lunedì 11 aprile 2016

L'Isis a Palmira come i giacobini a Notre Dame

di Domenico Bonvegna

La Storia si ripete. Ci siamo indignati l'anno scorso quando abbiamo visto i miliziani jihadisti dell'Isis abbattere le statue e i resti archeologici di Palmira, nello stesso tempo abbiamo esultato quando le truppe del presidente Assad assistiti dai russi di Putin hanno riconquistato il sito archeologico. Molto si è scritto sui danni impressionanti che ha subito il sito archeologico, ad una settimana dalla fine dei combattimenti si contano i danni, lo ha fatto La Repubblica intervistando Mahmud, uno dei figli di Khaled al Assad, l'anziano archeologo ed ex direttore del Museo e del sito di Palmira, ucciso dai jihadisti per essersi rifiutato di rivelare dove erano state nascoste parte delle statue e gli oggetti preziosi. “[...]Un viaggio doloroso quello che comincia dalla piazza del Museo archeologico, centrato ripetutamente da colpi d'artiglieria (qui tutti assicurano che l'aviazione russa ha di proposito evitato di bombardare le zone, come questa, vicine al sito per evitare danni collaterali irreparabili alle vestigia), devastato e saccheggiato”. (A. Stabile, A Palmira con il figlio del martire del museo, 7.4.16, La Repubblica)
Si è scritto molto anche sui motivi religiosi o meglio ideologici per cui i jihadisti cercano sempre di cancellare il passato. Il Foglio a questo proposito ha intervistato Remi Brague, studioso medievista, erudita e poliglotta con cattedra alla Sorbona e a Monaco di Baviera, per cercare di capire l'odio islamista per la civiltà occidentale. Il professore ha risposto che è “Un odio che si riferisce a tutto ciò che non è islam”,“Tutto ciò che lo ha preceduto si chiama ‘ignoranza’, ‘gahiliyya’. Lo  Stato islamico ha così distrutto le statue del Museo di Mosul perché testimoniano uno stato precedente all’islam o diverso dall’islam. Gli islamisti, arrivati in Italia, distruggerebbero San Pietro; in Francia raderebbero al suolo la cattedrale di Chartres. Secondo il professore francese, “Si inizia con la consapevolezza di una schizofrenia in cui vivono i musulmani. La loro religione è intesa, secondo il Corano, come completamento delle precedenti religioni che andrà a sostituire. La loro comunità è ‘la migliore comunità’. (G. Meotti, La barbarie dell'Occidente, 6.4.16, Il Foglio)
Ergo il passato va cancellato, come hanno fatto i padri della furia iconoclasta, i giacobini della Rivoluzione Francese, che oltre a fare un bagno di sangue, hanno distrutto tutti i simboli del passato monarchico e cattolico. E' interessante ricostruire il percorso storico dei rivoluzionari francesi, c'è uno studio degli anni 80' del compianto Marco Tangheroni, storico, medievista, “Il ritorno dei re”. A proposito di una mostra fiorentina”, pubblicato dalla rivista Cristianità (Anno VIII, n. 66, ottobre 1980) che ha magistralmente descritto, quello che è successo in Francia. Il professore pisano parte dal ritrovamento casuale in Francia nel 1977, durante i lavori per l'ampliamento di una banca, di ventuno teste, insieme ad altri frammenti scultorei. Erano le teste delle statue dei re di Giuda, da Jesse a Giuseppe, situate sulla facciata di Notre Dame, decapitate dai giacobini nel 1793, subito dopo aver decapitato il re Luigi XVI.
La Mostra occasione provvidenziale per raccontare la verità storica.
Le statue sono state esposte nei chiostri di Santa Maria Novella a Firenze, sotto il titolo: “Notre-Dame de Paris. Il ritorno dei re”. La mostra per il professore Tangheroni diventa una provvidenziale occasione, non tanto per fare commenti specialistici, ma soprattutto per fare“emergere la verità storica rispetto ai due periodi forse più stravolti dalla storiografia rivoluzionaria: il Medioevo e la Rivoluzione francese. Il professore è convinto che il gesto dissacratore dei giacobini non fu “privo di grande significato, come si potrebbe credere, se paragonato agli orrori e al sangue di quel terribile periodo”. Infatti occorre evitare di fare la figura di chi è pronto a levare alte grida per qualche danno al patrimonio storico-artistico o ecologico e poi tace di fronte ai massacri dei cristiani nel mondo o dei bambini nel ventre materno, grazie alle leggi repubblicane in tutto il mondo. Invece,“il gesto distruttore permette di comprendere, nella sua intima essenza – che è essenza di odio – la Rivoluzione francese, la quale, a buon diritto, voleva essere, ed è considerata, la Grande Rivoluzione, la Rivoluzione per eccellenza, salto di qualità rispetto alle rivolte del passato e madre feconda di tutte le rivoluzioni a venire”.
Per il professore Tangheroni la decapitazione delle statue non fu un gesto casuale o isolato, ma fu“l'esecuzione di una precisa e burocratica decisione parlamentare”. Fu un gesto poi imitato in tutta Parigi, in tutta la Francia e successivamente in tutta Europa, nei territori raggiunti dalle armate rivoluzionarie e napoleoniche. Tra l'altro, “non mancheranno singolari riprese di quest'abitudine rivoluzionaria anche nell'epoca del Risorgimento italiano”, come hanno fatto in San Michele a Lucca, sostituendo alcuni capitelli con le immagini dei padri fondatori della Patria.
I giacobini francesi odiarono il sacro e la regalità, rappresentati dal cattolicesimo e dall'istituzione monarchica. Furono i rivoluzionari stessi a spiegarlo, del resto lo stesso architetto francese Viollet-le-Duc il grande restauratore dell'Ottocento, poteva mettere in bocca al protagonista di un suo romanzo, le motivazioni dei rivoluzionari: “Non dobbiamo lasciare allo sguardo del popolo, ormai liberato dalla tirannia e dalla superstizione, gli emblemi che gli ricordano la schiavitù sotto la quale ha tanto a lungo gemuto[...]il popolo intende sfigurare tutto ciò che gli rammenta un passato esecrabile, [...]Finchè resteranno in piedi un castello e una chiesa, i nobili e i preti avranno la speranza di riprendere il possesso di questi covi dell'oppressione. Finchè resterà un'immagine dei re di prima, o di santi di prima, resterà una traccia delle loro infame dominazione[...]la nazione deve dimenticare i re e i preti, questa vergogna dell'umanità[...]”
La Rivoluzione odia il passato.
“La Rivoluzione non odia soltanto un determinato e concreto passato, ma odia tutto il passato, cioè la memoria storica dei popoli”. E la distruzione “delle memorie visibili del passato nasce dall'assurdo e tragico desiderio di far tabula rasa [...] Si tratta di un desiderio assolutamente coessenziale all'utopismo rivoluzionario che, tendendo alla creazione di un mondo nuovo e di un uomo nuovo, deve necessariamente tentare di partire da zero”.  
Tuttavia secondo quanto ha sottolineato anche lo storico Francois Furet, i rivoluzionari francesi dell'epoca, quanto gli storici di tradizione giacobina, in particolare quelli marxisti, hanno visto e seguitano a vedere nella rivoluzione francese,“un avvento, come un tempo di un'altra natura, omogeneo come un tessuto nuovo”, è un concetto di inizio della storia, che si è visto con la rivoluzione comunista e ora si vede con il jihadismo islamista dell'Isis.
Chi si oppone alla Rivoluzione dev'essere annientato, vale per il popolo che per le città,“Tutto ciò che resiste e non vuole entrare nella macina repubblicana è condannato a scomparire”. E' successo per l'eroica popolazione vandeana, deportata in massa e per la deportazione di centinaia di preti. Per quanto riguarda le città, Tolone e Lione furono rase al suolo, si sono opposte alla Rivoluzione, quindi non devono più esistere. Peraltro proprio nel periodo della rivoluzione si sono manifestati quei tratti specifici della rivoluzione dell'arte moderna, che implicano, una “totale rottura con il passato: l'aspirazione alla purezza, il riconoscimento del dominio della ragione geometrica e tecnica, l'esaltazione sfrenata della libertà”.
“Rigenerazione” e terrore nei rivoluzionari.
I rivoluzionari giacobini francesi intendevano rigenerare il Paese, ecco perchè spesso utilizzano parole come purgare”, purificare”. Secondo Robespierre – il 'puro' della mitologia storiografica rivoluzionaria - occorreva assolutamente far scomparire 'l'orda impura' degli 'uomini perversi e corruttori”. Quante analogie con  gli ultra fondamentalisti islamisti a Raqqa nel Daesh. E' una rigenerazione che sfocia inevitabilmente nel Terrore, così come è stato per la Rivoluzione francese, come per quella russa, o per altre rivoluzioni. Per Tangheroni,“E' l'inesorabile fine totalitaria del liberalismo anticristiano”, a questo proposito cita la fondamentale opera dello storico Augustin Cochin, “Meccanica della Rivoluzione”, che descriveva in modo illuminante il totalitarismo giacobino:“Il popolo, servo sotto il re nel 1789, libero con la legge nel 1791, diventa padrone nel 1793 e, giacchè è lui che governa, sopprime le libertà pubbliche che erano solo garanzie a suo favore contro coloro che governavano. Sono sospesi il diritto di voto perchè il popolo che regna; il diritto di difesa, perché è il popolo che giudica; la libertà di stampa, perché è il popolo che scrive; la libertà di opinione, perché è il popolo che parla;limpida dottrina di cui i proclami e le leggi del Terrore sono soltanto un lungo commentario”.
Sostanzialmente chi tenta di realizzare il progetto utopico-rivoluzionario, siano essi i giacobini, i comunisti, ora i jihadisti, vede negli ostacoli sia umani che materiali solo degli avversari e così la“ghigliottina diviene lo strumento che separa i buoni dai cattivi, i rigenerati o rigenerabili dai non rieducabili, gli amici del popolo dai traditori”. Ecco che vengono inventati i complotti in rapida successione, per comodità:“è più facile ghigliottinare un nemico del popolo che un nemico di Robespierre o un avversario della nuova filosofia”. Dunque vengono ghigliottinate le statue dei re, sicuramente non rieducabili e degni di essere ghigliottinati.
L'odio rivoluzionario contro la cattedrale.
Alla fine dello studio, il professore Tangheroni, si pone una domanda abbastanza interessante: “perchè tanto odio proprio contro le cattedrali?” Indubbiamente perchè sono al centro del culto cristiano, sentito come potentissimo ostacolo alla Rivoluzione. Ma per Tangheroni si possono fare ulteriori considerazioni:“la cattedrale è il segno dell'unità perduta del corpo sociale intorno alla Verità cristiana e alle istituzioni cristiane”. Peraltro in uno dei testi di allora, della Mostra fiorentina si spiegava cos'era e cosa rappresentava un cantiere per la costruzione di una cattedrale come Notre-Dame: dopo aver spiegato la complessità che comportava la costruzione architettonica di una cattedrale, con il cantiere da predisporre, con centinaia di operai, decine di artigiani-artisti, tutti lavoravano insieme“ sotto la direzione del potere politico o religioso di cui i capomastri o gli architetti, laici o ecclesiastici che fossero, erano l'espressione più diretta”.
In pratica, il cantiere offriva,“un paradigma di quel sistema corporativo e gerarchico che caratterizzava l'intera struttura della civiltà del Medio Evo, in cui si integravano armonicamente precisi vincoli religiosi e sociali e una innegabile libertà individuale”.
Interessante anche la citazione di Sanpaolesi che fa Tangheroni, lui cittadino pisano, di uno studio proprio sulla cattedrale di Pisa.“Qui una intera civiltà ha collaborato, senza esclusione di gruppi e di classi, a dar vita ad una testimonianza collettiva, seppur differenziata, del grado altissimo di se stessa [...]”. In pratica Notre-Dame era la metafora splendida di una società articolata e vitale, in cui la monarchia, nobiltà feudale, clero, borghesia artigiana e mercantile stavano realizzando un corpo, una struttura statuale armoniosa”. La cattedrale medievale era lo “specchio di una società, ma anche specchio di una concezione ordinata e armoniosa del mondo”, si comprende perchè l'odio decapitatore e demolitore della Rivoluzione nei confronti di  questa ben ordinata società.  

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