di Sandra V. Guddo
Esiste sul pensiero di Gaetano Mosca ( Palermo 1858-1941 ) una vasta
letteratura che appare orientata ad un’ interpretazione persistente, nonostante
gli autorevoli chiarimenti del Croce, dell’Einaudi, del e dello stesso Mosca, a sottolineare
l’antiparlamentarismo e l’anti
democraticismo del palermitano ad attribuire alla teoria della classe politica
la responsabilità storica e ideologica dell’avvento del fascismo in Italia.
Queste interpretazioni si avvalgono soprattutto della critica aspra ed efficace
che il Mosca nella Teorica dei
Governi(11) rivolge all’istituto parlamentare come inidoneo a garantire le
libertà costituzionali ed insufficiente al controllo dell’operato degli uomini
al potere.
Ma l’antiparlamentarismo del Mosca
non nasce da ostilità all’istituto parlamentare, piuttosto dalla delusione e
dal disgusto di fronte ad una realtà politica, rintracciabile storicamente
nella caduta della Destra e nell’avvento della Sinistra al potere, realtà in
cui maneggi elettorali e scandali bancari avvenivano alla luce del sole .
Quando lo studioso parlamentario
affermava che attraverso le elezioni non è affatto vero che si manifesti “la
volontà del paese”, certamente aveva presente l’esperienza della vita pubblica
meridionale dove “cricche di camorristi e cosche mafiose “ continuavano la
prevalente realtà politica, ed egli da quel buon siciliano che era, ne aveva
tratto precise conclusioni.
Il periodo in cui visse il Mosca, in
verità, fu particolarmente turbinoso, attraversata com’era l’Italia da una
crisi poliedrica nel paese e quindi da una crisi di sfiducia dei cittadini nei
loro governanti.
Le instabili condizioni
socio-economiche del paese e quelle ancora più precarie del Mezzogiorno
costringevano infatti gli spiriti più attenti a ricercare il perché di quella
situazione.
Due furono allora gli indirizzi
critici dominanti nei confronti elle istituzioni politiche
liberal-parlamentari: la corrente marxista che individuava nel sistema
economico-capitalista la maggiore responsabilità delle contraddizioni sociali
del paese, e la corrente che il Burnham ha individuato nei neo-machiavellici,
cioè in quegli studiosi di scienze sociali che come il Mosca studiavano
attentamente la struttura e le condizioni d’essere delle classi dirigenti.
E’ certamente, la classe dirigente
meridionale, come allora poteva apparire al giovane Mosca, si presentava
proprio come un esempio clamoroso di miopia e incapacità politica, se non come
fonte di corruzione economica e sociale.
Così la diretta espressione di questi
ceti privilegiati, cioè il parlamento, non poteva che essere considerato con
molto sospetto e circospezione.
Ma il trasferimento nell’Italia
centro-settentrionale dove tali scandali erano più attenuanti o meglio celati,
dovette almeno in parte far ricredere il Mosca se nel saggio su Le costruzioni moderne sembra abbia
riacquistato fiducia circa le possibilità di proporre rimedi nell’ambito della
struttura del regime rappresentativo.
La maturazione propria dell’uomo e
del pensatore, l’influsso del marxismo, la elaborazione della dottrina della
difesa giuridica, dovevano portarlo ad una cauta accettazione della democrazia
rappresentativa.
La teoria della classe politica è
invero smascheratrice di ideologie. Con essa Mosca intese offrire, il “ buon
filo” per interpretare la realtà vera, che sempre rimane nascosta dietro le “
formule politiche “, e una guida empirica per la comprensione della realtà
politico-sociale.
Secondo Gaetano Mosca, la classe
politica giustifica e legittima il suo
potere ricorrendo alle ideologie: queste sono principi di sovranità atti a
celare la realtà politica dietro la parvenza di credenze soprannaturali, quale
il principio della sovranità per volontà divina, o dietro concezioni che
pretendono razionalità, quale il principio della sovranità popolare. “ Ciò però
non vuol dire che… siano volgari ciarlatanerie inventate appositamente per
scroccare l’obbedienza delle masse.(…) La verità che esse corrispondono ad un
vero bisogno della natura sociale dell’uomo (…) universalmente di governare e
sentirsi governare non sulla sola base della forza materiale ed intellettuale,
ma anche su quella di un principio morale “.
Le ideologie sono la
sistematizzazione delle esperienze di un dato gruppo sociale e la
cristallizzazione dei loro bisogni e delle loro esigenze. Esse risultano
storicamente adeguate allorché si conformano agli interessi e agli scopi dei
gruppi sociali e ne diventano portavoce.
Per il Mosca il migliore regime
politico è quello che garantisce il maggior rispetto del senso morale, quello
in cui “ la naturale propensione degli
individui umani a soddisfare i propri appetiti e le proprie volontà, a
comandare e a godere, viene frenata dalla naturale compassione per il danno ed
il dispiacere che altri potrebbero risentire . L’insieme dei meccanismi in
grado di regolare politicamente tali sentimenti costituiscono la difesa giuridica “.
Per l’ideale stesso di libertà,
inteso non astrattamente, nel suo valore assoluto, per cui di fronte alla
coazione siamo sempre liberi di scegliere la morte, ma nel suo concreto
significato giuridico-politico nei confronti dello Stato, il Mosca esige un
limite alla potestà d’imperio della classe politica, un complesso di garanzie
per assicurare la partecipazione al dibattito politico di più forze sociali
indipendenti fra loro e per questo vicendevolmente controllantisi. Pertanto la
libertà, cioè questo ‹prevalere delle leggi e ordini pubblici allo appetito
degli uomini particulari›(16) è incompatibile con uno stato monolitico, ove una
sola forza politica, una sola ideologia o religione soffoca le altre,
rendendosi ab-soluta da queste.
Perciò Gaetano Mosca accomuna nella
medesima condanna marxismo e cattolicesimo, in quanto “ questa palingenesi alla
quale secondo i marxisti fatalmente ci avviamo, sarebbe un ritorno al
semplicismo politico in tutta la sua rozzezza, la creazione di una gerarchia
unica che renderebbe impossibile ogni controllo reciproco fra gli elementi
dirigenti della società. Avremmo una creazione mostruosa che finirebbe
infallibilmente coll’ammazzare la libertà di discussione, e quindi anche quelle
di scienza e di pensiero.
E d’altra parte abbiamo la Chiesa
Cattolica: essa crede di possedere unicamente la verità, di avere in mano il
monopolio esclusivo di quelle norme che valgono ad assicurare la maggior
felicità possibile in questa vita e l’eterna beatitudine nell’altra; perciò
aspira ad influenzare tutte le attività, le forze sociali per sottoporle
all’osservanza di questi precetti, perciò è stata sempre ed è sua mira costante
di fare del potere laico uno strumento per l’attuazione delle sue vedute. Va da
se intanto che quando il potere laico a ciò è ridotto, non solo è finita ogni
libertà di scienza, ma colla sottomissione dello Stato alla Chiesa avviene
quella fusione della gerarchia politica coll’ecclesiastica, che menomerebbe le
libertà politiche “.
A questo punto si entra nel cuore del
dibattito : la teoria della classe politica e democrazia non sono due concetti
in antitesi che si escludono reciprocamente? Per tentare di rispondere a questa
domanda è necessario chiarire se la teoria della classe politica si determini esclusivamente
come teoria dell’élite, e in che modo
Mosca intenda il concetto di democrazia.
Anzitutto riferendosi alla sua dottrina Mosca, la definisce sempre
come teoria della classe politica ‹perché le espressioni élite od
aristocratiche implicano un elogio alle classi medesime. Ciò che rende assoluta
nei loro individui, ma piuttosto una superiorità relativa al momento storico:
il possesso di fatto, cioè di quella forza politica che in quel momento si
trova ad essere la più necessaria›.
L’uso e la diffusione del termine
élite va invece attribuito al Pareto che, in Les system socialistes, dimostrò, servendosi di appositi diagrammi,
che gli individui maggiormente dotati, risultano essere, essi stessi, in una
società politicamente organizzata, i più ricchi e potenti, per cui, ‹le cosi
dette classi superiori generalmente sono anche le più ricche. Queste classi
rappresentano un élite, un’aristocrazia›.
Ora, la teoria della classe politica
non coincide interamente con una teoria dell’élite.
‹Classe
politica›, secondo la definizione che ne dà lo stesso Mosca, è ‹l’insieme di tutti quei gruppi che
esercitano un potere o una influenza politica e sono direttamente impegnati
nella lotta per la direzione politica›.
Nell’ambito stesso della classe
politica Mosca distingue (come risulterà dalla analisi della circolazione della
élites, che esamineremo più dettagliatamente in seguito) un gruppo più
ristretto che comprende quegli individui che esercitano effettivamente il
potere politico di una società in un determinato periodo.
La consistenza dell’élite politica è
quindi relativamente facile da determinare.
Meno facile risulta invece stabilire
i limiti della classe politica: essa comprende naturalmente l’élite politica,
ma dovrebbe comprendere, secondo la teoria della difesa giuridica, élites
avverse, cioè forze sociali ‹materiali, intellettuali, morali› opposte: quindi
i capi di partiti politici non al governo e i rappresentanti di nuovi interessi
sociali, come pure gruppi di uomini di affari e intellettuali partecipano
attivamente alla vita pubblica.
La classe politica è composta perciò,
da un numero di gruppi che dovrebbero essere impegnati in gradi diversi di
cooperazione, competizione e conflitto.
A questo punto ci rimane da chiarire
che cosa Mosca intendesse per “ democrazia “ e in cosa consiste il suo anti
democraticismo, tanto gonfiato da una certa letteratura.
Egli distingue nel concetto di
democrazia due interpretazioni. La democrazia nel suo aspetto
teorico-dottrinale, quale fu formulata dal Roussaeu, ha il suo tratto
caratteristico nel principio della sovranità popolare.
Sotto questo aspetto Mosca si
dichiara senz’altro antidemocratico non perché sia contro il principio
democratico ma perché lo crede di attuazione impossibile, ritendendo invece
fatale la prevalenza di una minoranza organizzata sulla maggioranza
disorganizzata.
Se invece, per democrazia si
intende “ la accessibilità a qualunque
grado sociale aperta a tutti in diritto e in fatto “ , allora egli si fa
sostenitore di questo tipo di democrazia che non è mai un governo diretto di
maggioranza, ma una democrazia rappresentativa, cioè un determinato sistema di
selezione della classe politica, più aperto e continuo dei precedenti e perciò
meno arbitrario, e tale che consenta la partecipazione ad essa di moltecipli
forze sociali.
Pertanto la tua antidemocrazia si
risolve di anti demagogia, cioè nella negazione del mito della democrazia pura,
perfetta.
Se orami Mosca è lontano dalle
posizioni della Teorica, tuttavia non
è caduto in contraddizione: troppe cose sono accadute dalla stesura della Teorica alla seconda edizione degli Elementi; egli intuisce sempre più
distintamente che il nemico da combattere non è più il parlamentarismo. Eventi
quale l’estensione della base elettorale in Italia, per cui il corpo elettorale
salì da tre milioni a otto milioni e mezzo; lo scoppio della prima guerra mondiale,
la Rivoluzione Russa, l’avvento del Fascismo gli fecero intendere chiaramente
che gli ostacoli della trasformazione della classe dirigente sono rappresentati
dai totalitarismi di destra e sinistra.
In un momento in cui una grande paura
è largamente diffusa tra i moderati e i borghesi” benpensanti”, costituita dal
pericolo del comunismo e del sindacalismo per cui si temeva “ la sostituzione
nelle assemblee legislative della rappresentanza delle classi a quella degli
individui “, Mosca si fa portavoce di quell’antisocialismo diffuso in Italia,
in verità, ancora prima che il socialismo vi si consolidasse; proprio come nei
secoli passati vi si era avuta la Controriforma senza Riforma.
Così in modo del tutto coerente le
rivoluzioni sono dal Mosca considerate “
avvenimenti anormali che tradiscono la debolezza di una élite, e cioè la sua incapacità a ringiovanirsi attraverso
l’assorbimento di nuovi membri “.
Abbiamo avuto già il modo di rilevare
come la classe politica del Mosca, non abbia carattere monolitico, in quanto
questa è veduta differenziarsi in due strati; l’uno più ristretto di governo
propriamente detto, l’altro al di sotto di questo, più numeroso, costituito da
tutte le forze sociali esistenti, cioè da quanti in qualche modo influiscono sulla
vita politica.
Questo secondo strato è di importanza
fondamentale in quanto <Senza di esso qualunque organizzazione sarebbe
impossibile, perché il primo strato non basterebbe da solo ad inquadrare e
dirigere l’azione delle masse. Sicché dal grado di moralità, d’intelligenza e
di attività di questo secondo strato dipende in ultima analisi la consistenza
di qualunque organismo politico, la quale suole essere tanto più grande quanto
maggiore è la pressione che il senso degli interessi collettivi della nazione e
della classe riesce ad esercitare sulle cupidigie individuali di coloro che ne
fanno parte>.
Quindi, secondo la teoria del Mosca,
una élite non governava soltanto con
la frode e con la forza, ma rappresenta variamente gli interessi e gli scopi di
diversi gruppi sociali.
L’élite
è intimamente collegata al resto della società, attraverso una classe eletta
subalterna; la nuova classe media che virtualmente comprende i funzionari
statali, gli scienziati, i tecnici, gli intellettuali gli impiegati, gli insegnati.
Da qui l’affermazione del Gramsci: <La questione della classe politica,
com’è presentata nelle opere di Gaetano Mosca è diventata un puzzle. Non si capisce esattamente cosa
il Mosca intenda precisamente per “classe politica”, tanto la nozione è elastica
ed ondeggiante. Talvolta pare che per classe politica si intenda la classe
media, altre volte l’insieme delle classi possidenti, altre volte ciò che si
chiama la “parte colta” della società, o il “personale politico dello Stato”.
In verità , sebbene, Gaetano Mosca
affermi in più punti che bisogna <mirare ad un vero e reale rinnovamento di
tutta la classe politica> attraverso il concorso di diverse forze sociali, è
della forza intellettuale della classe media- come è stato rilevato- che si
fa “ portavoce inconsapevole “.
Quando Mosca, alla formula del
governo della maggioranza, sostituisce quello del governo degli intellettuali,
quando spera nella possibile formazione di una classe politica senza miti,
fondata esclusivamente sul “ merito
personale “, per cui veramente i migliori stiano al potere, l’utopia, per
merito suo, ritorna nel pensiero politico. Non è infatti, come nota
Malagodi “ il merito personale,
anch’esso una formula politica? “. Sembrerebbe un’ironia del destino che
proprio Mosca abbia formulato una nuova ideologia, egli che ne fu infaticabile smascheratore,
egli che adottò “ strumenti di indagine
che fino ad allora sarebbero apparsi inconcepibili in un paese che, avendo da
poco realizzato la sua unità nazionale, fondava appunto su quei miti su quelle
formule politiche che il Mosca criticava, l’esistenza della sua compagine
statale “. Ma questo tra slittare dal terreno <della realtà effettuale della
cosa “ su cui si era volutamente posto, al campo dell’utopia non va considerato
ironicamente; la fuga del Mosca nel mondo dei valori va interpretata e
storicizzata. Va considerata alla luce del suo storicismo che impedisce di
accettare il modello fornito dall’epistemologia positivistica e di rifiutare
energicamente l’atteggiamento neutrale e puramente descrittivo nella
spiegazione dei fatti storici.
Lo stato di apparente sicurezza e
neutralità dell’atteggiamento scientifico di fronte alla vita costituisce il
pericolo mortale, il paradosso del nostro tempo, per cui l’uomo giunto al
massimo grado di controllo razionale della realtà è rimasto senza ideali,
demitizza tutto tranne il demitizzare stesso.
Ma Mosca ha saputo sottrarsi a questo
pericolo; riportando l’utopia nel pensiero politico ha riconfermato che “ la grande missione dell’Utopia è di dar
adito al possibile in opposizione alla passiva acquiescenza all’attuale stato
di cose. E’ il pensiero simbolico che trionfa della naturale inerzia dell’uomo
e lo dota di una facoltà nuova, la facoltà di riformare continuamente il suo
universo “.
Finora abbiamo usato indistintamente i termini di ideologia
e utopia perché entrambi indicano complessi di idee trascendenti la situazione
oggettiva. Ma un’ulteriore analisi mostra nella costruzione utopistica
moschiana due momenti successivi: il
primo consiste nella descrizione della società quale pro tempore si presenta, cioè di un’Italia a cavallo fra i secoli
XIX e XX il cui regime politico, a detta di un autorevole studioso, “ fu di lega assai mediocre: e questo non
perché fosse più o meno oligarchico o più
o meno democratico, ma perché era sussidiato da una fiacca coscienza
giuridica e morale enei governanti e nei governati “.
Il secondo momento del processo
utopico consiste nella visione della suddetta società quale bisogna che sià;
una società cioè, la cui classe politica sia guidata dalle virtù degli
intellettuali, una classe politica fondata sulla nuova ideologia del “ merito personale “.
A questo punto, utopia e ideologia
sono strettamente connesse perché se la prima si presenta come atteggiamento di
critica e di rottura con il regime vigente quando realizza la creazione di
nuove strutture da vita all’ideologia che si presenta come giustificazione e
consolidamento di tali nuove strutture, come il momento, cioè, della
conservazione. Questo passaggio dalla utopia alla ideologia, risulta, pertanto
strettamente connesso al passaggio da una forma sociale all’altra; al fenomeno
cioè della circolazione delle elites.
Quale sia il valore storico di questo
discorso è facilmente comprensibile.La teoria elitaria del potere
politico infatti diventa, nell’ambito di uno sforzo storiografico di
comprensione problematica, un utile strumento per lo studio delle condizioni
reali di un paese, e nei limiti dello spazio e del tempo, può essere prezioso
strumento interpretativo per la conoscenza dell’Italia meridionale a cavallo
dei due secoli. Mosca, in verità, non si
occupò molto del Mezzogiorno, ma indirettamente, il sud è pur sempre presente
nei suoi scritti. Da buon siciliano egli infatti, quando studiò le élites e i
suoi meccanismi non poteva non avere la sua terra come sottofondo costante del
suo animo di ricercatore instancabile dei fatti sociali, cioè delle vicende
dell’umanità.
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