di Lino Di Stefano
Una pagina infelice – e, pertanto, da condannare – della politica del regime fascista rimane, com’è noto quella delle leggi razziali del 1938; leggi che coinvolsero nella loro sciagura personalità di grande livello culturale vista l’altezza a cui avevano elevato le rispettive discipline, fossero esse filosofiche, letterarie, scientifiche ed artistiche. Non tutti gli studiosi, però, accetteranno supinamente tali sventurate norme poiché alcuni uomini – del calibro, ad esempio, di Giovanni Gentile – tennero alta la fiaccola della dottrina e si comportarono di conseguenza.
Gli uomini di scienza italiani, fra le due guerre di fede ebraica, rappresentavano la punta di diamante del sapere nostrano e, per restare un istante, nel campo della matematica essi ricevettero il tangibile aiuto dal padre dell’attualismo il quale aveva, all’epoca, anche un figlio cultore di fisica teorica che si chiamava Giovanni Gentile junior, detto Giovannino.
Come affermano, infatti, Angelo Guerraggio e Pietro Nastasi, autori del volume ‘Gentile e i matematici italiani’ (Bollati Boringhieri, Torino, 1993), è notorio che il filosofo si adoperò assai per colmare i vuoti di Levi-Civita ed Enriques facendo venire a Roma Tonelli e Severi così come è risaputo che egli aiutò “Castelnuovo, Almagià e lo stesso Enriques nella loro richiesta di ‘discriminazione’ per evitare alcune tra le conseguenze delle leggi razziali, grazie alle benemerenze culturali acquisite”
Il pensatore siciliano non si limitò soltanto a tali interventi perché si ingegnò, da una parte, a favorire l’espatrio di Rodolfo Mondolfo in Argentina e, dall’altra, spese tutta la sua influenza per soccorrere lo studioso tedesco Paul Oskar Kristeller, salvato dalle leggi razziali tedesche. Lo stesso comportamento adoperò Giovanni Gentile nei riguardi di alcuni cattedratici, di religione ebraica, della ‘Bocconi’ e di altre Istituzioni Universitarie Italiane.
Il tutto documentato dalle lettere – alcune già pubblicate – giacenti presso la ‘Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi filosofici’; mole che, unitamente ad altri inediti, conta ben 35.000 documenti; altri celebri cattedratici ebrei rispondono al nome di Volterra, Peano, Fubini, Segre, Beppo Levi, e numerosi altri, vanto della scienza italiana. Con tali parole Guido Castelnuovo, in data 16 giugno 1939, ringraziava Gentile per il soccorso ricevuto: “Caro Senatore, Ella è stata così buono da appoggiare la mia domanda di discriminazione presso il Ministero dell’Interno”.
Federigo Enriques, così si esprimeva, a sua volta, nei riguardi del filosofo siciliano: “Caro Gentile, verrò quanto prima a salutarLa e a dirLe a voce la mia gratitudine, ma intanto voglio dirLe subito: grazie”. Ed ecco le parole di ringraziamento di Guido Fubini scritte il 4 novembre 1922: “Pure dissentendo in tante idee (…) eccoti l’augurio di chi ti ricorda sempre, e che ti vorrebbe ministro così grande, come grande pensatore e maestro”.
Il grande matematico Mauro Picone non fu da meno e, in una lettera del 25 giugno 1943, così osservava: “Eccellenza, ieri non mi fu possibile raggiungere la Vostra mano, in Campidoglio , per dirvi tutta la mia gioia d’italiano, di fascista, di siciliano…”. Ugo Amaldi, da parte sua, con tali sincere parole si rivolgeva al grande esponente del neo-idealismo italiano: “Mi rallegrano e mi confortano la costante e spontanea benevolenza che Ella ha per me e i modi squisiti per me estremamente lusinghieri” (14 dicembre 1930).
E si potrebbe continuare. E, allora, a ragione, Paolo Mieli ha sostenuto, sul Corriere della Sera del 19 febbraio del 2013, che Giovanni Gentile ai tempi delle leggi razziali del 1938 si è “prodigato per aiutare non pochi colleghi ebrei (…), dato incontrovertibile già ben documentato nel libro di Rossella Faraone ‘Giovanni Gentile e la ‘questione ebraica’ (Rubbettino)”. Il giornalista e storico italiano ha messo anche in luce che un passo importante compiuto da Gentile è stato, appunto, quello, verso la fine degli anni Trenta, a favore di Paul Oskar Kristeller, “per salvare il quale si era rivolto addirittura a Benito Mussolini” (Ivi).
L’Autore del citato articolo ha pure aggiunto che il filosofo “si era poi dato da fare anche per Rodolfo Mondolfo. Giorgio Levi Della Vida, Arnaldo Momigliano, Richard Walzer. Isacco Sciaky, Gino Arias, Alberto Pincherle, Gina Gabrielli, moglie di un ebreo, Almagià, Giorgio Falco, Eugenio Colorni e Mario Fubini, sempre per menzionarne alcuni.
Ma c’è di più, perché il pensatore, in qualità di Presidente dell’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente, nella seduta inaugurale tenutasi a Roma il 11 dicembre del 1933 così si espresse, al riguardo: “Roma non ebbe mai un’idea che fosse esclusiva e negatrice… Essa accolse sempre, e fuse nel suo seno, idee e forze, costumi e popoli. Così poté attuare il suo programma di fare dell’urbe, l’orbe”.
Non a caso, in un altri scritti, al riguardo, Gentile aveva, opportunamente, sottolineato, per un verso: “Non credo neanch’io alla razza” e, per l’altro, posto l’accento su tale considerazione e vale a dire “Il vantaggio della mutua intelligenza e della collaborazione fraterna delle razze diverse, nessuna delle quali è nata per servire”. Com’è facile rilevare, lungi dal filosofo qualsiasi tentazione razzistica, egli che era uscito dalla gloriosa scuola di Alessandro D’Ancona, israelita pure lui e “maestro di scienza e di vita”, secondo le testuali parole del pensatore.
Tutte queste benemerenze – oltre alla grande statura di filosofo, insigne storico della filosofia, illustre pedagogista, eminente critico letterario etc. – non salvarono Gentile dall’odio degli avversari i quali – a Firenze il 15 aprile 1944 – per mano di Bruno Fanciullacci, ingenuo esecutore del delitto, lo uccisero barbaramente ignari dell’indovinata considerazione di uno studioso secondo la quale al pensatore “molto sarà perdonato perché molto ha amato”.
da: www.riscossacristiana.it