Maria
Adele Anselmo,
La figura della Dea Madre nelle pagine di Evy Johanne Håland,
Palermo, Fondazione Thule
Cultura, 2011, pp. 156 (con tavv.), Euro 15,00, ISBN 978-88-97471-00-4.
La
Collana “Cristalli di Rutilo” della Fondazione Thule Cultura, diretta con polso
e zelo dal prof. Tommaso Romano[1], si
arricchisce di un terzo pregevole volume.
La
prof. Maria Adele Anselmo, anglista, ma Laureata a Palermo sotto la guida del
prof. Ignazio E. Buttitta, insigne antropologo e ricercatore nel campo delle
tradizioni culturali del Meridione, è giunta all’argomento Dea Madre partendo
dai suoi interessi per la saggistica in lingua inglese. Si imbatté in vari
contributi di una studiosa norvegese, Evy Johanne Håland, autrice di numerose
pubblicazioni in norvegese, inglese ed altre lingue, e, poco per volta, rimase
affascinata dal ‘mondo’, ricco di suggestioni, presentato, con partecipazione
emotiva e garbo squisito, dalla ricercatrice nordica.
Chi
scrive, per formazione di studi ed interessi di ricerca, è molto lontano da
codesto ‘mondo’, eppure il testo merita senza dubbio una recensione positiva,
che evidenzi l’acribia e la sobrietà, nonché la personale e motivata
partecipazione, della giovane ricercatrice.
La
Anselmo, con umiltà, prima di affrontare lo studio delle tematiche della
Håland, ha avuto bisogno di investigare, preliminarmente, sugli studiosi
‘precursori’, e reinterpretare, con originalità, il loro pensiero.
Prima
tappa, d’obbligo, il più volte citato studioso delle religioni romeno Mircea
Eliade (1907-1986). Per Eliade, la religiosità, vista nel suo percorso
dall’antico al contemporaneo, è credibile e verificabile: le ierofanie sono
manifestazioni della sacralità nella società. Le vaste ricerche condotte,
ancora attuali, dimostrano che le ierofanie sono un ‘tipo’ di storia di
rivelazione continua; la sua classificazione dei fenomeni divini non è
schematico-settoriale, ma flessibile e tesa a dimostrare che i fenomeni stessi
sono realmente apparizioni del sacro nel mondo, salvo che queste ‘classi’,
mutando le condizioni della vita dell’umanità, sorgono, raggiungono il loro
apogeo, declinano e vanno progressivamente (salvo eccezioni) a scomparire.
L’originale
metodo di Eliade porta alla scoperta, nella storia, di teofanie che, ciascuna
seguendo la sua strada, conducono a dottrine elitarie, additano strade di
perfezione e salvezza (es. Campi Elisi, Walhalla, Paradiso). Secondo alcuni,
una tale investigazione, per quanto riguarda forma e struttura, assomiglia ad
una paleontologia culturale, che scava nella storia rinvenendo frammenti sparsi
presso i vari popoli. Eliade valuta le esperienze primordiali degli uomini
circa l’arcano della creazione, nascita, iniziazione e morte, come
estrinsecazione di una profonda simbiosi fra l’uomo e la natura, e, di
conseguenza, fra il naturale e il soprannaturale, fra l’ordinario ed il sacro.
In
altre parole, l’uomo, ai suoi albori, comprendeva l’opera della divinità in
forma di mito. In ogni stagione, ad ogni tappa, della sua storia, l’uomo può
fare riferimento agli eventi primordiali. Eliade cerca di rintracciare l’ ‘atto
puro’, iniziale, della divinità, che mostra il suo rapporto con l’uomo e la
natura; tornare indietro nel tempo, a quando il tempo non esisteva. La presenza
dello spirito divino fa rinascere a nuova vita.
Il
mito è in posizione centrale, integrato
nella storia: i suoi misteri, imperscrutabili, servono come strumenti di
rivelazione. Le scienze psicologiche e sociali, sostanzialmente aliene rispetto
alla sacralità, non possono, per Eliade, spiegare il significato dei fenomeni
mitici, proprio a causa della sacralità insita in essi. La sacralità distingue
il mito dalle saghe, leggende e favole.
Seconda
figura analizzata dalla Anselmo è quella dell’archeologa e linguista lituana
Marija Gimbutas (1921-1994). Punto di partenza della Gimbutas è la
ricostruzione del linguaggio proto-indo-europeo, da lei detto “delle genti
Kurgan”, e il reperimento delle testimonianze archeologiche relative. Le
società classiche dell’Europa storica sono state generate dalla simbiosi fra
‘sistema vetero-europeo’, basato sul matriarcato e la ginecocrazia, e ‘ sistema
indo-europeo’, incentrato sul patriarcato e il dominio del maschio.
La
Gimbutas valutava le raffigurazioni del Paleolitico e del Neolitico come
manifestazioni dello spirito tese a rappresentare una unica grande Divinità
Universale, da un lato, e, dall’altro, distinte varietà di figure femminili: la
dea dei serpenti, la dea degli uccelli, la dea degli animali. Tutte manifestazioni della Dea, diversificate fra loro, ma
riconducibili ad un’Unità sacrale.
Terzo
fra i maestri, ma maestro relatore, Ignazio E. Buttitta (1964), antropologo e
studioso delle tradizioni del Meridione, professore della Università di
Palermo.
Tematica
principale dei suoi interessi di ricercatore le feste agrarie siciliane,
incentrate sulla Dea Madre in quanto Dea
Madre delle messi. Demetra, e sua figlia Kore, rapita da Ade e condotta nel mondo degli Inferi, di cui
diviene regina col nome di Persefone. Con la rinascita della natura, nel suo
rigoglio ubertoso, la coppia madre-figlia si ricompone. Altro tèma
privilegiato: la consonanza cronologica e fattuale fra antiche feste pagane e
nuove feste, causata dalla successiva cristianizzazione. In particolare, per
Buttitta, la Dea Madre è soppiantata dalla Madonna, con la quale si perdono i caratteri negativi
antichi del mito (rapimento di Kore e
sua discesa agli Inferi), per conservare solo quelli positivi.
Con p. 71 la Anselmo introduce il testo della Håland:
The Ritual Year as a Woman’s Life: the
Festivals of the Agricultural Cycle, Life-Cycle Passages of Mother Goddess and
Fertility-Cult (2005). Dopo una stringata introduzione, viene
riprodotto il testo originale (pp. 74-90), con la bibliografia (pp. 91-96).
Segue la fedele traduzione italiana (pp. 97-114).
Il
saggio è illuminante per comprendere il pensiero della Håland. Nell’antichità esistevano celebrazioni della Dea Madre in
concomitanza con fasi determinanti dell’anno agricolo. La Terra era paragonata
al corpo della donna e l’anno agricolo equivaleva alle stagioni del corpo della
donna, nelle sue fasi.
Anzi,
la Terra stessa era a tutti gli effetti considerata equivalente all’apparato
genitale femminile, come dimostra il fatto che talora le celebrazioni iniziavano con la discesa in caverne
sotterranee; una sorta di penetrazione, a fini procreativi, della Terra Madre.
In
Appendice (pp. 129-153) l’intervista della Anselmo alla Håland (avvenuta ad
Atene nel 2010), presentata prima in originale inglese, poi in traduzione
italiana. La Anselmo ha posto vari quesiti alla ricercatrice nordica, sia sul
saggio in questione, sia sulle tematiche e sulla metodologia della vastissima
sua produzione.
Mi
siano consentiti una digressione, che a qualcuno sembrerà fuor di luogo, e un
suggerimento per coloro che si occupano dei autori contemporanei. L’intervista
andrebbe sempre condotta, dopo lo studio di un’opera, interrogando l’autore
stesso, affinché chiarisca punti dubbi del suo lavoro e/o dica a voce quel che,
per un motivo o un altro, non ha potuto, o voluto, scrivere. Oppure per
aggiungere nuove considerazioni. Magari noi antichisti e bizantinisti potessimo
avvantaggiarci di una tale possibilità…!
Il
parallelismo fra le festività in onore di Demetra e quella della Panaghìa (Vergine Tutta-Santa) della
Grecia attuale è evidente, come emerge dalle convincenti pagine della Håland; ancor più evidente, nello
‘slittamento’ da Demetra ad Atena, l’analogia con la Madonna, che aveva in
comune con Atena la perpetua verginità.
Dall’antico
al contemporaneo, dunque, in una ideale continuità fra Grecia antica e Grecia
moderna, fra culti pagani e culti cristiani, sacralità politeistica e sacralità
monoteistica; si sa che quest’ultima, a livello popolare, e non solo, subì
molteplici influssi, sicché, a livello generale, fra religiosità
biblico-ebraica e religiosità cristiano-cattolica v’è più di una divergenza,
pur nella riconosciuta continuità teistica.
La
ricerca merita dunque più di un plauso. Il successo del libro e della sua
Autrice, verificabile in rete, è testimonianza della validità della ricerca e
della correttezza della metodologia impiegata.
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