lunedì 6 luglio 2015

Appunti su Gaetano Mosca



di Sandra V. Guddo

Esiste sul pensiero di Gaetano  Mosca ( Palermo 1858-1941 ) una vasta letteratura che appare orientata ad un’ interpretazione persistente, nonostante gli autorevoli chiarimenti del Croce, dell’Einaudi,  del e dello stesso Mosca, a sottolineare l’antiparlamentarismo  e l’anti democraticismo del palermitano ad attribuire alla teoria della classe politica la responsabilità storica e ideologica dell’avvento del fascismo in Italia. Queste interpretazioni si avvalgono soprattutto della critica aspra ed efficace che il Mosca nella Teorica dei Governi(11) rivolge all’istituto parlamentare come inidoneo a garantire le libertà costituzionali ed insufficiente al controllo dell’operato degli uomini al potere.

Ma l’antiparlamentarismo del Mosca non nasce da ostilità all’istituto parlamentare, piuttosto dalla delusione e dal disgusto di fronte ad una realtà politica, rintracciabile storicamente nella caduta della Destra e nell’avvento della Sinistra al potere, realtà in cui maneggi elettorali e scandali bancari avvenivano alla luce del sole .
Quando lo studioso parlamentario affermava che attraverso le elezioni non è affatto vero che si manifesti “la volontà del paese”, certamente aveva presente l’esperienza della vita pubblica meridionale dove “cricche di camorristi e cosche mafiose “ continuavano la prevalente realtà politica, ed egli da quel buon siciliano che era, ne aveva tratto precise conclusioni.
Il periodo in cui visse il Mosca, in verità, fu particolarmente turbinoso, attraversata com’era l’Italia da una crisi poliedrica nel paese e quindi da una crisi di sfiducia dei cittadini nei loro governanti.
Le instabili condizioni socio-economiche del paese e quelle ancora più precarie del Mezzogiorno costringevano infatti gli spiriti più attenti a ricercare il perché di quella situazione.
Due furono allora gli indirizzi critici dominanti nei confronti elle istituzioni politiche liberal-parlamentari: la corrente marxista che individuava nel sistema economico-capitalista la maggiore responsabilità delle contraddizioni sociali del paese, e la corrente che il Burnham ha individuato nei neo-machiavellici, cioè in quegli studiosi di scienze sociali che come il Mosca studiavano attentamente la struttura e le condizioni d’essere delle classi dirigenti.
E’ certamente, la classe dirigente meridionale, come allora poteva apparire al giovane Mosca, si presentava proprio come un esempio clamoroso di miopia e incapacità politica, se non come fonte di corruzione economica e sociale.
Così la diretta espressione di questi ceti privilegiati, cioè il parlamento, non poteva che essere considerato con molto sospetto e circospezione.
Ma il trasferimento nell’Italia centro-settentrionale dove tali scandali erano più attenuanti o meglio celati, dovette almeno in parte far ricredere il Mosca se nel saggio su Le costruzioni moderne sembra abbia riacquistato fiducia circa le possibilità di proporre rimedi nell’ambito della struttura del regime rappresentativo.
La maturazione propria dell’uomo e del pensatore, l’influsso del marxismo, la elaborazione della dottrina della difesa giuridica, dovevano portarlo ad una cauta accettazione della democrazia rappresentativa.
La teoria della classe politica è invero smascheratrice di ideologie. Con essa Mosca intese offrire, il “ buon filo” per interpretare la realtà vera, che sempre rimane nascosta dietro le “ formule politiche “, e una guida empirica per la comprensione della realtà politico-sociale.
Secondo Gaetano Mosca, la classe politica  giustifica e legittima il suo potere ricorrendo alle ideologie: queste sono principi di sovranità atti a celare la realtà politica dietro la parvenza di credenze soprannaturali, quale il principio della sovranità per volontà divina, o dietro concezioni che pretendono razionalità, quale il principio della sovranità popolare. “ Ciò però non vuol dire che… siano volgari ciarlatanerie inventate appositamente per scroccare l’obbedienza delle masse.(…) La verità che esse corrispondono ad un vero bisogno della natura sociale dell’uomo (…) universalmente di governare e sentirsi governare non sulla sola base della forza materiale ed intellettuale, ma anche su quella di un principio morale “.
Le ideologie sono la sistematizzazione delle esperienze di un dato gruppo sociale e la cristallizzazione dei loro bisogni e delle loro esigenze. Esse risultano storicamente adeguate allorché si conformano agli interessi e agli scopi dei gruppi sociali e ne diventano portavoce.
Per il Mosca il migliore regime politico è quello che garantisce il maggior rispetto del senso morale, quello in cui  “ la naturale propensione degli individui umani a soddisfare i propri appetiti e le proprie volontà, a comandare e a godere, viene frenata dalla naturale compassione per il danno ed il dispiacere che altri potrebbero risentire . L’insieme dei meccanismi in grado di regolare politicamente tali sentimenti costituiscono la  difesa giuridica “.
Per l’ideale stesso di libertà, inteso non astrattamente, nel suo valore assoluto, per cui di fronte alla coazione siamo sempre liberi di scegliere la morte, ma nel suo concreto significato giuridico-politico nei confronti dello Stato, il Mosca esige un limite alla potestà d’imperio della classe politica, un complesso di garanzie per assicurare la partecipazione al dibattito politico di più forze sociali indipendenti fra loro e per questo vicendevolmente controllantisi. Pertanto la libertà, cioè questo ‹prevalere delle leggi e ordini pubblici allo appetito degli uomini particulari›(16) è incompatibile con uno stato monolitico, ove una sola forza politica, una sola ideologia o religione soffoca le altre, rendendosi ab-soluta da queste.
Perciò Gaetano Mosca accomuna nella medesima condanna marxismo e cattolicesimo, in quanto “ questa palingenesi alla quale secondo i marxisti fatalmente ci avviamo, sarebbe un ritorno al semplicismo politico in tutta la sua rozzezza, la creazione di una gerarchia unica che renderebbe impossibile ogni controllo reciproco fra gli elementi dirigenti della società. Avremmo una creazione mostruosa che finirebbe infallibilmente coll’ammazzare la libertà di discussione, e quindi anche quelle di scienza e di pensiero.
E d’altra parte abbiamo la Chiesa Cattolica: essa crede di possedere unicamente la verità, di avere in mano il monopolio esclusivo di quelle norme che valgono ad assicurare la maggior felicità possibile in questa vita e l’eterna beatitudine nell’altra; perciò aspira ad influenzare tutte le attività, le forze sociali per sottoporle all’osservanza di questi precetti, perciò è stata sempre ed è sua mira costante di fare del potere laico uno strumento per l’attuazione delle sue vedute. Va da se intanto che quando il potere laico a ciò è ridotto, non solo è finita ogni libertà di scienza, ma colla sottomissione dello Stato alla Chiesa avviene quella fusione della gerarchia politica coll’ecclesiastica, che menomerebbe le libertà politiche “.
A questo punto si entra nel cuore del dibattito : la teoria della classe politica e democrazia non sono due concetti in antitesi che si escludono reciprocamente? Per tentare di rispondere a questa domanda è necessario chiarire se la teoria della classe politica si determini esclusivamente come teoria dell’élite, e in che modo Mosca intenda il concetto di democrazia.
Anzitutto riferendosi  alla sua dottrina Mosca, la definisce sempre come teoria della classe politica ‹perché le espressioni élite od aristocratiche implicano un elogio alle classi medesime. Ciò che rende assoluta nei loro individui, ma piuttosto una superiorità relativa al momento storico: il possesso di fatto, cioè di quella forza politica che in quel momento si trova ad essere la più necessaria›.
L’uso e la diffusione del termine élite va invece attribuito al Pareto che, in Les system socialistes, dimostrò, servendosi di appositi diagrammi, che gli individui maggiormente dotati, risultano essere, essi stessi, in una società politicamente organizzata, i più ricchi e potenti, per cui, ‹le cosi dette classi superiori generalmente sono anche le più ricche. Queste classi rappresentano un élite, un’aristocrazia›.
Ora, la teoria della classe politica non coincide interamente con una teoria dell’élite.
Classe politica›, secondo la definizione che ne dà lo stesso Mosca, è  ‹l’insieme di tutti quei gruppi che esercitano un potere o una influenza politica e sono direttamente impegnati nella lotta per la direzione politica›.
Nell’ambito stesso della classe politica Mosca distingue (come risulterà dalla analisi della circolazione della élites, che esamineremo più dettagliatamente in seguito) un gruppo più ristretto che comprende quegli individui che esercitano effettivamente il potere politico di una società in un determinato periodo.
La consistenza dell’élite politica è quindi relativamente facile da determinare.
Meno facile risulta invece stabilire i limiti della classe politica: essa comprende naturalmente l’élite politica, ma dovrebbe comprendere, secondo la teoria della difesa giuridica, élites avverse, cioè forze sociali ‹materiali, intellettuali, morali› opposte: quindi i capi di partiti politici non al governo e i rappresentanti di nuovi interessi sociali, come pure gruppi di uomini di affari e intellettuali partecipano attivamente alla vita pubblica.
La classe politica è composta perciò, da un numero di gruppi che dovrebbero essere impegnati in gradi diversi di cooperazione, competizione e conflitto.
A questo punto ci rimane da chiarire che cosa Mosca intendesse per “ democrazia “ e in cosa consiste il suo anti democraticismo, tanto gonfiato da una certa letteratura.
Egli distingue nel concetto di democrazia due interpretazioni. La democrazia nel suo aspetto teorico-dottrinale, quale fu formulata dal Roussaeu, ha il suo tratto caratteristico nel principio della sovranità popolare.
Sotto questo aspetto Mosca si dichiara senz’altro antidemocratico non perché sia contro il principio democratico ma perché lo crede di attuazione impossibile, ritendendo invece fatale la prevalenza di una minoranza organizzata sulla maggioranza disorganizzata.
Se invece, per democrazia si intende  “ la accessibilità a qualunque grado sociale aperta a tutti in diritto e in fatto “ , allora egli si fa sostenitore di questo tipo di democrazia che non è mai un governo diretto di maggioranza, ma una democrazia rappresentativa, cioè un determinato sistema di selezione della classe politica, più aperto e continuo dei precedenti e perciò meno arbitrario, e tale che consenta la partecipazione ad essa di moltecipli forze sociali.
Pertanto la tua antidemocrazia si risolve di anti demagogia, cioè nella negazione del mito della democrazia pura, perfetta.
Se orami Mosca è lontano dalle posizioni della Teorica, tuttavia non è caduto in contraddizione: troppe cose sono accadute dalla stesura della Teorica alla seconda edizione degli Elementi; egli intuisce sempre più distintamente che il nemico da combattere non è più il parlamentarismo. Eventi quale l’estensione della base elettorale in Italia, per cui il corpo elettorale salì da tre milioni a otto milioni e mezzo; lo scoppio della prima guerra mondiale, la Rivoluzione Russa, l’avvento del Fascismo gli fecero intendere chiaramente che gli ostacoli della trasformazione della classe dirigente sono rappresentati dai totalitarismi di destra e sinistra.
In un momento in cui una grande paura è largamente diffusa tra i moderati e i borghesi” benpensanti”, costituita dal pericolo del comunismo e del sindacalismo per cui si temeva “ la sostituzione nelle assemblee legislative della rappresentanza delle classi a quella degli individui “, Mosca si fa portavoce di quell’antisocialismo diffuso in Italia, in verità, ancora prima che il socialismo vi si consolidasse; proprio come nei secoli passati vi si era avuta la Controriforma senza Riforma.
Così in modo del tutto coerente le rivoluzioni sono dal Mosca considerate  “ avvenimenti anormali che tradiscono la debolezza di una élite, e cioè la sua incapacità a ringiovanirsi attraverso l’assorbimento di nuovi membri “.

Abbiamo avuto già il modo di rilevare come la classe politica del Mosca, non abbia carattere monolitico, in quanto questa è veduta differenziarsi in due strati; l’uno più ristretto di governo propriamente detto, l’altro al di sotto di questo, più numeroso, costituito da tutte le forze sociali esistenti, cioè da quanti in qualche modo influiscono sulla vita politica.
Questo secondo strato è di importanza fondamentale in quanto <Senza di esso qualunque organizzazione sarebbe impossibile, perché il primo strato non basterebbe da solo ad inquadrare e dirigere l’azione delle masse. Sicché dal grado di moralità, d’intelligenza e di attività di questo secondo strato dipende in ultima analisi la consistenza di qualunque organismo politico, la quale suole essere tanto più grande quanto maggiore è la pressione che il senso degli interessi collettivi della nazione e della classe riesce ad esercitare sulle cupidigie individuali di coloro che ne fanno parte>.
Quindi, secondo la teoria del Mosca, una élite non governava soltanto con la frode e con la forza, ma rappresenta variamente gli interessi e gli scopi di diversi gruppi sociali.
L’élite è intimamente collegata al resto della società, attraverso una classe eletta subalterna; la nuova classe media che virtualmente comprende i funzionari statali, gli scienziati, i tecnici, gli intellettuali gli impiegati, gli insegnati. Da qui l’affermazione del Gramsci: <La questione della classe politica, com’è presentata nelle opere di Gaetano Mosca è diventata un puzzle. Non si capisce esattamente cosa il Mosca intenda precisamente per “classe politica”, tanto la nozione è elastica ed ondeggiante. Talvolta pare che per classe politica si intenda la classe media, altre volte l’insieme delle classi possidenti, altre volte ciò che si chiama la “parte colta” della società, o il “personale politico dello Stato”.
In verità , sebbene, Gaetano Mosca affermi in più punti che bisogna <mirare ad un vero e reale rinnovamento di tutta la classe politica> attraverso il concorso di diverse forze sociali, è della forza intellettuale della classe media- come è stato rilevato- che si fa  “ portavoce inconsapevole “.
Quando Mosca, alla formula del governo della maggioranza, sostituisce quello del governo degli intellettuali, quando spera nella possibile formazione di una classe politica senza miti, fondata esclusivamente sul  “ merito personale “, per cui veramente i migliori stiano al potere, l’utopia, per merito suo, ritorna nel pensiero politico. Non è infatti, come nota Malagodi  “ il merito personale, anch’esso una formula politica? “. Sembrerebbe un’ironia del destino che proprio Mosca abbia formulato una nuova ideologia, egli che ne fu infaticabile smascheratore, egli che adottò  “ strumenti di indagine che fino ad allora sarebbero apparsi inconcepibili in un paese che, avendo da poco realizzato la sua unità nazionale, fondava appunto su quei miti su quelle formule politiche che il Mosca criticava, l’esistenza della sua compagine statale “. Ma questo tra slittare dal terreno <della realtà effettuale della cosa “ su cui si era volutamente posto, al campo dell’utopia non va considerato ironicamente; la fuga del Mosca nel mondo dei valori va interpretata e storicizzata. Va considerata alla luce del suo storicismo che impedisce di accettare il modello fornito dall’epistemologia positivistica e di rifiutare energicamente l’atteggiamento neutrale e puramente descrittivo nella spiegazione dei fatti storici.
Lo stato di apparente sicurezza e neutralità dell’atteggiamento scientifico di fronte alla vita costituisce il pericolo mortale, il paradosso del nostro tempo, per cui l’uomo giunto al massimo grado di controllo razionale della realtà è rimasto senza ideali, demitizza tutto tranne il demitizzare stesso.
Ma Mosca ha saputo sottrarsi a questo pericolo; riportando l’utopia nel pensiero politico ha riconfermato che  “ la grande missione dell’Utopia è di dar adito al possibile in opposizione alla passiva acquiescenza all’attuale stato di cose. E’ il pensiero simbolico che trionfa della naturale inerzia dell’uomo e lo dota di una facoltà nuova, la facoltà di riformare continuamente il suo universo “.
Finora abbiamo  usato indistintamente i termini di ideologia e utopia perché entrambi indicano complessi di idee trascendenti la situazione oggettiva. Ma un’ulteriore analisi mostra nella costruzione utopistica moschiana due momenti  successivi: il primo consiste nella descrizione della società quale pro tempore si presenta, cioè di un’Italia a cavallo fra i secoli XIX e XX il cui regime politico, a detta di un autorevole studioso,  “ fu di lega assai mediocre: e questo non perché fosse più o meno oligarchico o più  o meno democratico, ma perché era sussidiato da una fiacca coscienza giuridica e morale enei governanti e nei governati  “.
Il secondo momento del processo utopico consiste nella visione della suddetta società quale bisogna che sià; una società cioè, la cui classe politica sia guidata dalle virtù degli intellettuali, una classe politica fondata sulla nuova ideologia del  “ merito personale “.
A questo punto, utopia e ideologia sono strettamente connesse perché se la prima si presenta come atteggiamento di critica e di rottura con il regime vigente quando realizza la creazione di nuove strutture da vita all’ideologia che si presenta come giustificazione e consolidamento di tali nuove strutture, come il momento, cioè, della conservazione. Questo passaggio dalla utopia alla ideologia, risulta, pertanto strettamente connesso al passaggio da una forma sociale all’altra; al fenomeno cioè della circolazione delle elites.
Quale sia il valore storico di questo discorso è facilmente comprensibile.La teoria elitaria del potere politico infatti diventa, nell’ambito di uno sforzo storiografico di comprensione problematica, un utile strumento per lo studio delle condizioni reali di un paese, e nei limiti dello spazio e del tempo, può essere prezioso strumento interpretativo per la conoscenza dell’Italia meridionale a cavallo dei due secoli.  Mosca, in verità, non si occupò molto del Mezzogiorno, ma indirettamente, il sud è pur sempre presente nei suoi scritti. Da buon siciliano egli infatti, quando studiò le élites e i suoi meccanismi non poteva non avere la sua terra come sottofondo costante del suo animo di ricercatore instancabile dei fatti sociali, cioè delle vicende dell’umanità.

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