Perché
leggere l’opera poetica di Tommaso Romano? Cosa questa lettura può offrirci?
Scrive
Salvatore Quasimodo: «Quello della poesia è un tema aperto all’infinito; Le
domande che il poeta pone a se stesso, e quindi a tutti, possono essere
ritenute oscure dai contemporanei, ma non per questo cessano di esercitare il
loro influsso nelle zone più gelose di una società costituita. La nascita di un
poeta è sempre un atto di “disordine” e presuppone un futuro nuovo modo di
adesione alla vita, perché è bene dirlo subito: il poeta non rinnega mai la
vita. La vita, la verità. Sono gli uomini che chiedono questo al poeta. L’uomo
vuole verità dalla poesia, quella verità che egli non ha il potere di esprimere
e nella quale si riconosce, verità delusa o attiva che lo aiuti nella
determinazione del mondo, a dare un significato alla gioia o al dolore in
questa continua fuga di giorni, a stabilire il bene e il male».
Leggendo
ed interiorizzando le parole del poeta siciliano, facilmente si potrebbe
arrivare ad una risposta al quesito che abbiamo posto. Perché, dunque, approcciarsi
ad Esmesuranza, la raccolta poetica
di Tommaso Romano, e Dilivrarmi, l’ultima
silloge?
Perché quello
dello scrittore, poeta, saggista, critico e studioso palermitano è un
itinerario di vita, come quello che ogni uomo può attraversare, è un cammino
costellato di domande, è un percorso disseminato da perché che esplodono di continuo, è l’universalizzazione dello
status umano, quello status sempre proteso a domandare e domandarsi. Davide
Rondoni ammette come l’intera vita, in ogni sua manifestazione, in ogni suo
atto quotidiano sia una perpetua domanda, un continuo ed eterno cercare.
Chiaro, risulta, come ogni opera poetica può donarci l’incanto di un perché, l’attesa
di un senso (è questo il significato della parole di Quasimodo che abbiamo
riportato), ma nello specifico, la penna di Tommaso Romano ci apre
continuamente di fronte all’immagine di un uomo come tanti altri, di un nostro
compagno di camerata, di un amico, di un fratello che cerca, indaga, scopre e
mette per iscritto. E proprio questo noi uomini (seguiamo ancora la rotta
quasimodea) chiediamo ad un poeta. Non astrattezze, non ameni inganni, non
iperuranici paradisi senza concretezza: «Vago, perché vago?/Cammino, solo, scompostamente/perché
cammino?/Il mio animo è turbato/dal mondo/.Vago e vago/come gli zingari/».
Questi versi sono di un Romano che varca le soglie dell’adolescenza, che inizia
un itinerario, che è turbato dal mondo. Il turbamento, sia chiaro, non può e
non deve essere letto solo in chiave negativa: è qualcosa che smuove, che
produce movimento, che scatena sensazioni di vario genere, è mobilità.
Mobilità.
La stessa che ha visto e vede questo studioso muoversi perennemente in quel
mondo che sin da giovane lo sconvolgeva e che gli urlava la necessità di farsi
conoscere.
A chi
scrive, oltre che all’opera poetica, è sempre piaciuto andare a scovare cosa i
poeti stessi dicano del movente della loro penna, la poesia, appunto. Per
Romano, poesia e vita sono una continua ricerca, scrive egli stesso che il «senso
del senso» è l’aspirazione a perseguirlo; la ricerca stessa è appagamento, è cogliere
il senso delle cose. Se il futuro, per Tommaso Romano, è sempre eventuale,
dubbioso (Futuro eventuale è proprio il
titolo di una sua silloge), è proprio quel mistero che rende bello il
trascorrere del tempo: «Il mistero illeggiadrisce/il meccanico procedere dei
giorni/mentre di sconfinate certezze/è avvolto il cielo del dubbio».
“Il
mistero che illeggiadrisce” è la gioia dello studioso, che di quel mistero
vuole farsi interprete, giorno dopo giorno, pagina dopo pagina. Ѐ questo
il senso che Tommaso Romano dà alla sua esistenza? Probabile, per chi lo
conosce, rispondere affermativamente: è nello studio e nella ricerca che quell’itinerario
intrapreso diversi anni fa continua ad andare avanti, ma, ci ammaestra Romano
stesso, il senso vero è quello che ognuno dà e darà alla propria esistenza.
Ognuno ha una sua risposta, che da particolare può aprirsi all’universale, perché
ognuno è una minuscola tessera del creato che va a formare uno splendido ed
eterno mosaico: questo il significato del suo neologismo, Mosaicosmo.
Così,
per concludere con un pensiero autorevole che bene sintetizza quanto detto,
scrive Davide Rondoni a proposito di Tommaso Romano, di cui è da tempo amico, «il
territorio della poesia di Romano è quello dell’avventura della conoscenza del
mondo e dell’uomo. E come tale è un’avventura sempre nuova, irrefrenabile. Ogni
libro costituisce un’icona di tale percorso di conoscenza, ma mai un’icona
definitiva. Sopravviene altro – nella vita del poeta, nella vita del mondo – a urgere
un passo ancora, una nuova verifica, una nuova paziente pittura. […] E il
viaggio di uno diviene il viaggio di molti, e la conoscenza non è un acquisto
geloso, ma uno stupore che si condivide».
Giuseppe La Russa
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