di Giuseppe Bagnasco
Ottocento anni fa, per la precisione il 15
giugno 1215, a Runnymede, località della Contea di Surrey posta nel sud-est di
Londra, accadde un fatto che risulterà propedeutico nel processo dell’
evoluzione della libertà dell’uomo. Quel giorno il re d’Inghilterra, Giovanni
Senza Terra (John Lackland), succeduto sul trono al più famoso fratello
Riccardo Cuor di Leone, fu costretto dai baroni del regno a sottoscrivere la
Magna Carta. Il documento redatto in latino col titolo Magna Charta Libertatum
(Grande Carta delle Libertà), assurge a rilevante importanza storica perché con
essa per la prima volta veniva riconosciuta l’inviolabilità dei diritti della
persona contro ogni arbitrio perpetrato dal potere. L’eccezionale evento è fatto risalire ad un fatto d’arme
verificatosi l’anno precedente. Fu infatti nel 1214 che il re Giovanni, privato
dal re di Francia dei suoi possedimenti continentali (da ciò il soprannome di
Senza Terra), per riprenderli gravò di tasse i suoi baroni che si ribellarono
ritenendo arbitrarie le dette imposizioni. La rivolta portò ad un compromesso
con cui il re si obbligava a riconoscere e concedere alcuni diritti in cambio
di un rinnovato impegno di fedeltà. Tuttavia questi diritti, in definitiva, interessavano
e difendevano soprattutto i privilegi della nobiltà e dell’alto clero sebbene
in effetti la Carta garantisse oltre i diritti dei feudatari e quelli della
Chiesa, anche quelli delle città inglesi e di tutti gli “uomini liberi”. Ciò
significava esclusione dei servi e degli schiavi. Fu sic et simpliciter una
cessione di parte del potere della corona su tutti i campi nella vita della
società del tempo. Tra i tanti la Carta stabiliva e garantiva ciò che in seguito,
nel campo giuridico, sarebbero stati considerati diritti umani come ad esempio:
1) La garanzia per tutti gli uomini “liberi” (cioè non schiavi, né servi) di non
poter essere arrestati e detenuti senza un regolare processo e senza una prova
(l’habeas corpus integrum). 2) La proporzionalità della pena rispetto il reato
commesso. 3) La possibilità per gli uomini liberi di poter ereditare la
proprietà esonerando le vedove dall’obbligo di doversi risposare. Oltre a ciò
prevedeva la libertà e l’integrità della Chiesa inglese, messa in precedenza in
discussione dal re Enrico II (padre di Giovanni) con l’arcivescovo di
Canterbury Tommaso Bechet che finirà assassinato nella sua cattedrale. Il
che provocò la scomunica di Papa
Innocenzo III, lo stesso che aveva accettato la protezione del piccolo Federico Ruggero (il futuro
Imperatore Federico II) richiesta dalla madre Costanza d’Altavilla. Prevedevano
ancora l’istituzione di una Commissione di 25 baroni col potere di promuovere
la destituzione del re qualora avesse violato i suoi solenni impegni e l’introduzione
di disposizioni che perseguivano la corruzione dei pubblici ufficiali. Però ciò
che più conta, anche alla luce dell’importanza evidenziata in questo testo, fu
il tassativo divieto imposto al re di poter stabilire nuove tasse ai suoi
diretti vassalli senza il consenso del “Commune consilium regni”. Un organo
composto da arcivescovi, abati, conti e tra i più importanti baroni del regno che
doveva convocarsi con un preavviso di 40 giorni e agire con potere deliberante
a maggioranza dei presenti. La creazione di questo Consiglio, in cui erano
presenti tutti i grandi feudatari del clero e dell’aristocrazia, è comunemente
intesa come la prima pietra del futuro Parlamento. Da notare che a quella data,
in Europa esisteva già un Parlamento (il primo nella storia) ed era quello
creato in Sicilia dal normanno Ruggero II, la cui composizione sarebbe stata
implementata nel 1240 dallo svevo Federico II con l’inclusione dei
rappresentanti delle città demaniali. Innovazione introdotta in Inghilterra
solo nel 1264. Però fu con la redazione scritta della Magna Carta che uscirono
modificati i rapporti feudali tra il re, che in fondo era un signore feudale, e
i suoi vassalli ai quali era legato da un contratto personale per cui doveva
rispettare i vincoli oltre le leggi del
regno. In definitiva fu la prima volta che, dopo il diritto romano e quello
canonico (ecclesiastico), venne codificato in diritto pubblico quello feudale.
E’ da rilevare comunque che, a parte questi, norme scritte esistettero già
nell’antichità. Nello specifico ci si riferisce al Codice Hammurabi (1760 a.C.)
della civiltà vetero-babilonese nel quale venivano elencate quelle riferite al
furto, ai reati penali, al matrimonio ecc,. Norme scritte quindi, anche allora non
dissimili da quelle della Magna Carta che, dalla sua sottoscrizione, potevano
così essere invocate da chiunque avesse visto violati i propri diritti. E ciò
rappresentò sia la protezione legale degli uomini liberi sia l’affermazione
dell’uguaglianza di tutti i cittadini (esclusi sempre gli schiavi e i servi). Principi
ancora ripresi dal Parlamento inglese nel 1628 con la Petizione dei Diritti
umani inviata al re Carlo I in cui, oltre a riaffermare leggi e statuti
precedenti, era previsto il rifiuto del cittadino ad alloggiare soldati e il
divieto di promulgare la legge marziale in tempo di pace . Per tutto ciò la Magna Carta è indicata come la base del Costituzionalismo
moderno. In Inghilterra solo nel
Trecento il Parlamento fu diviso in due Camere: quella del Lords e quella del
Comuni e che risulterà da guida per i futuri parlamenti d’Europa, laddove essi
si formarono. E in effetti i suoi contenuti nel particolare riguardo ai diritti
individuali delle persone, furono ripresi nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo
e del cittadino del 1789 dalla Rivoluzione Francese e questa sulla falsariga
della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776. Il
tutto poi riconfermato nella
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalle Nazioni Uniti nel
1948. Per quel che riguarda la storia della nostra Sicilia, c’è da sottolineare
che molti principi della Costituzione inglese, furono proposti dal termitano
Paolo Balsamo e introdotti nella pur breve Costituzione siciliana del 1812. Essa fu
concessa dal re Ferdinando III di Sicilia (già re Ferdinando IV di Napoli), su
“suggerimento” di lord Bentick, plenipotenziario inglese nella Sicilia
“britannica” e antinapoleonica e che precedette di ben 36 anni lo Statuto
albertino. In essa si stabiliva tra gli altri articoli, il principio della
libertà personale (vietava l’arresto), della libertà di stampa e, cosa
veramente innovativa, quella dell’inviolabilità del domicilio e della posta. Ma
tutto svanì e fu annullato dalle regole della Restaurazione sancite dal
Congresso di Vienna che riportò l’Europa all’Ancien Regime. Nel definire i
nuovi assetti politici fu deciso tra l’altro di
riportare sul trono di Napoli il re Ferdinando I, questa volta come re
delle Due Sicilie ( per riaverlo pagò milioni di ducati , anche al Metternich),
ma a patto che osservasse le direttive congressuali e che si impegnasse a
reprimere qualunque rivolta tesa a sovvertire l’ordine costituito, pena
l’intervento dell’esercito austriaco. La soppressione del Regno di Sicilia dopo
settecento anni di vita e conseguentemente, del suo Parlamento rappresentò per
i siciliani un duro colpo che radicherà nel loro animo quel sentimento
antiborbonico che sfocerà nella rivolta del ’21 e porterà alla fatale rivoluzione
del ’48. Sentimento, sottolineamo, che non fu mai antiaustriaco come in tanta
parte degli altri Stati italiani dove si sviluppò la storia risorgimentale.
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