di Giuliano Zoroddu
I Vangeli non sono racconti fantasiosi, ma resoconti storici: pertanto gli Evangelisti nell’opera di fissazione scritta dell’ευαγγέλιον (euanghélion, buona novella) si presero cura di indicarci tempi e luoghi di avvenimenti realmente accaduti. Mi occuperò qui dei luoghi, di due luoghi particolari e del loro perché. Non so se coloro i quali mi leggeranno, si siano mai posti la domanda sul perché Nostro Signore Gesù Cristo nell’atto di conferire a san Pietro il primato di governo sul Collegio Apostolico e su tutta la Chiesa, abbia scelto proprio Cesarea di Filippo e il Lago di Tiberiade. Nell’economia della salvezza nulla è senza senso: pare pertanto ragionevole pesare che non senza il consiglio della divina Provvidenza colui il quale avrebbe fissato la sua Cattedra episcopale in Roma sia stato esaltato al culmine apostolico proprio in due località strettamente legate non già all’Impero Romano in generale, ma all’Imperatore stesso. Partendo da questi presupposti, vorrei condividere con voi alcune riflessioni sulla Romanità della Chiesa a livello e spirituale e temporale, che potrebbero tornare utili per barcamenarci fra i flutti di questo nostro tempo sconquassato.
Cesarea di Filippo (attuale Banyas, Israele) fu costruita dal tetrarca Erode Filippo sul sito dell’antica Panea, alle fonti del Giordano, in onore di Augusto, cui pure dedicò un tempio che troneggiava dall’alto della rocca. Qui, verso la metà dell’anno 29, Gesù costituì Simon Pietro, che per primo lo aveva riconosciuto come “il Cristo, il Figliuolo del Dio vivente” (Matth. XVI, 6), pietra basilare (in aramaico Kepha = Roccia) della Chiesa che avrebbe fondato. Come fa notare l’abate Ricciotti l’immagine usata da Gesù fu agli uditori “tanto più chiara davanti alla visione della roccia materiale che sostiene il tempio dedicato al signore del Palatino” 1. Tiberiade invece fu fondata da Erode Antipa nel 20 d.C. in onore dell’imperatore Tiberio con lo scopo di farne il centro del Regno di Galilea. Sulle rive del lago che da essa trae nome il Risorto apparve agli Apostoli e confermò a Pietro il ministero di pascere tutto il suo gregge (Cfr. Ioann. XXI, 1-17).
I due avvenimenti, narrati il primo da san Matteo e il secondo da san Giovanni, insegnano con chiarezza adamantina la dottrina cattolica secondo cui “il primato di giurisdizione in tutta la Chiesa di Dio fu promesso e dato immediatamente e direttamente da Cristo Signore al beato Apostolo Pietro […] ed al solo Simon Pietro diede Gesù, dopo la sua Risurrezione, la giurisdizione di sommo Pastore e Rettore su tutto il suo ovile” 2. Il succitato passo giovanneo infatti, nella sua versione greca, parla di “τὰ ἀρνία” (agnelli = fedeli), “τὰ πρoβὰτια” (pecorelle = chierici), “τὰ πρόβατα” (pecore madri = vescovi), il che fa esclamare al Crisostomo aver sparso il suo preziosissimo Sangue il Cristo “per redimere quelle pecorelle, che affidò a Pietro e ai suoi successori” 3. Che in san Pietro fossero riconosciute queste prerogative primaziali ce lo attesta indirettamente il suo coapostolo Paolo il quale tre anni dopo la sua conversione si recò a Gerusalemme al solo scopo di “vedere Pietro” (Gal. I, 18) . Commenta il Padre Sales, Professore di Sacra Scrittura all’Angelicum e Maestro del Sacro Palazzo sotto Pio XI: “benché chiamato ed istruito immediatamente da Gesù Cristo, san Paolo credette suo dovere di visitare san Pietro, non per imparare da lui il Vangelo, ma per conoscerlo e rendere omaggio al Capo del collegio apostolico e di tutta la Chiesa. In queste parole si ha una conferma del primato conferito a san Pietro, come riconoscono tutti i santi Padri” 4. Siccome poi nell’anno 42 il Principe degli Apostoli e Vicario di Cristo, fissò in Roma la Cattedra definitiva del suo Episcopato, consacrandola infine col suo stesso sangue nel 64, la Chiesa di Gesù Cristo ha – oltre a quelle di Unità, Santità, Cattolicità e Apostolicità – la nota della Romanità. Si badi bene a non considerare quest’ultimo come una carattere minore, esclusivo magari della sola Chiesa Latina o un residuo di una mentalità “esageratamente” romanocentrica, anti-protestante e anti-bizantina: al contrario esso è il carattere che racchiude in sé gli altri poiché essi “si riscontrano solo nella Chiesa che riconosce per capo il Vescovo di Roma, successore di san Pietro” 5. Pertanto il dottissimo Leone XIII, riprendendo il pensiero di san Cipriano 6 , con lapidaria sentenza ci insegna che “la causa efficiente dell’unità nel Cristianesimo è la Chiesa Romana” 7 e non può essere altrimenti se crediamo fermissimamente con sant’Ireneo (un orientale del II secolo, mica Umberto di Silva Candida!) che con questa Chiesa “per una [sua] più forte supremazia – (po[ten]tiorem principalitatem) – è necessario che concordi ogni Chiesa” 8. Esso è il carattere che maggiormente mette in evidenza come nell’unità del Cristo non vi sia differenza fra Giudeo e Greco, fra circoncisi e incirconcisi, onde al Corpo Mistico di Lui si può applicare ciò che il pagano Claudio Rutilio Namaziano cantava di Roma idolatra: “Fecisti patriam diversis gentibus unam […] urbem fecisti, quod prius orbis erat” 9. Dopotutto, rigettata che fu Gerusalemme deicida e votata alla distruzione, la Città Santa della Nuova ed Eterna Alleanza è Roma: “Roma è la nuova Sion, e romano è ogni popolo che vive di fede romana” 10. Pietro quando arrivò a Roma ne iniziò la pacifica conquista, lo aiutò in seguito san Paolo e, migrati essi al Cielo, proseguirono l’opera le schiere dei Martiri che finalmente uscirono dall’oppressione dietro ai labari di Costantino Magno, vittorioso non già per gli auspici dei demoni dell’aria ma per la potente virtù della Croce di Cristo. Lo stesso avvenne in ogni parte dell’impero, senza che le massime autorità di esso ne fossero pienamente consce, quantunque “crescesse per tutto l’Oriente l’antica e costante opinione che fosse scritto nel destino del mondo che dalla Giudea sarebbero venuti, in quel tempo, i dominatori del mondo” 11. L’Urbe era “ignara dell’autore della sua elevazione” 12 dirà san Leone Magno: eppure tutta la sua grandezza era un dono di Dio, come ben ci spiega sant’Agostino nel De civitate Dei. Augusto non ebbe la minima idea che sotto il suo regno Dio s’era fatto Uomo nascendo dalla Vergine; Tiberio che pure, come ci dice la Tradizione 13 , voleva inserire il Nazareno nel Pantheon, non riconobbe in lui l’unico vero Dio da cui deriva ogni potestà e per cui i re regnano; gli altri, chi più chi meno, perseguitarono la Chiesa. Ma lo stesso santo Pontefice rivolgendosi alla stessa Urbe, ormai liberata dai lacci del diavolo, le ricorda: “[Pietro e Paolo] ti hanno innalzata a tanta gloria, che, divenuta nazione santa, popolo eletto, città sacerdotale e reale e, per la Sede augusta del beato Pietro, la capitale del mondo intero, stendi la tua supremazia, grazie alla religione divina, assai più lontano che non fu per la dominazione terrena” 14. Per inciso, non si può non accennare a quanto fu foriera di discordia la distinzione fra vecchia e nuova Roma operata al momento della fondazione di Costantinopoli: “Gl’Imperadori fecero quella distinzione per stare a pari con Augusto: i Patriarchi per non comparire da meno di san Pietro. Ma come agl’Imperadori bastava, ad argomento di distinzione, il non esservi più seggio imperiale nell’antica Roma, ai Patriarchi non bastava, perché in quella era il papale seggio. Quindi un irragionevole studio a distinguersi dai Latini; e si afferrarono alla barba, alla moglie, al pane col lievito nell’eucaristia, e, quel che è peggio, al non voler credere lo Spirito Santo procedente dal Figliuolo” 15. Ma torniamo al nostro tema. L’impero di Roma battezzato in Costantino e Teodosio entrò nell’impero di Cristo e sebbene il trono occidentale cadde sotto i colpi dei Barbari, l’Impero, giusta la sentenza dell’Angelico Dottore “non è cessato, ma da temporale si è mutato in spirituale” 16 dimodoché, per citare colei che scoprì la tomba e le reliquie di san Pietro, “all’impero caduco fondato da Augusto, subentrò l’impero perenne della Chiesa universale, cioè cattolica” 17. Ma chi è il capo di questo impero spirituale certo, ma incarnato? Capo invisibile è ovviamente il Cristo “Rex regum et Dominus dominantium” (Apoc. XIX, 16), sommo Sacerdote, Re e Profeta, Autore del Sacerdozio e del Regno; Capo visibile è il suo Vicario che con Cristo fa una cosa sola e che partecipa della medesima plenitudo potestatis di Lui. È un po’strano pensare che quell’uomo di Betsaida, il pescatore impetuoso e tenero al contempo, sia stato elevato a tanta dignità da superare, nella potenza del suo Signore, la possanza di quelli che Virgilio celebrò come i padroni del mondo e di esserne in un certo qual modo e soprattutto nella persona dei suoi successori, l’erede. È difficile da credere, lo ammetto, ma ascoltiamo l’Apostolo: “Le debolezze del mondo ha scelto Dio per svergognare i forti, e le cose vili del mondo e le spregevoli elesse Dio, le cose che non son nulla, per annientare le cose che sono; acciocché nessun individuo si glorii al cospetto di Dio” (1Cor. I, 27-29). E pienamente consapevole di ciò la Santa Chiesa nell’ultimo responsorio del secondo Notturno del Mattutino dei santi Pietro e Paolo, canta: “Tu es pastor ovium, princeps Apostolorum: tibi tradidit Deus omnia regna mundi”.
Tutta in questo senso si orientò la magnifica costruzione del cerimoniale papale: la persona Papæ (l’istituzione divina e non l’uomo peccabile) con la fronte redimita dal sacro triregno (evoluzione del frigium), rivestita del manto e dei sandali rossi (insegne regio-sacrali di origine etrusca) e servita da clero e laicato, da Vescovi e Principi, si manifestava, quale veramente era (ed in teoria è), l’apice, oltre che della Chiesa Universale, della Società temporale, l’apice della città della terra indirizzata alla città del Cielo, l’apice del Regno sociale di Nostro Signor Gesù Cristo. Per cui se l’Imperatore si trovava a Roma era chiamato a servire il Sommo Pontefice durante le funzioni, a tenere la briglia o la staffa durante le processioni a cavallo, a rendere a Cristo in lui l’omaggio della devozione e dell’obbedienza nella fede. Possiamo ben dire che il Papato è l’unica autorità “mondialista” secondo Dio, che la società da esso vivificata – la Christianitas – sia stata incarnazione nella storia della Verità rivelata, antica e sempre giovane al contempo. Per questo contro di esso si son scagliate e tuttora si scagliano le frecce di coloro che non militano sotto i vessilli di Cristo Re: Foziani di ogni nazione, Protestanti di ogni setta, Massoni di ogni obbedienza, Cesari neri e rossi di ieri e di oggi, rivoluzionari, mondialisti, sionsisti, omosessualisti, comunisti, e tutti coloro che sotto varie bandiere sono emissari e strumenti, più o meno consapevoli, del Demonio. Ovviamente ciò non poteva piacere ai modernisti che durante e dopo il Concilio operarono lo smantellamento barbaro, sacrilego ed eretico di tutta questo mirabile edificio teologico e politico, proprio di quella Chiesa che marchiarono come “costantiniana”. Se proclamando “l’ordine dei vescovi […] soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa” 18 si minò la costituzione monarchica della Chiesa e affermando che “la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa” 19 si ripudiava la signoria di Cristo sulla società, abolendo de facto la lingua latina si attentava alla Tradizione della Chiesa e alla vita stessa dei fedeli. Lo riconobbe lo stesso Papa Montini parlando della Messa nuova: “Non più il latino sarà il linguaggio principale della Messa, ma la lingua parlata.[…] un grande sacrificio: perdiamo la loquela dei secoli cristiani, diventiamo quasi intrusi e profani nel recinto letterario dell’espressione sacra […]. Abbiamo, sì, ragione di rammaricarci, e quasi di smarrirci: che cosa sostituiremo a questa lingua angelica? È un sacrificio d’inestimabile prezzo” 20. Ma avendo deciso “la Chiesa del Concilio” di guardare “il mondo un po’ come Dio stesso guardò dopo la creazione la stupenda e sconfinata opera sua” 21 (dimenticando – verrebbe da dire – quella cosuccia che è il peccato originale) non si poteva presentarsi agli altri come i detentori dell’unico messaggio salvifico rivelato una volta e per sempre. Così la mannaia bugnian-montiniana distrusse il cerimoniale romano; la teatralità woytjliana svuotò la persona di Pietro e impose quella di Simone; il pontificato ratzingeriano, “sintesi hegeliana” tra Cattolicesimo e Modernismo, con l’invenzione del “Papa Emerito” ha dato il colpo mortale (se fosse possibile!) alla monarchia petrina. Sull’attuale Regnante preferisco esprimermi concisamente, evidenziando soltanto il becero “trionfo” di un pensiero anti-giuridico, anti-razionale (molto più antico di Papa Francesco) che avendo come fine la creazione di una “Chiesa” spirituale (eterea), ripropone l’odio gnostisco per la materia, l’odio in ultima analisi di Lucifero contro l’Incarnazione del Verbo.
Ma se noi oggi volessimo vedere l’unica rappresentazione plastica che è scampata alla distruzione o all’oblio più cupo, possiamo guardare la Cathedra Petri e meditare su di essa. Sto parlando dell’antico seggio (dalla dibattuta datazione) che si conserva come reliquia preziosa nella Cattedra berniniana. Chiamata anche “Sella gestatoria apostolicæ confessionis” è decorata con delle formelle raffiguranti le dodici fatiche di Ercole e non a caso. Il Pontefice Romano è infatti il vero Re-Sacerdote, costituito da Dio nel suo oggi eterno “su tutte le nazioni e i regni, perché sradichi, distrugga, disperda, dissipi, edifichi e pianti” (Ier. I, 10). Perciò egli è “servus qui super familiam constituitur […] Vicarius Iesu Christi, successor Petri, Deus Pharaonis: inter Deum et hominem medius constitutus, citra Deum, sed ultra hominem: minor Deo, sed maior homine: qui de omnibus iudicat, et a nemine iudicatur” 22, erede dei Cesari di Roma, cui tutti debbono obbedire perché a lui, nel Cristo, si riferiscono le parole del Profeta: “Cadent a latere tuo mille, et decem millia a dextris tuis […] retributionem peccatorum videbis. […] Super aspidem et basiliscum ambulabis,et conculcabis leonem et draconem” (Ps. XC, 4, 7-8, 13) 23. Il Papa è “τὸ κατέχον” di cui parla san Paolo (Cfr. 2Thess. II, 6.7), ciò che trattiene il sopravvento del regno dell’Anticristo e non, come da qualche decennio lo si presenta, il capo delle religioni, il rappresentate di un tanto indefinito quanto inquietante “sacro”, certo gradito alle oscure officine.
Sono pienamente conscio che dinnanzi allo sconsolante spettacolo odierno, le mie parole possono sembrare quelle di un illuso nostalgico, se non di una persona illusa e totalmente avulsa dalla realtà. Nient’affatto! Io credo che nel mondo in cui viviamo, assaliti dalla ciurma del mondialismo massonico anticristiano e antiumano e giustamente schifati da una gerarchia apostata, dobbiamo fare come la Vergine e l’Apostolo san Giovanni: dobbiamo stare presso la Croce. Davanti allo spettacolo orrendo di un Dio catturato, torturato e ucciso, i più persero la fede e abbandonarono il Maestro: così oggi allo stesso modo davanti allo spettacolo di una Chiesa avvilita da cinquant’anni e più di modernismo e oggi più mai da una gerarchia che scade nel becero, molti sono portati a guardare con occhi di ammirazione verso il mondo sedicente ortodosso, il quale, non avendo avuto la catastrofe deuterovaticana, appare quasi un’oasi di fede immacolata e saldissima. Lungi da noi lasciare la vera Chiesa di Cristo quand’è in rovina per unirci a coloro che nulla hanno a che spartire con Cristo, avvinti come sono disgraziatamente dalle spire dell’eresia e dello scisma. In questo tempo siamo portati a fare la bella professione di Fede: “Sì, io credo che le porte dell’Inferno non prevarranno. È promessa di Gesù!”; e a proclamare con tutta la nostra forza: “Per nessun motivo diverremo traditori e per nessun motivo abbandoneremo la Fede di Roma, nostra Madre. […]Se ci fosse anche chiesta la vita, ebbene daremo la vita per la Fede” 24. Ascoltiamo san Pio X: “L’Oriente resterà sempre il paese dell’aurora e che le sue plaghe ridenti non cesseranno di mandarci il lume della natura; ma, poiché il Signore ha eletto Roma per essere il testamento della nuova alleanza, è di qua che spande i suoi raggi il sole della verità e della grazia come l’han proclamato di gran cuore gli stessi Orientali in tante occasioni” 25. Ovviamente “la Roma cattolica custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie al mantenimento della stessa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità” non “la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono scaturite” 26. Tra le macerie della desolazione morale o della catastrofe bellica una sola colonna sta in piedi: il Romano Pontificato. Angariato dalla Sinagoga e dagli Imperatori; attaccato da eretici e potenti d’ogni sorta, colore ed epoca, esso sta ancora lì (nella sublimità o nella bassezza di chi pro tempore ne è investito) a camminare, conculcandoli, sui mostri del mondo perfido. E questo perché “il Papa ha le promesse divine; pur nella sua umana debolezza, è invincibile e incrollabile; annunziatore della verità e della giustizia, principio della unità della Chiesa, la sua voce denunzia gli errori, le idolatrie, le superstizioni, condanna le iniquità, fa amare la carità e le virtù” 27. Teniamoci quindi ben stretti alla Cattedra di san Pietro perché come diceva san Girolamo a san Damaso: “Io non conosco Vitale, non ho nulla in comune con Melezio e mi è ignoto Paolino: chiunque non raccoglie con te disperde ciò che ha ammassato, poiché chi non è di Cristo è dell’Anticristo” 28. Solo se faremo nostra la dottrina che ci hanno insegnato la Santa Chiesa di sempre e i suoi Sommi Pontefici (e non “Patriarchi” un tempo collaborazionisti!) e in base ad essa condurremo la santa battaglia potremmo affrontare le sfide sempre più ardue, che il mondo moderno, ostile più che mai al nome cristiano, ci pone dinnanzi.
NOTE
- Giuseppe Ricciotti,Vita di Gesù Cristo, § 397.
- Concilio Ecumenico Vaticano I, Costituzione dogmatica “Pastor æternus”, n.1.
- San Giovanni Crisostomo, De Sacerdotio, lib. II, cit. in Leone XIII, Satis cognitum, 29 giugno 1896.
- Padre Marco M. Sales OP, La Sacra Bibbia – Il Nuovo Testamento, Scuola Tipografica Salesiana, Torino, 1925, Vol. II, p. 245.
- San Pio X, Catechismo Maggiore, n. 162.
- San Cipriano di Cartagine, Epist. XLVIII ad Cornelium, n. 3. ; Epist. LIX ad Cornelium, n. 14.
- Leone XIII, Satis cognitum, 29 giugno 1896.
- Sant’Ireneo di Lione, Avdersus hæreses, lib. III, cap. 3, n. 2.
- Claudio Rutilio Namaziano, De Reditu, I, 63, 66.
- Cardinale Eugenio Pacelli, Discorsi e panegirici.
- Svetonio, Vita Vespesani, IV.
- San Leone Magno, Sermo LXXXII (al. LXXX). In Natali apostolorum Petri et Pauli, cap. II.
- Cfr. Giustino, Prima Apologia, 35; Tertulliano, Apologetico, 5 e 21; Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, II, 2.
- Ivi, cap. I.
- Luigi Tosti, Storia dell’origine dello scisma greco, Le Monnier, Firenze, 1856, Vol. II, pp. 5-6.
- San Tommaso d’Aquino, In 2.am ad Thessalonicenses, c. II, lect. 1.
- Margherita Guarducci, Il primato della Chiesa di Roma. Documenti, riflessioni,conferme, Rusconi, 1991, p. 141.
- Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica “Lumen gentium” sulla Chiesa, cap. III, n. 22.
- Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione “Dignitatis humanæ” sulla liberta religiosa, cap. I, n. 2.
- Paolo VI, Udienza generale del 26 novembre 1969.
- Paolo VI, Discorso al patriziato e alla nobiltà romana, 13 gennaio 1966.
- “il servo che è posto a capo della famiglia […] il Vicario di Gesù Cristo, il successore di Pietro, il Dio del Faraone; che è posto in mezzo fra Dio e gli uomini; al di qua di Dio, ma al di là dell’uomo; minore di Dio, ma minore dell’uomo; su tutti giudicante, ma da nessuno giudicato” (Innocenzo III, Sermo II in consecratione Pontificis Maximi, PL. Col. 658).
- L’aspide, il basilico, il leone e il drago sono raffigurati anche nel basamento della Cattedra del Laterano.
- Cardinale Iuliu Hossu, Vescovo greco-cattolico di Cluj-Gherla dei Romeni (1885-1970).
- San Pio X, Discorso ai prelati orientali giunti a Roma per il XV centenario di San Giovanni Crisostomo, 13 febbraio 1908.
- Monsignor Marcel Lefebvre, Dichiarazione del 21 novembre 1974.
- Pio XII, Discorso ai fedeli in occasione della Messa di riparazione per la condanna del Cardinale József Mindszenty, 20 febbraio 1949.
- San Girolamo, Epistola XV. Ad Damasum papam., 2.
da: www.radiospada.org
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