di Paolo Borgognone
Il liberalismo è un “fatto sociale”
totale, culturale, politico, economico. È l’involucro politico-culturale più
adatto per l’espansione illimitata del capitalismo odierno (assoluto, perché
sciolto da ogni legame e vincolo precedente e terminale, perché dei tempi
“ultimi”). In un suo saggio, il filosofo Costanzo Preve ebbe a dire, in merito
al ventennio neoliberista (1989-2009) succeduto al tragicomico crollo del
comunismo storico novecentesco nei Paesi dell’Europa centrorientale e in Unione
Sovietica: «[…] l’ultimo ventennio neoliberista (1989-2009) è stato anche una
sorta di grande ed oscena orgia bacchica di festeggiamento per la caduta del
baraccone tarlato del comunismo storico novecentesco, che d’accordo con Jameson
definirei un grande esperimento di ingegneria sociale dispotico-egualitaria
sotto cupola geodesica protetta, cupola geodesica generalmente definita
“totalitarismo” nel pensiero politico occidentale apologetico del capitalismo».
La “fine capitalistica della Storia” teorizzata dal politologo neodemocratico
Francis Fukuyama appare infatti, da una prima lettura, la nuova religione
identitaria di massa in nome della quale si celebrano i riti bacchici tesi
all’esaltazione della globalizzazione ipercapitalistica e alla celebrazione
dell’«onnipotenza dell’economia», o monoteismo del mercato.
Il programma mondialista, genericamente denominato
di “fine capitalistica della Storia” (Francis Fukuyama, 1989), tende
irrimediabilmente all’uniformazione neocoloniale globale sotto l’egida della
cultura politica dominante dopo il 1989 (e, per certi versi, in Europa
Occidentale, già dopo il 1945), ossia il liberalismo come «l’ideologia moderna
per eccellenza», un’ideologia fondata sulla metafisica del progresso quale
destino ultimo dell’umanità. Il liberalismo è una cultura politica unitaria,
equivocata dai suoi teorici e apologeti di sinistra come sostanzialmente
scindibile in due tronconi opposti, «un liberalismo politico e culturale
“buono”» ascrivibile alla sinistra e all’estrema sinistra postmoderne in quanto
«punta più mobile dello Spettacolo moderno» e un «liberalismo economico
“cattivo”», ascrivibile invece alla destra erroneamente e tendenziosamente
definita “conservatrice”.
Il liberalismo totalitario (ossia che
totalizza in sé sinistra culturale, centro politico e destra economica e che
definisce «fuori dalla Storia» e «fuori dal Tempo» ogni istanza e
rivendicazione di critica radicale al suo programma di uniformazione globale)
contemporaneo, come nota Charles Robin, «affonda le sue vere radici
intellettuali in quella che, al momento presente, è necessario chiamare
“sinistra”, ossia quel conglomerato di pensieri eterocliti uniti dall’idea (e a
partire da postulati e intenti politici spesso discordanti) che la lotta per le
“libertà individuali” e il riconoscimento delle “minoranze” – fondamento
metafisico dell’attuale “diritto alla differenza” – dovrebbe apparire come
l’unico fondamento concepibile di ogni progetto di civiltà “moderno” e
“progressista”». In tale contesto, di omologazione cosmopolitica eurocentrica
tendente alla disarticolazione, per via principalmente pubblicitaria, dei legami
sociali comunitari dei popoli, ricordiamo quanto dichiarato da Costanzo Preve
circa i mass-media contemporanei quali strumenti di riproduzione dell’attuale
processo di flessibilizzazione desiderante e narcisistica delle masse come
conseguenza e parte integrante dell’autoimposizione del monoteismo del mercato
quale nuova religione identitaria obbligatoria di sradicamento consumistico
globalizzato: «Le nuove cerimonie religiose sono officiate da mezzibusti
televisivi sorridenti che si consultano con economisti che ripetono solenni
parole in inglese roteando una pipa spenta.
L’ideologia di questa nuova società è
quella della fine della storia». Il “circo mediatico” giornalistico liberale
contemporaneo è appropriatamente definito da Preve come una vera e propria
forma di «clero secolare». Infatti, «in riferimento all’attuale congiuntura,
Preve distingue tra un “clero secolare” (gli apparati mediatici) e un “clero
regolare” (gli apparati universitari che forniscono una legittimità all’ordine
del mondo), accomunati dal raddoppiamento simbolico-religioso dell’assetto
capitalistico». Preve, in un importante saggio del 1999, scrisse apertamente
che «il clero giornalistico secolare ha il compito di organizzare una
rappresentazione quotidiana profana, il cui scopo è quello di simulare la
sacralità del dominio della Nuova Nobiltà finanziaria transnazionale
ultracapitalistica e postborghese». Va ricordato, anche e soprattutto che «i
gradi superiori del circo mediatico sono composti da opinionisti cosmopoliti e
poliglotti», il cui minimo comun denominatore ideologico è la rivendicata
adesione al liberalismo di sinistra come motore propulsore politico di una
società fondamentalmente liberalizzata a livello culturale, politico ed
economico. Il “circo mediatico” liberale contemporaneo è infatti il promotore
politico-culturale «della cultura mondiale americana», una cultura il cui
«obbiettivo è una società universale di consumo che non sarebbe composta di
tribù, popoli, nazioni o cittadini, ma soltanto di questa nuova razza di uomini
e di donne che sono i consumatori».
Gli strapagati pagliacci colti facenti
parte degli strati superiori del “circo giornalistico” liberale di sinistra non
fanno altro che diffondere, presso il volgo desideroso di spettacolo trash e di spettacolo porno centrati sul
chiacchiericcio del talk show
politicamente corretto riproduttore della obsoleta dicotomia
centrodestra/centrosinistra (perfettamente funzionale al mantenimento
inalterato della società liberale odierna) e sull’esibizionismo narcisistico
proprio del reality show (in stile Grande Fratello o L’Isola dei Famosi) per teledipendenti compulsivi di ogni ordine e
grado, le idee dominanti al servizio delle classi dominanti. Ma qual è la
cultura politica caratterizzante queste élites
dominanti (Global Class) aventi come
obiettivo la flessibilizzazione consumistica, individualistica, narcisistica e
cosmopolitica integrale delle masse, nell’ambito di un capitalismo “puro”
tendente all’abbattimento di ogni ostacolo (frontiere nazionali, morali,
politiche e religiose) all’espansione illimitata della open society perfettamente confacente al dispiegarsi incontrastato
di un modello socio-politico ed economico fondato sull’omologazione globale
alla suddetta «cultura mondiale americana»?
La risposta a tale domanda è ravvisabile
nelle seguenti parole di Costanzo Preve: «A partire dal 1980 circa siamo […] di
fronte a una vera e propria seconda rivolta delle élites […]. Mentre la prima
rivolta delle élites (1871-1914) si basava prevalentemente sulla riorganizzazione
della sovranità monetaria dello Stato nazionale (con accompagnamento culturale
alla Nietzsche-Pareto), questa seconda rivolta delle élites si basa
prevalentemente sul controllo di uno spazio economico globalizzato, e il suo
accompagnamento culturale non è più prevalentemente di “destra” (Nietzsche,
Pareto, Kipling, ecc.), ma è prevalentemente di “sinistra” (postmoderno,
Lyotard, Bobbio, Rawls, Habermas, religione olocaustica di colpevolizzazione
infinita dell’Europa, ideologia interventistica dei diritti umani, governo dei
giudici e dei giornalisti, costituzione materiale basata sullo scandalismo,
irrisione della religione vista come residuo superstizioso premoderno,
sostituzione del Big Bang alla creazione divina, imposizione del coito e del
godimento immediato al posto dell’amor cortese e del dolce stil novo, ecc.)».
La liberalizzazione sessuale è la prima tappa verso la costruzione di una
società consumistica integralmente liberale laddove l’emancipazione di genere
viene letteralmente convertita in uno strumento ideologico «al servizio della
riproduzione del Capitale».
Infatti, in una società realmente liberale, «il sistema
capitalistico dovrà naturalmente dispiegare i suoi mezzi più efficaci per
ultimare l’opera di discredito totale delle donne che ancora recalcitrano a
conformarsi allo standard liberale della donna “attiva”, “indipendente” e
“moderna”. Di qui, come si sarà capito, l’interesse pedagogico per la serie Sex and the City». La liberalizzazione
tecnologica (comunicazione universale globale tramite l’Internet sociey) è la seconda tappa sulla via della realizzazione
di una società integralmente liberale. Da notare come oggi, i sostenitori più
accesi dell’affermazione, su scala globale, delle nuove tecnologie di
comunicazione multimediale siano proprio i liberali camuffati da comunisti
estremisti quali Toni Negri e Alain Badiou. Costoro infatti, aedi di una
“rivoluzione cosmopolitica di massa” venduta al ceto medio dei semicolti loro
interlocutori come “socialismo dal volto umano” del XXI secolo, non esitano ad
affermare che «è lo sviluppo stesso del capitalismo ciò che porterà a costruire
automaticamente la “base materiale del socialismo”». Secondo Negri e Badiou,
infatti, «si tratta semplicemente […] di affidarsi a quello sviluppo
rivoluzionario (se non addirittura, come proponeva ingenuamente Gilles Deleuze,
di “accelerarne tutti i processi”) e attendere con pazienza il giorno in cui –
quando l’“involucro capitalista” non sarà più abbastanza solido per contenere
la dinamica impetuosa delle “nuove tecnologie” – la società comunista potrà
sorgere da se stessa, armata da capo a piedi, come una Minerva che esce dalla
testa di Giove».
Ora, tutti sanno che una tale
interpretazione degli odierni processi di globalizzazione è, nella migliore
delle ipotesi, una lucida follia perché, com’è noto, lungi dal costituire
strumenti di emancipazione, le nuove tecnologie di comunicazione universale,
sulla scorta dell’industria pubblicitaria più in generale, non svolgono altra
funzione che quella di agire nella «deliberata costruzione di un uomo
integralmente rimodellato in funzione delle sole esigenze del Mercato e del
“governo democratico mondiale”». Il principale fattore di legittimazione di una
società liberalizzata e unificata al compulsivo desiderio di consumo e di
riconoscimento individuale è la presentazione del liberalismo come ideologia
unica del “progresso” e della “democrazia” da parte dei suoi cantori e
propagandisti. Non a caso, Ezio Mauro, ex direttore del principale quotidiano
italiano di orientamento liberale di sinistra (la Repubblica), ebbe apertamente a dichiarare che «un azionismo di
massa è stato il sogno di Repubblica, e non importa se un sogno di minoranza, pur
di testimoniare per quarant’anni “una certa idea dell’Italia”, secondo la
formula di Piero Gobetti».
Mauro veicola, senza mezzi termini,
l’idea che i liberali di sinistra coltivano in merito al processo di
normalizzazione neocapitalistica e neoborghese dell’Italia come parte
integrante del mondo unificato all’insegna del cosmopolitismo neoliberale, nel
momento in cui delinea il sistema politico confacente a codesto obiettivo
attraverso l’istituzionalizzazione di un bipolarismo solidale centrato
sull’alternanza al governo tra un partito liberaldemocratico di sinistra pro-Ue
e pro-Usa, e un partito liberalconservatore di destra pro-Ue e pro-Usa;
l’alternanza unica proposta da Mauro esclude categoricamente ogni avversario
della società liberale, bandendolo dallo spazio politico pubblico con
l’infamante accusa di “populismo antisistema”. Scrive infatti Ezio Mauro:
«Abbiamo creduto in una società politica dell’alternanza, nella distinzione
feconda e vitale tra i concetti di destra e sinistra e le loro proiezioni
politiche. Con la speranza […] di vedere finalmente in campo una sinistra
risolta, europea, moderna e occidentale (il ritardo è enorme e dunque
colpevole) e una destra finalmente liberata da tentazioni cesariste, padronali,
nostalgiche o xenofobe, che in Italia non c’è mai stata.
Un’Italia in cui si confrontino una
sinistra riformista, di governo, e un partito conservatore autenticamente
liberale è il traguardo che indichiamo da decenni: oggi tanto più urgente,
prima che arrivi l’onda alta del populismo antisistema che coltiva la rabbia e
la disperazione senza mai riuscire a trasformarle in politica, scagliandole in
una feroce gioia contro le istituzioni». Le parole di Ezio Mauro rappresentano
il più fulgido esempio della summenzionata “seconda rivolta delle élites” a
copertura ideologica liberale di sinistra e costituiscono la testimonianza più
efficace dell’attuale politica dei mass-media di larga tiratura. Una politica
volta alla promozione (per conto delle classi dominanti transnazionali
finanziarizzate) di modelli di riferimento politici e comportamentali centrati
sul postulato della liberalizzazione (politica, economica, sociale e
culturale).
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