di Luca Fumagalli
In un’intervista rilasciata a «Il Tempo» nell’agosto del 1955, all’interno di una rubrica dedicata alle maggiori personalità del momento, Longanesi rispose alle domande del giornalista Enrico Roda. Il ritratto che emergeva era quello di un Longanesi disilluso, politicamente affranto, ma ancora capace di divertire e provocare: «Torno subito» aveva risposto con genialità alla domanda su quale epigrafe avrebbe voluto sulla sua tomba.
E Longanesi effettivamente è tornato, protagonista della recente biografia di Francesco Giubilei, e ritorna ogni qual volta la nostalgia coglie i cultori del bel mondo antico, quello fatto delle tante piccole certezze che costituivano lo spirito strapaesano, rurale e cattolico della penisola italiana. Un universo forse più mitico che reale, un contrappunto a quella volgare modernità con cui Longanesi non si riconciliò mai.
Ribelle incallito, disubbidiente, contemporaneamente al governo e all’opposizione, il giornalista romagnolo, fondatore tra l’altro de L’italiano, Omnibus e il Borghese, condusse un ‘esistenza votata a consumarsi tra la sparuta compagine dei vinti. Pochi erano disposti a recitare il ruolo degli sconfitti dalla storia, più facile era cambiare casacca e salire sul carro del vincitore al momento opportuno. Longanesi, invece, soffriva della malattia opposta: amava ormeggiare le sue idee presso i lidi meno frequentati, con la conseguenza di attirare su di sé l’odio dei più. Fascista critico durante il Ventennio, si ritrovò, in epoca repubblicana, a rimpiangere Mussolini e con lui un mondo irrimediabilmente perduto (e questo anche se fu tra quelli che il 25 luglio del 1943 festeggiarono in piazza, a Roma, la caduta del Duce).
Da bambino il piccolo Leo aveva sicuramente ascoltato le storie delle scorribande del suo concittadino Stefano Pelloni, detto “il Passatore”, che nella prima metà dell’Ottocento aveva compiuto gesti spettacolari creando grande scompiglio tra i cittadini e la Gendarmeria Pontificia. Longanesi non si scrollò mai di dosso il fascino per lo spirito di libertà e indipendenza dalla legge del Passatore.
Tutto questo, però, aveva un prezzo: l’anticonformismo esasperato – «eppure è sempre vero anche il contrario» amava ripetere – rischiò spesso di trasformarsi in pura anarchia, in provocazione fine a se stessa, un limite di cui Longanesi era consapevole: «Sai chi sono io? Sono un ago che punge e punge, ma non ha mai cucito niente».
Fu comunque uno dei più brillanti fustigatori del Bel Paese, e lo fece con grande ironia, abbinando il talento letterario a quello artistico, sperimentando impaginazioni e soluzioni grafiche rivoluzionarie. Tutto questo mentre con il suo carisma allevava la futura classe dirigente del giornalismo nazionale e si divertiva ad additare al pubblico ludibrio le malefatte del potente di turno.
Leo Longanesi. Il borghese conservatore è una biografia facile e godibile, ricca di illustrazioni che contribuiscono a rendere ancora più appassionante il viaggio del lettore attraverso la vita di Longanesi. Giubilei imbastisce una narrazione convincente che, sebbene tutt’altro che esaustiva, regala uno spaccato accattivante, infarcito di testimonianze e citazioni.
Un ottimo libro dunque per approfondire la figura del gran maestro di ogni contestatore: «Non fu soltanto uno spirito libero; fu uno spirito chic, che è cosa immensamente più rara».
Il libro: Francesco Giubilei, Leo Longanesi. Il borghese conservatore, Bologna, Odoya, 2015, 200 pagine, 18 euro.
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