di Teresa Moro
Proponiamo oggi un approfondimento sulla figura di Tommaso Moro, celebre umanista inglese nato sul finire del Quattrocento e morto martire, che si fece portavoce di un pensiero sulla famiglia di profonda attualità e che merita di essere conosciuto, in quanto condivisibile a livello razionale anche da coloro che non abbracciano la fede cattolica.
Nel fare questo abbiamo intervistato il medico e scrittore Paolo Gulisano, che è recentemente tornato in libreria con un interessante testo dal titolo Un uomo per tutte le utopie (Ancora Editrice, 2016).
Dottor Gulisano, potrebbe innanzitutto dettagliarci brevemente la figura storica di Tommaso Moro e il contrasto socio-politico nel quale si muoveva?
Thomas More, italianizzato come Tommaso Moro, è una delle più straordinarie figure della storia della Chiesa. Visse a cavallo del XV e del XVI, in un momento di transizione drammatico per la sua Inghilterra e per il mondo, che conobbe in quegli anni le terribili fratture della Cristianità operate da Calvino e soprattutto Lutero. Moro fu un avvocato, un padre di famiglia, un grande studioso, un raffinato pensatore, un uomo che viveva intensamente la propria fede. Quando Erasmo da Rotterdam venne a Londra per incontrare questo suo illustre collega, trovò un uomo che non trascurava assolutamente nulla nella vita quotidiana: il lavoro, la famiglia, gli amici, gli impegni pubblici, e tantomeno Dio. Tanto che Erasmo definì l’amico con un’affermazione che ha attraversato i secoli: “Omnium Horarum Homo”, un uomo per tutte le ore. Secoli dopo questa definizione si trasformò in “un uomo per tutte le stagioni”, secondo il titolo che Robert Bolt, uno dei maggiori poeti statunitensi del XX secolo, diede ad una sua opera teatrale che conobbe anche fortunate trasposizioni cinematografiche. La definizione “un uomo per tutte le stagioni” ha finito così per descrivere, nel lessico corrente, esattamente il contrario dell’etica di Moro: allude alla capacità di restare a galla a tutti i costi, ad attraversare varie stagioni politiche, magari attraverso la pratica opportunistica del compromesso.
Si diceva in apertura dell’importanza di Tommaso Moro nella difesa della famiglia naturale. Appena trentenne, il fine umanista aveva dato alle stampe un divertente poema Come scegliere una moglie, nel quale emergeva già il concetto che l’unione sponsale è “per sempre” e che è necessario costruire delle basi solide per poter vivere assieme…
Spesso la vicenda di Tommaso Moro è stata presentata come il conflitto tra un uomo virtuoso e intransigente contro un sovrano volubile e crudele. Una questione personale tra lui e Enrico VIII. In realtà Tommaso si trovò ad affrontare anche un pensiero, quello protestante, che era arrivato anche in Inghilterra, che si proponeva di demolire la visione cattolica dell’uomo e della società. Enrico VIII apparteneva a una dinastia, i Tudor, che si erano impossessati del potere al termine di una guerra civile sanguinosa, condotta senza scrupoli e senza pietà. Con la stessa determinazione il sovrano perseguì il proprio disegno di ottenere l’annullamento del proprio matrimonio per poter impalmare legittimamente la propria amante. Opponendosi a questa pretesa, Tommaso realizzò una insuperabile difesa del Sacramento del Matrimonio, che andrebbe riscoperta oggi in tempi di pericolosi ondeggiamenti dottrinali da parte di certi settori della Chiesa.
Nel 1516 Tommaso Moro diede invece alle stampe Utopia, creando ad hoc una parola per indicare – letteralmente – un “luogo felice inesistente”. Qual è lo scopo di questo libro e quali sono le critiche (create con la sottile arma della satira) che l’umanista muove alla società in cui vive?
Cinquecento anni fa Moro pubblicò un’opera destinata ad essere non solo un capolavoro immortale, ma anche a costituire un vero e proprio paradigma in campo letterario, filosofico e politico. Utopia era uscita dalla sua fervida mente due anni dopo che Machiavelli aveva scritto la sua opera più celebre, Il Principe, la cui morale è rissunta nella celebre espressione “il fine giustifica i mezzi”. Moro è l’anti Machiavelli per eccellenza: il fine non giustifica mai mezzi sbagliati. In Utopia – un termine inventato da Tommaso stesso che derivò il termine dal greco antico con un gioco di parole fra ou-topos (cioè non-luogo) ed eu-topos (luogo felice, vediamo descritto un luogo inesistente ma possibile, anzi: desiderabile) – il grande umanista dipinse un opposto idealizzato della società sua contemporanea, che invece sottopose a una satira sottile. La parola “utopia” da allora entrò nel lessico comune con il significato di sogno, di progetto, di immaginazione proiettata sul futuro.
Eppure Moro era tutt’altro che un sognatore, che un uomo in fuga dalla realtà. Era un uomo estremamente concreto, abituato ad affrontare l’esistenza propria e degli altri, le persone della sua famiglia, coloro i cui casi giudiziari gli erano affidati e che per lui erano sempre prima di tutto persone, e non appunto “casi”.
Utopia è un mondo migliore non per le sue strutture, ma per le sue persone, che vivono con coerenza e fedeltà le virtù umane naturali. A differenza di quanto hanno poi elaborato le ideologie della modernità, non è ponendo determinate strutture societarie che si migliora l’uomo, ma esattamente il contrario: uomini più giusti, retti e virtuosi possono creare società migliori.
Per quanto ha potuto approfondire della figura di Moro, come immagina che potrebbe egli commentare la situazione attuale di crisi del matrimonio e, dunque, della famiglia?
È interessante leggere quanto Moro scrive proprio in Utopia: «Non esiste il divorzio, se non per colpa grave», che Moro precisa essere l’adulterio oppure «comportamenti intollerabili da parte di un coniuge». Talvolta delle situazioni critiche in una famiglia vengono portate alla discussione del Senato, che può eventualmente decidere per lo scioglimento del vincolo. Tuttavia, precisa Moro, «il permesso non è accordato con troppa leggerezza, perché sanno che non c’è nulla di più pericoloso per la stabilità dell’amore coniugale della facile speranza di un nuovo matrimonio». Un’osservazione di una saggezza straordinaria.
Il matrimonio è un bene prezioso, individuale e comunitario, e pertanto va tutelato da tutto ciò che può minacciarlo. Per questo, anche se è permesso uno scioglimento del vincolo “per giusta causa”, le leggi utopiane sono molto severe nei confronti dell’adulterio e sono puniti anche tutti gli atti sessuali commessi fuori dal matrimonio, perché gli utopiani «sono convinti che, se non si frenano le libertà sessuali, pochi si uniranno nell’amore del matrimonio, nel quale si deve trascorrere l’intera vita con la stessa persona, condividendo serenamente anche dolori e disgrazie».
Nel concludere, allarghiamo lo sguardo. Sul tema della famiglia è possibile definire un fil rouge tra diversi autori di lingua inglese, quali Tommaso Moro, John Henry Newman, Gilbert Keith Chesterton, Clive Stapes Lewis, o lo statunitense Fulton Sheen?
Gli Autori che lei cita, e che personalmente mi sono tutti molto cari e dei quali ho scritto, erano uomini appassionati alla Verità, difensori della Fede e della ragione, e vissero tutti in una dimensione di gioia cristiana autentica. Oggi vige il mito della ricerca della felicità, vengono inventarti addirittura degli “assessorati alla felicità”. Una ricerca che tuttavia è essenzialmente di tipo emotivo: faccio ciò che mi piace, che mi fa star bene, che è utile a me. La proposta di Tommaso Moro, così come di Chesterton, Newman e altri grandi cattolici inglesi vaccinati nei confronti dei virus delle ideologie, consiste nel cercare prima di tutto il Bene, cercare la risposta autentica al desiderio umano profondo di felicità e, in ottica cristiana, questa risposta non può essere altro che Cristo.
da:www.libertaepersona.org
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