di Maria Pia Iovino
Palermo, la città dalle mille etnie, dai mille colori, dalle mille parole, dalle mi…gliaia di menzogne, che non riesce a rinnegare se stessa. Quella parte di se stessa che disprezza la civiltà, le regole, la misura, la fatica ed il sudore del lavoro degli onesti, la trasparenza, per continuare ad annaspare e ritornare a quel vomito che ha, per un certo periodo di tempo, espulso dalle fauci insaziabili che albergano nella sporca e sordida coscienza di alcuni suoi estorsori. Quella insana coscienza che ha divorato il patrimonio storico, culturale, letterario, la memoria che, coraggiosi uomini di questa isola (la Sicilia) hanno cercato con la loro vita, di conservare per il riscatto dei posteri. Coraggiosi uomini e donne che, della coerenza, del bene collettivo, della società più giusta ed equa hanno fatto la propria ragione di vita. Quella folta schiera di illuminati cittadini che, nella quotidianità e nel nascondimento, lavorano senza proclami e senza campagne di marketing autoreferenziali; conducono delle battaglie per l’affermazione dei diritti dei cittadini più disagiati contro quel male oscuro che, l’affarismo becero e delle menti calcolatrici e ciniche spadroneggiano negli scranni della cattiva politica. Politica inconcludente e infausta che ha ridotto e riduce alla polvere i sacrifici e i sogni di uomini e donne liberi, sottrattisi (per scelta) dal virus della corruzione degli ultimi tempi”!
Eppure Palermo è stata ed è una città che, metaforicamente potrebbe assimilarsi ad una donna bella e virtuosa, idealista, religiosa e ben pensante. Quella Palermo in cui numerosi visitatori di ogni epoca e provenienza geografica hanno potuto narrarne la sua beltà e grandezza:
«Nel giardino pubblico vicino al porto, trascorsi tutto da solo alcune ore magnifiche. È il posto più stupendo del mondo [...] (Monte Pellegrino) il promontorio più bello del mondo». (J.W.Goethe su Palermo, “Viaggio in Italia”, 1817).
«Palermo, Museo del Mediterraneo: se volete sapere quel ch’è passato su questi flutti azzurri venite a Palermo. E’ una città deliziosa, una città dolce, una città profumata. Le sue piazze, le sue vie, i suoi giardini, i suoi monumenti sono magnifici. Ecco la Sicilia: capolavoro della natura, centro d’un mondo, terra illustre, si commovente e si nobile nel suo misterioso destino». (Gabriel Hanotoux, Diplomatico dell’Accademia di Francia, 1853 – 1944).
«È la città greca per le sue origini, per la luminosità del suo cielo e per le mètopi del suo museo, di bellezza non inferiore a quelle di Olimpia. È città romana per il ricordo delle sue lotte contro Cartagine e per i mosaici della villa Bonanno. È città araba per le piccole cupole di alcune sue chiese, eredi delle moschee. È città francese per la dinastia degli Altavilla che l’abbellirono. È città tedesca per le tombe degli Hohenstaufen. È città spagnola per Carlo Quinto, inglese per Nelson e Lady Hamilton». (Roger Peyrefitte su Palermo, 1907 – 2000).
Tuttavia, il palermitano che ancora sopravvive allo sciame di politici pelosi e dannosi, realizzerebbe un repellente brivido lungo la schiena se si dovessero risvegliare dalle proprie tombe gli avi che, in epoche auree hanno patinato di onore e decoro Palermo, e che una volta risvegliati, perirebbero per la seconda volta a causa dei colpi mancini e i segni indelebili che costoro hanno grottescamente inferto a Palermo oggi.
Eppure c’è chi, pur di difendere lo scempio che ha praticato e continua a impollinare in seno ai vari collegi e giunte, non riesce più ad avere una visione veritiera della realtà. C’è chi, paradossalmente, esalta le proprie capacità taumaturgiche, incapace di vedere gli ecomostri che ha partorito, la rabbia collettiva che ha generato, uniti a marginalizzazione, frustrazione, blocco socio-economico, disoccupazione, clientele, rapine, sotto l’egida della lotta alla corruzione e per la legalità.
Eppure, alcuni palermitani e residenti non hanno la memoria corta per rievocare lo scempio degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, gli anni del sacco di Palermo. Sacco che, il miope e scellerato boom edilizio stravolse la fisionomia architettonica della città.
Ed oggi, nel 2015 cosa sta accadendo, cosa sta riaccadendo, ma soprattutto, menti riflessive, sagge e di intelletto raffinato si chiedono cosa deve riaccadere, perché la Palermo, la città irredimibile di Leonardo Sciascia, si veda viepiù rinnegata la possibilità di redimersi, a partire dalla possibilità di avere più ossigeno per respirare.
Esattamente respirare “odori, profumi, verde, speranza, non puzze insulse di sporcizia a maglie larghe, che coscienze imbrattate dalla bramosia del potere e dalla popolarità a tutti i costi, saccheggiano, offuscando l’ordine costituzionalmente garantito, destabilizzando l’ordine di quanti vogliono credere e continuare a fare camminare le proprie idee sulle proprie gambe e con le proprie braccia, liberandole da ladri e saccheggiatori!
Quei saccheggiatori che trovano nelle varie tornate elettorali un’occasione per lavare la lordura delle proprie vesti, e della pochezza morale nel bagno degli elettori astenuti, colpevoli questi ultimi di essersi stancati di assistere impotenti, alle calamità naturali che l’eletto o nominato di turno ha provocato. Eletto o nominato che, una volta divenuto tale, e avendo avuto cura di essersi assicurato la solidità della propria poltrona, si è astenuto dal condurre la politica vera, autentica, che solo gli uomini dalla coscienza pulita, dal vero amore per il prossimo, dalla condotta sana e universalmente riconosciuta tale, sanno praticare. Non di certo “ominicchi” per dirla con Leonardo Sciascia, nel suo romanzo “Il giorno della civetta” per indicare esemplari umani maschili che vivono la loro vita inseguendo le onde telluriche dell’ultimo movimento sussultorio politico, esimendosi dall’assumere la responsabilità della improba governance che hanno deciso di condurre. Risultato: un acerrimo fallimento, intere generazioni rovinate, città invivibili, una pressione fiscale selvaggia, un patrimonio culturale, ambientale e architettonico violentato, risorse (umane, organizzative e finanziarie), dilapidate. Altro che “Res publica id est, res populi”.
Che consolazione sapere, dalle pagine di Filosofia, di un certo Marco Tullio Cicerone[1], che ci istruì e formò per una politica a passo d’uomo e al vero servizio dei cittadini!
Questi ingredienti, manieristicamente, riproducono e rievocano il sacco di Palermo degli anni ’60, condito di altri e ulteriori esaltatori di insipidità, dannosi per la salute pubblica?
[1]
Nei libri IV e
V dell’opera De Re Repubblica, infatti, viene tratteggiata la figura
dell'uomo di governo ideale, che Cicerone chiamava di volta in volta princeps
("primo cittadino") o tutor et procurator rei publicae
("reggitore e governatore dello stato"), o ancora con altri
appellativi (moderator) per rappresentare il modello ideale di uomo
politico, che sa sacrificare ogni interesse personale per il bene della collettività,
assicurando (anzi, restaurando) la stabilità della repubblica senatoria,
espressione della classe dirigente.