Il 2-3 giugno 1946 italiane e italiani furono chiamati
a scegliere tra monarchia e repubblica e a eleggere l'Assemblea Costituente. I
risultati delle votazioni furono e rimangono molto discussi. Misero in evidenza
la profonda differenza tra le regioni del Mezzogiorno e le isole,
prevalentemente e talora nettamente monarchiche, da quelle dell'Italia
centro-settentrionale (con l'eccezione del Lazio), che, non va dimenticato,
aveva alle spalle venti mesi di Repubblica sociale italiana e di guerra civile.
Anche nelle regioni settentrionali gli esiti non furono affatto omogenei. In
quattro province prevalse la Monarchia: Cuneo e Asti nella Circoscrizione
Cuneo-Asti-Alessandria (nel cui ambito essa risultò tuttavia minoritaria, a
causa dell'orientamento nettamente repubblicano dell'Alessandrino), Bergamo e
Padova.
In Piemonte (all'epoca comprendente la Valle d'Aosta)
la Repubblica ottenne il 57,1% dei voti validi; in Liguria il 69%, in Lombardia
il 64,1%, nel Trentino del democristiano Alcide De Gasperi un bulgaro 85%, nel
Veneto il 59,3 e in Emilia-Romagna, slittata in massa dal filofascismo al
socialcomunismo, il 77%.
Manca una storia esauriente del cambio istituzionale.
Occorrono ricerche analitiche sul territorio e la rimozione di tanti luoghi
comuni. Il nostro editorialista Aldo A. Mola, autore di Il referendum monarchia-repubblica del 2-3 giugno 1946.
Come andò davvero?, con prefazione della Principessa Maria Gabriella di Savoia
(Ed. Bastogi Libri, pp. XXI+440, maggio 2016) in due articoli passa
in rassegna quegli eventi e i molti dubbi che ancora li avvolgono.
Red. di Aldo A. Mola
I referendum spianano la
via ai regimi
La Repubblica italiana non è nata il 2 giugno 1946 ma
il 19, quando uscì il n. 1 della sua “Gazzetta Ufficiale”. Il 2 giugno è una
data convenzionale, come il “25 aprile”, che cerca di dare valenza nostrana
alla fine della guerra tra anglo-americani e tedeschi in Italia, chiusa il 2
maggio1945. Benché superfluo, va precisato che il 19 giugno 1946 non nacque uno
Stato Nuovo. Rimasero vigenti codici, leggi e decreti emanati durante il Regno.
Le forme passano, gli Stati restano, se non vengono annientati. Merito storico
indiscutibile di Vittorio Emanuele III fu di aver propiziato la resa dell'Italia
agli anglo-americani (3-29 settembre 1943) evitandone la debellatio, sorte
riservata invece alla Germania.
Il 2 giugno 1946 fu il primo dei due giorni del
referendum sulla forma dello Stato e dell'elezione dell'Assemblea Costituente,
chiamata a tagliare l'abito sul corpo preferito dai votanti. Secondo l'Istat (Elezioni per l'Assemblea Costituente e Referendum
Istituzionale, febbraio 1948) gli elettori
erano 28.005.449. Per motivi diversi, tre milioni (quasi il 12%) rimasero esclusi dal voto (prigionieri di guerra, cittadini di
province inquiete o occupate, radiati per motivi politici o non reperiti dagli
uffici elettorali comunali). Su 25 milioni di votanti i partiti dichiaratamente monarchici
alla Costituente ottennero circa due milioni di suffragi e un numero modesto di
seggi, mentre al referendum la monarchia ottenne 10.719.284 voti contro i
12.717.923 assegnati alla repubblica. Le schede bianche, nulle, contestate e
non assegnate sommarono a circa 1.509.735, pari al 6,1% dei votanti). La
repubblica ottenne quindi il 54% dei voti validi: un pelo più del 50% dei
votanti e il 45% degli elettori. Nacque minoritaria. Però l'Assemblea
Costituente, ove i repubblicani erano maggioranza schiacciante (Partito
comunista, Partito socialista, Democrazia cristiana i cui dirigenti monarchici
vennero zittiti, Partito d'azione…), ignorò i quasi undici milioni di cittadini
monarchici, confiscò la volontà degli italiani, blindò la forma repubblicana
dichiarandola immodificabile per via costituzionale (art. 139 della Carta),
vietò il rientro e soggiorno in Italia dei re e dei loro discendenti maschi
(confondendo “discendenti” con “eredi dinastici”, un oceano), criminalizzò la
restaurazione della monarchia e i monarchici stessi, declassati a “nostalgici”,
(termine spregiativo che li accomunò ai “fascisti”) e scatenò una ottusa damnatio memoriae
dell'età sabauda (1848-1947), che pure fu tutt'uno con il Risorgimento e
l'unificazione d'Italia.
Quel referendum non fu traumatico di per sé, per come
venne concepito e svolto. Esso però offrì ai vincitori (terrorizzati dalla
modestia del loro “successo”) la via per attuare una lacerazione radicale,
storica ed etica tuttora aperta.
Del resto i referendum
sono destinati a dividere. Instillano nel vincitore la sete di annientare il
vinto e di perpetuare la sua vittoria rottamando l'avversario, additato come
nemico. Guerra civile permanente. Il primo referendum fu l'elezione a suffragio
universale dei 749 membri della “Convenzione” (20 settembre 1792) che in
Francia proclamò la Repubblica, dalla quale datò la “novella storia”, e
ghigliottinò Luigi XVI e la regina Maria Antonietta, proprio per dare un taglio
netto col passato. Altrettanto fece Napoleone I con i plebisciti dopo il colpo
di stato del 18 brumaio 1799 e la creazione dell'Impero, suggellata con la
fucilazione del Duca d' Enghien. Nel 1851 lo imitò suo nipote, Napoleone III,
finito male. Per imporsi i regimi rivoluzionari hanno bisogno di referendum e/o
di plebisciti. Gli Stati solidi no. Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda
non ha neppure una costituzione. Esso c'è, come mostrano i riti, celebrati
dalla sovrana novantenne, come ricorda Francesco De Leo in Elisabetta II Regina (ed. Aracne).
Gli Stati durevoli reggono sulla distinzione tra
sovrano (o presidente, nelle repubbliche presidenziali), loro incarnazione
formale e sostanziale, esecutivo, legislativo e ordine giudiziario, tutti
incardinati sul Capo dello Stato: esattamente l'opposto di quanto accadde in
Italia nel giugno 1946, quando il presidente della Repubblica fu investito di
poteri da definire e il governo tenne per sé il legislativo mentre l'Assemblea
(prorogata due volte) redigeva la Carta. Successivamente la Costituzione è
stata ripetutamente modificata. Recentemente essa è stata stravolta da un
Parlamento dichiarato in parte illegittimo dalla Corte Costituzionale,
screditato dai cambi di casacca dei suoi componenti, ricattato con
l'asfissiante richiesta di voti di fiducia (un assurdo per riforme
costituzionali) da un governo infine obbligato a sottoporre le modifiche a
referendum confermativo: occasione unica per i cittadini di dire la loro dopo
anni di espropriazione della loro sovranità.
La consultazione degli elettori su temi etici e
costituzionali ha sempre spaccato e lacera il Paese. Avvenne nel giugno 1946. Lo
sarà nell'ottobre 2016. Perciò il referendum di 70 anni or sono merita
l'attenzione sinora elusa dalla narrativa, che solitamente liquida il cambio
monarchia/repubblica con un retorico omaggio al “re gentiluomo” che “tolse
l'incomodo”, come, in estrema sintesi, ripete Gianni Oliva in Gli ultimi
giorni della monarchia (Mondadori).
Dallo
Statuto albertino alle “costituzioni provvisorie” (1944-1946)
Negli strumenti della resa
incondizionata, gli anglo-americani non posero in discussione la monarchia,
chiamata anzi a garantirne l’applicazione, a cominciare dalla consegna della
flotta. Quando il Re lanciò agli italiani il messaggio radiofonico da Brindisi
(12 settembre 1943), nelle regioni non occupate da reparti germanici i
cittadini consapevoli capirono che lo Stato era salvo. Iniziava la
ricostruzione. Altrove però il quadro risultò del tutto diverso. A Roma il 16
ottobre il Comitato centrale di liberazione nazionale dichiarò la monarchia
complice del fascismo e chiese un governo formato dai partiti. Anche il Re lo
voleva, ma incontrava la riluttanza del capo del governo, Pietro Badoglio,
“marionetta” nelle mani degli anglo-americani come scrisse Paolo Puntoni,
aiutante di campo del sovrano. Il 28 gennaio 1944 il sedicente congresso dei
CLN, autoconvocato a Bari, chiese con veemenza l’abdicazione del Re. Si accodò
anche Benedetto Croce. Badoglio, piagnucolando, propose al re di abdicare,
ignorare il figlio, Umberto di Piemonte, e di passare la Corona al nipote,
Vittorio Emanuele principe di Napoli, di soli sette anni, tutelato da un
Reggente: si offrì egli stesso. In violazione dello Statuto. Fu il napoletano
monarchico Enrico De Nicola a proporre la Luogotenenza, figura prevista dallo
Statuto.
Il 14 marzo 1944 Stalin,
Capo dell'URSS, riconobbe il governo Badoglio per sparigliare il gioco degli
anglo-americani nel Mediterraneo. Il 27 il comunista Palmiro Togliatti, arrivò
a Napoli dall’URSS, via Algeri, per attuare la “svolta partecipazionistica” su
mandato di Stalin. Il 12 gli anglo-americani imposero ruvidamente al Re di
farsi da parte e di trasferire tutti i poteri al figlio. A Vittorio Emanuele
non restò che accettare. Il 27 aprile a Salerno nacque il secondo governo
Badoglio, comprendente i sei partiti del CLN. I ministri giurarono sul proprio
onore. Il 5 giugno Umberto divenne Luogotenente del regno.
Il referendum fu il punto di
arrivo di una serie di modifiche formali e sostanziali dello Statuto. Il 25
giugno 1944 il Luogotenente Umberto emanò il decreto 151, il cui articolo 1
recitava: “Dopo la liberazione del territorio nazionale le forme istituzionali
saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà a suffragio
universale diretto e segreto una assemblea costituente per deliberare la nuova
costituzione dello Stato”. Rimise la sovranità ai cittadini. Malgrado la
“tregua istituzionale” promessa dai partiti, si moltiplicarono violentissimi
attacchi alla Corona. Ne furono approdo il
libello di Luigi Salvatorelli Casa Savoia
nella storia d'Italia e i “manifesti” di “intellettuali
repubblicani” in gran parte ex fascisti
petulanti.
Per preparare la futura
Costituente, il 5 aprile 1945 fu istituita una Consulta nazionale di 304 membri
(poi elevati a 430). Si insediò il 25 settembre. Presieduta da Carlo Sforza,
cavaliere della SS. Annunziata ma repubblicano così vociferante da infastidire
il premier britannico Winston
Churchill, essa fu composta quasi esclusivamente da repubblicani. Il ministero
per la Costituente, istituito il 31 luglio 1945, a sua volta formò varie
commissioni, una delle quali (con 84 membri, quasi esclusivamente repubblicani,
presieduta da Ugo Forti), tracciò le linee della futura Carta.
Al termine della guerra (2
maggio 1945), il contributo delle Forze Armate alla liberazione fu messo sotto
silenzio. Il Luogotenente incontrò seri ostacoli a visitare l’Italia
settentrionale. Il socialista Sandro Pertini, futuro presidente della
repubblica, vantò le fucilate contro le finestre della dimora milanese che lo
ospitava. Se solo lo avessero potuto, altrettanto avrebbero volentieri fatto tanti
militanti della Repubblica sociale, la cui velenosa propaganda antisabauda
giovò enormemente al successo dei repubblicani nell'Italia
centro-settentrionale.
La
preparazione delle votazioni
Dopo un lungo braccio di
ferro politico, il 16 marzo 1946 il Luogotenente emanò i DLL n. 98 e 99 su referendum istituzionale ed elezione
dell’Assemblea Costituente. Erano in corso le elezioni amministrative, indette
anche per tastare il polso dell’elettorato. Per la prima volta le donne vi
esercitarono il diritto di voto attivo e passivo. Alle urne furono chiamati
19.548.888 elettori di 5.680 comuni: 3.158 dell’Italia meridionale e insulare,
804 della centrale, 1.255 del nord. Votò il 79,37% degli aventi diritto. I
democristiani conquistarono 2.020 comuni, contro i 1.985 dei socialcomunisti.
Agli altri andarono le briciole. I liberali, in parte monarchici, ne ebbero 99;
345 andarono a concentrazioni di centro, 65 a blocchi di destra.
L’articolo 2 del DLL n. 98
sancì: “Qualora la maggioranza degli elettori
votanti si pronunci a favore della
Repubblica...”. Il DLL 219 del 23 aprile seguente sulle norme per lo
svolgimento del referendum dimenticò che la maggioranza andava calcolata sulla
base dei votanti, comprese schede bianche e nulle, e prescrisse che gli Uffici
centrali circoscrizionali (Corti d’Appello o Tribunali ai sensi di precedente
decreto) computassero solo i voti validi
per la monarchia o per la repubblica.
“Appena pervenuti i verbali” degli uffici centrali circoscrizionali, il
primo presidente della Corte suprema di cassazione, partecipi sei presidenti di
sezione, dodici consiglieri e il procuratore generale, avrebbe proclamato “i
risultati del referendum”. La Corte doveva anche deliberare su contestazioni,
proteste e reclami presentati agli uffici delle singole sezioni elettorali,
agli Uffici Elettorali Circoscrizionali (Ue-Cir) a quello centrale (Ue-Cen) o
direttamente a essa. Un compito immane.
Sull'Italia incombeva la
divisione dei vincitori della seconda guerra mondiale in blocchi contrapposti:
USA, Gran Bretagna e (per quel che contava) Francia da un canto, URSS
dall’altro. S’avvicinava inoltre l'intimazione del trattato di pace, duramente
punitivo. L’Italia aveva urgenza di stabilità interna. Per i cittadini la
scelta tra monarchia e repubblica investiva memorie, sentimenti, sogni. Per la
generalità dei partiti Casa Savoia era un impiccio di cui liberarsi una volta
per tutte. Così si andò alle urne. I votanti dovevano tracciare una croce
accanto a (o sopra ) uno dei simboli.“Due rami di quercia e di alloro attorno a
una testa turrita di donna” contrassegnava la repubblica; una corona (senza
croce sommitale) sovrapposta alla Stella sabauda indicava la monarchia.
Entrambi si stagliavano sull’Italia.
Il 9 maggio Vittorio
Emanuele III abdicò e lasciò l'Italia per l'Egitto. In vista del voto, Umberto
II sciolse dal giuramento al “bene
indivisibile del Re, dei Reali successori e dell’Italia” quanti l’avevano
prestato entrando a servizio nei pubblici uffici. L’esito del referendum non
era affatto scontato. Le votazioni si svolsero complessivamente in buon ordine.
Fu una prova di maturità democratica.
Il governo De
Gasperi-Togliatti-Nenni conosceva le condizioni precarie in cui si sarebbe
svolta la consultazione. Il ministro dell’Interno, Giuseppe Romita, repubblicano
anche per avversione verso suo padre
(come egli stesso scrisse nelle memorie), si cautelò. Fece stampare due serie
di certificati elettorali: il 2C (normale) e 3C (sostitutivo del primo in caso
di smarrimento, distruzione accidentale, ecc.): ottanta milioni di schede, tre
volte più degli aventi diritto al voto. Alle prefetture venne mandata una scorta di certificati
sostitutivi corrispondente al 40% degli ordinari.
Quella immensa nuvola di
carte avvolse le votazioni del 2-3 giugno
1946: la scelta tra monarchia e repubblica e l'elezione dell'Assemblea
Costituente
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