di Domenico Bonvegna
La Storia si ripete. Ci
siamo indignati l'anno scorso quando abbiamo visto i miliziani jihadisti
dell'Isis abbattere le statue e i resti archeologici di Palmira, nello
stesso tempo abbiamo esultato quando le truppe del presidente Assad assistiti
dai russi di Putin hanno riconquistato il sito archeologico. Molto si è scritto
sui danni impressionanti che ha subito il sito archeologico, ad una settimana
dalla fine dei combattimenti si contano i danni, lo ha fatto La Repubblica intervistando
Mahmud, uno dei figli di Khaled al Assad, l'anziano archeologo ed
ex direttore del Museo e del sito di Palmira, ucciso dai jihadisti per essersi
rifiutato di rivelare dove erano state nascoste parte delle statue e gli
oggetti preziosi. “[...]Un viaggio doloroso quello che comincia dalla piazza
del Museo archeologico, centrato ripetutamente da colpi d'artiglieria (qui
tutti assicurano che l'aviazione russa ha di proposito evitato di bombardare
le zone, come questa, vicine al sito per evitare danni collaterali irreparabili
alle vestigia), devastato e saccheggiato”. (A. Stabile, A Palmira con il figlio del martire del
museo, 7.4.16, La Repubblica)
Si è scritto molto anche sui
motivi religiosi o meglio ideologici per cui i jihadisti cercano sempre di
cancellare il passato. Il Foglio a questo proposito ha intervistato Remi
Brague, studioso medievista, erudita e poliglotta con cattedra alla
Sorbona e a Monaco di Baviera, per cercare di capire l'odio islamista per la
civiltà occidentale. Il professore ha risposto che è “Un odio che si
riferisce a tutto ciò che non è
islam”,“Tutto ciò che lo ha preceduto si chiama ‘ignoranza’, ‘gahiliyya’.
Lo Stato islamico ha così distrutto le
statue del Museo di Mosul perché testimoniano uno stato precedente all’islam o
diverso dall’islam. Gli islamisti, arrivati in Italia, distruggerebbero San
Pietro; in Francia raderebbero al suolo la cattedrale di Chartres. Secondo il professore
francese, “Si inizia con la consapevolezza di una schizofrenia in cui vivono
i musulmani. La loro religione è intesa, secondo il Corano, come completamento
delle precedenti religioni che andrà a sostituire. La loro comunità è ‘la
migliore comunità’. (G. Meotti, La barbarie dell'Occidente, 6.4.16, Il
Foglio)
Ergo il
passato va cancellato, come hanno fatto i padri della furia iconoclasta, i
giacobini della Rivoluzione Francese, che oltre a fare un bagno di
sangue, hanno distrutto tutti i simboli del passato monarchico e cattolico. E'
interessante ricostruire il percorso storico dei rivoluzionari francesi, c'è
uno studio degli anni 80' del compianto Marco Tangheroni,
storico, medievista, “Il ritorno dei re”. A proposito di una
mostra fiorentina”, pubblicato dalla rivista Cristianità
(Anno VIII, n. 66, ottobre 1980) che ha
magistralmente descritto, quello che è successo in Francia. Il professore
pisano parte dal ritrovamento casuale in Francia nel 1977, durante i lavori per
l'ampliamento di una banca, di ventuno teste, insieme ad altri
frammenti scultorei. Erano le teste delle statue dei re di Giuda, da
Jesse a Giuseppe, situate sulla facciata di Notre Dame,
decapitate dai giacobini nel 1793, subito dopo aver decapitato il re Luigi XVI.
La Mostra occasione
provvidenziale per raccontare la verità storica.
Le statue sono state esposte
nei chiostri di Santa Maria Novella a Firenze, sotto il titolo: “Notre-Dame
de Paris. Il ritorno dei re”. La mostra per il professore Tangheroni
diventa una provvidenziale occasione, non tanto per fare commenti
specialistici, ma soprattutto per fare“emergere la verità storica rispetto
ai due periodi forse più stravolti dalla storiografia rivoluzionaria: il Medioevo
e la Rivoluzione francese”. Il professore è convinto che il
gesto dissacratore dei giacobini non fu “privo di grande significato, come
si potrebbe credere, se paragonato agli orrori e al sangue di quel terribile
periodo”. Infatti occorre evitare di fare la figura di chi è pronto
a levare alte grida per qualche danno al patrimonio storico-artistico o
ecologico e poi tace di fronte ai massacri dei cristiani nel mondo o dei
bambini nel ventre materno, grazie alle leggi repubblicane in tutto il mondo.
Invece,“il gesto distruttore permette di comprendere, nella sua intima
essenza – che è essenza di odio – la Rivoluzione francese, la quale, a buon diritto,
voleva essere, ed è considerata, la Grande Rivoluzione, la Rivoluzione
per eccellenza, salto di qualità rispetto alle rivolte del passato e madre
feconda di tutte le rivoluzioni a venire”.
Per il professore Tangheroni
la decapitazione delle statue non fu un gesto casuale o isolato, ma fu“l'esecuzione
di una precisa e burocratica decisione parlamentare”. Fu un gesto poi
imitato in tutta Parigi, in tutta la Francia e successivamente in tutta Europa,
nei territori raggiunti dalle armate rivoluzionarie e napoleoniche. Tra
l'altro, “non mancheranno singolari riprese di quest'abitudine
rivoluzionaria anche nell'epoca del Risorgimento italiano”, come hanno
fatto in San Michele a Lucca, sostituendo alcuni capitelli con le immagini dei
padri fondatori della Patria.
I giacobini francesi
odiarono il sacro e la regalità, rappresentati dal cattolicesimo
e dall'istituzione monarchica. Furono i rivoluzionari stessi a spiegarlo, del
resto lo stesso architetto francese Viollet-le-Duc il grande
restauratore dell'Ottocento, poteva mettere in bocca al protagonista di un suo
romanzo, le motivazioni dei rivoluzionari: “Non dobbiamo lasciare allo
sguardo del popolo, ormai liberato dalla tirannia e dalla superstizione, gli
emblemi che gli ricordano la schiavitù sotto la quale ha tanto a lungo
gemuto[...]il popolo intende sfigurare tutto ciò che gli rammenta un passato
esecrabile, [...]Finchè resteranno in piedi un castello e una chiesa, i nobili
e i preti avranno la speranza di riprendere il possesso di questi covi
dell'oppressione. Finchè resterà un'immagine dei re di prima, o di santi di
prima, resterà una traccia delle loro infame dominazione[...]la nazione deve
dimenticare i re e i preti, questa vergogna dell'umanità[...]”
La Rivoluzione odia il
passato.
“La Rivoluzione non odia
soltanto un determinato e concreto passato, ma odia tutto il passato,
cioè la memoria storica dei popoli”. E la distruzione “delle memorie visibili del
passato nasce dall'assurdo e tragico desiderio di far tabula rasa [...]
Si tratta di un desiderio assolutamente coessenziale all'utopismo
rivoluzionario che, tendendo alla creazione di un mondo nuovo e di un uomo
nuovo, deve necessariamente tentare di partire da zero”.
Tuttavia secondo quanto ha
sottolineato anche lo storico Francois Furet, i rivoluzionari francesi
dell'epoca, quanto gli storici di tradizione giacobina, in particolare quelli
marxisti, hanno visto e seguitano a vedere nella rivoluzione francese,“un
avvento, come un tempo di un'altra natura, omogeneo come un tessuto nuovo”, è
un concetto di inizio della storia, che si è visto con la rivoluzione comunista
e ora si vede con il jihadismo islamista dell'Isis.
Chi si oppone alla
Rivoluzione dev'essere annientato, vale per il popolo che per le città,“Tutto
ciò che resiste e non vuole entrare nella macina repubblicana è condannato a
scomparire”. E' successo per l'eroica popolazione vandeana, deportata in
massa e per la deportazione di centinaia di preti. Per quanto riguarda le
città, Tolone e Lione furono rase al suolo, si sono opposte alla
Rivoluzione, quindi non devono più esistere. Peraltro proprio nel periodo della
rivoluzione si sono manifestati quei tratti specifici della rivoluzione
dell'arte moderna, che implicano, una “totale rottura con il passato:
l'aspirazione alla purezza, il riconoscimento del dominio della ragione
geometrica e tecnica, l'esaltazione sfrenata della libertà”.
“Rigenerazione” e terrore
nei rivoluzionari.
I rivoluzionari giacobini
francesi intendevano rigenerare il Paese, ecco perchè spesso utilizzano
parole come “purgare”, “purificare”. Secondo
Robespierre – il 'puro' della mitologia storiografica rivoluzionaria - occorreva
assolutamente far scomparire 'l'orda impura' degli 'uomini perversi e
corruttori”. Quante analogie con gli
ultra fondamentalisti islamisti a Raqqa nel Daesh. E' una
rigenerazione che sfocia inevitabilmente nel Terrore, così come è stato per la
Rivoluzione francese, come per quella russa, o per altre rivoluzioni. Per
Tangheroni,“E' l'inesorabile fine totalitaria del liberalismo anticristiano”,
a questo proposito cita la fondamentale opera dello storico Augustin
Cochin, “Meccanica della Rivoluzione”, che descriveva in
modo illuminante il totalitarismo giacobino:“Il popolo, servo sotto il re
nel 1789, libero con la legge nel 1791, diventa padrone nel 1793 e, giacchè è
lui che governa, sopprime le libertà pubbliche che erano solo garanzie a suo
favore contro coloro che governavano. Sono sospesi il diritto di voto perchè il
popolo che regna; il diritto di difesa, perché è il popolo che giudica; la
libertà di stampa, perché è il popolo che scrive; la libertà di opinione,
perché è il popolo che parla;limpida dottrina di cui i proclami e le leggi del
Terrore sono soltanto un lungo commentario”.
Sostanzialmente chi tenta di
realizzare il progetto utopico-rivoluzionario, siano essi i giacobini, i
comunisti, ora i jihadisti, vede negli ostacoli sia umani che materiali solo
degli avversari e così la“ghigliottina diviene lo strumento che
separa i buoni dai cattivi, i rigenerati o rigenerabili dai non rieducabili,
gli amici del popolo dai traditori”. Ecco che vengono inventati i complotti
in rapida successione, per comodità:“è più facile ghigliottinare un nemico
del popolo che un nemico di Robespierre o un avversario della nuova filosofia”.
Dunque vengono ghigliottinate le statue dei re, sicuramente non rieducabili e
degni di essere ghigliottinati.
L'odio rivoluzionario contro
la cattedrale.
Alla fine dello studio, il
professore Tangheroni, si pone una domanda abbastanza interessante: “perchè
tanto odio proprio contro le cattedrali?” Indubbiamente perchè sono al
centro del culto cristiano, sentito come potentissimo ostacolo alla
Rivoluzione. Ma per Tangheroni si possono fare ulteriori considerazioni:“la
cattedrale è il segno dell'unità perduta del corpo sociale intorno alla Verità
cristiana e alle istituzioni cristiane”. Peraltro in uno dei testi di
allora, della Mostra fiorentina si spiegava cos'era e cosa rappresentava un
cantiere per la costruzione di una cattedrale come Notre-Dame: dopo aver
spiegato la complessità che comportava la costruzione architettonica di una
cattedrale, con il cantiere da predisporre, con centinaia di operai,
decine di artigiani-artisti, tutti lavoravano insieme“ sotto la direzione
del potere politico o religioso di cui i capomastri o gli architetti, laici o
ecclesiastici che fossero, erano l'espressione più diretta”.
In pratica, il cantiere offriva,“un
paradigma di quel sistema corporativo e gerarchico che caratterizzava l'intera
struttura della civiltà del Medio Evo, in cui si integravano armonicamente
precisi vincoli religiosi e sociali e una innegabile libertà individuale”.
Interessante anche la
citazione di Sanpaolesi che fa Tangheroni, lui cittadino pisano, di uno studio
proprio sulla cattedrale di Pisa.“Qui una intera civiltà ha collaborato,
senza esclusione di gruppi e di classi, a dar vita ad una testimonianza
collettiva, seppur differenziata, del grado altissimo di se stessa [...]”.
In pratica Notre-Dame era “la metafora splendida di una società
articolata e vitale, in cui la monarchia, nobiltà feudale, clero, borghesia
artigiana e mercantile stavano realizzando un corpo, una struttura statuale
armoniosa”. La cattedrale medievale era lo “specchio di una società,
ma anche specchio di una concezione ordinata e armoniosa del mondo”, si
comprende perchè l'odio decapitatore e demolitore della Rivoluzione nei
confronti di questa ben ordinata
società.
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