di Domenico Bonvegna
In
questi giorni oltre ai campionati di calcio per professionisti iniziano quelli
per i dilettanti. Dedico queste riflessioni soprattutto ai gruppi dilettanti
che ogni anno si preparano per affrontare al meglio ogni competizione sportiva.
C'è una preparazione agonistica del corpo, ma anche dello spirito, anche se
questa spesso viene trascurata. Molto si è scritto sul significato e
l'importanza dello sport, delle attività sportive, spesso si rischia di fare i
soliti discorsi retorici su come si dovrebbe affrontare la pratica sportiva. Ma
capita anche dimenticare facilmente quali devono essere i comportanti
essenziali, elementari di una sana partecipazione ad un gruppo, a una squadra
di calcio.
Per
chi è cattolico e per giunta insegnante, occuparsi di sport non è un puro
esercizio mentale. Da tempo si parla di emergenza educativa, in una società che
ha perso ogni riferimento ai veri valori, lo sport può avere un ruolo decisivo
soprattutto per gli adolescenti, per ricostruire una società migliore.“Lo
sport è importante in questa opera di ricostruzione soprattutto per due
motivi:1. Perché si fonda sul concetto di 'ordine'. 2. Perché si fonda
sul concetto di 'agonismo'” (C. Gnerre, “Cristiano, cioè sportivo.
Sportivo, cioè cristiano”, giugno 2014, Il Timone)
L'ordine
nello sport non è un optional, al
contrario è fondamentale. Ogni sport ha le sue regole ben precise, che devono
essere oggettivamente rispettate.“Altro che relativismo e soggettivismo!
Altro che uomo che si crede fondamento di tutto!”. Praticamente, “l'uomo
impara dallo sport che cos'è la vita. Impara un reale che gli si impone e che
non può ricostruire a piacimento. Impara ad accettare un giudizio al di sopra
di sè”.
Per
quanto riguarda l'agonismo, esso è qualcosa che rimanda alla
“gara” e alla “vittoria”. Certamente nello sport devono partecipare tutti,
nessuno si deve sentire escluso, però alla fine uno vince e l'altro perde, come
nella vita, c'è chi si realizza e chi fallisce.
Pertanto,
l'esperienza della vittoria e della sconfitta, sono il paradigma della nostra
vita. Infatti lo sport ci educa alla gioia misurata nella vittoria,
sapendo che è solo un momento e, nello
stesso tempo, a non deprimerci eccessivamente nella sconfitta proprio
perché la vita può riservarci altre possibilità.
Il
cristiano sa che deve combattere nella vita,“non si può essere cristiani
senza il desiderio di affrontare coraggiosamente l'avventura della vita, che è
poi avventura della prova”. Infatti il Cristianesimo è la religione che
meglio di altre ha capito il valore dello sport per l'educazione,“perché è
la religione che più si fonda sul concetto di 'agonismo'”. Tuttavia lo
sport non ammette deleghe: è l'atleta che deve gareggiare, è lui che deve
sentire il peso e l'onore della gara, è lui che deve raggiungere il traguardo.
La stessa cosa accade nella vita, è l'uomo con la sua libertà che sceglie il
bene o il male.
Ma
perché la Chiesa si interessa allo sport? L'educazione è il motivo centrale, e lo dimostrano realtà come le
parrocchie, gli oratori, la storia delle stesse associazioni promotrici, oltre
al Magistero dei Papi e dei Vescovi che nel corso dei decenni hanno variamente
parlato dell’importante valenza educativa dello sport per la crescita integrale
della persona. «Che cosa è lo“sport” se non una delle forme della educazione
del corpo? Si interrogava Pio XII,“Ora questa educazione è
in stretto rapporto con la morale. Come potrebbe la Chiesa disinteressarsene?».
Pio
XII, percepiva lo sport come educazione della persona, un efficace antidoto
contro la mollezza e la vita comoda, risveglio “del senso dell'ordine,
educazione all'esame e alla padronanza di sé”. Ma il Papa sportivo per
eccellenza è stato San Giovanni Paolo II; infatti per lui,“il
senso di fratellanza, la magnanimità, l'onestà e il rispetto del corpo – virtù
indubbiamente indispensabili a ogni buon atleta – contribuiscono
all'edificazione di una società civile dove l'antagonismo si sostituisca
all'agonismo, dove allo scontro si preferisca l'incontro ed alla
contrapposizione astiosa il confronto leale”.
Mentre
per papa Ratzinger, lo sport, in particolare il calcio è una
scuola di fraternità e di amore. Il gioco,“soprattutto nei minori, ha un
carattere di esercitazione alla vita. Anzi, simboleggia la vita stessa e la
anticipa, in una maniera liberamente strutturata”. Inoltre,“costringe
l'uomo a imporsi una disciplina da ottenere con l'allenamento e la padronanza
di sé”. Sempre per quanto riguarda il calcio, Benedetto XVI, insegna un
disciplinato affiatamento. Infatti, in quanto gioco di squadra per eccellenza,
costringe all'inserimento del singolo nella squadra e unisce i giocatori con un
obiettivo comune: il successo o l'insuccesso di ogni singolo giocatore stanno nel
successo o nell'insuccesso dell'intera squadra”. Quindi, questo sport,
rappresenta“una scuola importante per educare al senso del rispetto
dell'altro”.
Infine
papa Francesco anche se non ha mai praticato discipline sportive,
al contrario del dinamico papa Wojtyla, è abbastanza sensibile all'universo
sportivo; infatti é tifoso della squadra argentina,
del "San Lorenzo de Almagro".
Papa
Francesco, in occasione del 70.mo anniversario del Centro Sportivo
Italiano, ha apprezzato l'impegno e la dedizione nel promuovere lo
sport come esperienza educativa. Egli crede che per avere una società a misura
di uomo, occorra intraprendere per le giovani generazioni tre strade: quella
dell'educazione, dello sport e del lavoro.“Se ci sono
queste tre strade, io vi assicuro che non ci saranno le dipendenze: niente
droga, niente alcol. Perché? Perché la scuola ti porta avanti, lo sport ti
porta avanti e il lavoro ti porta avanti. Non dimenticate questo. A voi,
sportivi, a voi, dirigenti, e anche a voi, uomini e donne della politica:
educazione, sport e posti di lavoro!”
Un
altro fattore importante nello sport, forse decisivo è la presenza di un buon allenatore-educatore,
per papa Francesco questo fattore“si rivela provvidenziale soprattutto negli
anni dell’adolescenza e della prima giovinezza, quando la personalità è in
pieno sviluppo e alla ricerca di modelli di riferimento e di identificazione;
quando si avverte vivamente il bisogno di apprezzamento e di stima da parte non
solo dei coetanei ma anche degli adulti; quando è più reale il pericolo di
smarrirsi dietro cattivi esempi e nella ricerca di false felicità. In questa
delicata fase della vita, è grande la responsabilità di un allenatore, che
spesso ha il privilegio di passare molte ore alla settimana con i giovani e di
avere grande influenza su di loro con il suo comportamento e la sua
personalità. L’influenza di un educatore, soprattutto per i giovani, dipende
più da ciò che egli è come persona e da come vive che da quello che dice”. (Messaggio
del Santo Padre al Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici in occasione
del Seminario Internazionale di studio “Allenatori: educatori di persone”, Vaticano,14.5.2015)
Papa
Francesco invita tutti a mettersi in gioco, senza paura, con coraggio ed
entusiasmo:“Mettervi in gioco con gli altri e con Dio; non accontentarsi di
un “pareggio” mediocre, dare il meglio di sé stessi, spendendo la vita per ciò
che davvero vale e che dura per sempre. Non accontentarsi di queste vite
tiepide, vite “mediocremente pareggiate”: no, no! Andare avanti, cercando la
vittoria sempre!” Il papa conclude dicendo di non chiudersi indifesa,
ma di andare all'attacco“a giocare insieme la nostra partita, che è quella
del Vangelo”. E' bello continuare a citare papa Francesco, che anche in
questa occasione sa essere convincente.
“Invito
tutti i dirigenti e gli allenatori ad essere anzitutto persone accoglienti,
capaci di tenere aperta la porta per dare a ciascuno, soprattutto ai meno
fortunati, un’opportunità per esprimersi. E voi, ragazzi, che provate gioia quando
vi viene consegnata la maglietta, segno di appartenenza alla vostra squadra,
siete chiamati a comportarvi da veri atleti, degni della maglia che portate. Vi
auguro di meritarla ogni giorno, attraverso il vostro impegno e anche la vostra
fatica. Vi auguro anche di sentire il gusto, la bellezza del gioco di
squadra, che è molto importante per la vita. No all’individualismo! No a
fare il gioco per se stessi. Nella mia terra, quando un giocatore fa questo,
gli diciamo: “Ma questo vuole mangiarsi il pallone per se stesso!”. No, questo
è individualismo: non mangiatevi il pallone, fate gioco di squadra, di équipe”.
Spesso
per vincere occorre il gioco di squadra,
essere alleati anche con chi ha un altro stile, strategia, o gioca un altro
ruolo. A questo proposito, Monsignor Camisasca, ex cappellano del Milan, ora
vescovo, sostiene che in una squadra di calcio, è necessario “ accogliere
l'altro per i suoi doni e saper mettere a frutto i doni in un concerto
reciproco in cui ciascuno, come uno strumento diverso, suona per far echeggiare
un'unica melodia”. In conclusione possiamo fare nostra la “buona
battaglia” di San Paolo; del resto lo sport deve sempre
rimandare chiaramente a Dio, nostro Creatore. In tal senso, l’apostolo Paolo
ricorre all’immagine della competizione sportiva per ricordare la più alta
vocazione dell’uomo:“Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono,
ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!
Ogni atleta però è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona
che appassisce, noi invece una che dura sempre” (1Cor 9, 24-25).
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