottenuti. In pratica secondo il prof Pasolini bisogna utilizzare certe “pratiche” consolidate nelle istituzioni paritarie, pratiche che potrebbero essere trasferite anche alla scuola statale, con tutti i benefici ben immaginabili.
Un altro passo potrebbe essere quello dell'abolizione del valore legale del titolo di studio, anche se non è facile, per quella “radicata mentalità del diritto al posto, legato a scelte di 'graduatoria', in un paese come il nostro governato da una gerontocrazia con tutte le sue rendite di potere e disposizione, a volte aiutata da una certa complicità delle famiglie che vogliono, ad ogni costo, assicurare ai propri figli un diploma dotato di valore legale, ma – ricorda Pasolini – il sistema deve essere liberato da questo laccio, da questo falso valore per poter sprigionare potenzialità e motivare dovutamente la valorizzazione di conoscenze e competenze acquisite”.
Pasolini conclude il suo saggio allegando un documento “educativo”, si tratta di una lettera del 21 gennaio 2008 del Santo Padre Benedetto XVI alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell'educazione, motivando la scelta con le seguenti parole: “scritto da un 'maestro', che da tempo ricorda a tutti il dovere di affrontare con determinazione ed 'amore' questa emergenza. Una 'lezione' per tutti coloro che, credenti e non hanno a cuore un futuro migliore per nostri figli”.
Comunque il tema potrebbe risolversi soltanto con questa eccellente riflessione di san Giovanni Bosco, posta nel retro-copertina:“se la gioventù sarà rettamente educata, vi sarà ordine e moralità, al contrario: vizio e disordine. Io ho consacrato tutta la mia vita al bene della gioventù, persuaso che dalla sana educazione di essa dipende la felicità della nazione”.


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