di Domenico Bonvegna
Tra
le grandi fratture che segnano il nostro tempo, c’è sicuramente la crisi della
rappresentanza. Ormai da troppo tempo c’è tanta gente che non si reca più a
votare perché non trova forze politiche e candidati credibili. Gli italiani
hanno perso la fiducia nella politica, e non si sentono più rappresentati.
Ma
non è stato sempre così per De Rita e Galdo, nel libretto “Il popolo e gli dei”, edito
da Laterza, raccontanola politica degli anni cinquanta, sessanta e settanta, quando
gli italiani“andavano a votare in massa,
la politica appassionava e coinvolgeva, generava appartenenza quotidiana, nella
durezza dello scontro tra le diverse famiglie-comunità dei partiti, anche
perché riusciva a stimolare la crescita, individuale e collettiva, verso
un’emancipazione nella scala sociale. La politica era un motore delle
aspettative della società, includeva i cittadini con le loro diversità
economiche e sociali, faceva sognare tutti e ciascuno di potere diventare altro
da quello che si era. Una volta che si è rotto questo meccanismo, il distacco è
stato inevitabile e tutti gli indicatori lo registrano”.Nonostante la cronica instabilità politica, che vedeva all’opera un governo
all’anno, la quasi totalità degli aventi diritto al voto accorreva alle urne,
il 94 per cento alle politiche, 92 per cento alle amministrative, l’87 per
cento alle europee. Mentre oggi alle ultime elezioni politiche del 2013, oltre
14 milioni di italiani hanno scelto di non recarsi alle urne, con un aumento di
oltre 3 milioni in appena cinque anni, mentre gli aventi diritto al voto, nello
stesso periodo, sono aumentati di 330.000 unità.“Laddove eravamo i primi, siamo diventati gli ultimi”. Nei
giornalisti affiora una certa simpatia per laI Repubblica.
Una volta “un
dirigente politico, nei partiti che funzionavano, veniva selezionato dal
conflitto interno ed esterno al proprio mondo di riferimento, cresceva nelle
palestre delle sezioni, dei consigli comunali, delle assemblee rappresentative,
dal più piccolo degli enti locali fino al parlamento”. Oggi può capitare ad
un dirigente politico di ritrovarsi direttamente al governo “dopo essere passato per qualche salotto
televisivo”.
Ormai il
discredito dei partiti e di conseguenza della politica, ha raggiunto livelli
alti, “la furia popolare ha travolto la
credibilità dei partiti, dei loro apparati e dei rispettivi dirigenti”. Il
disgusto e la rabbia verso la politica è un sentimento diffuso nella percezione
collettiva. “E’ un universo di
raccomandati, dove non si fa carriera per merito, per competenza e per
capacità”. A questo proposito i due economisti scrivono che esiste “una rabbia generalizzata che colpisce più
della metà degli italiani, al primo posto, tra i focolai del malcontento di
moltitudine, torna il tema del disprezzo nei confronti della politica e
l’indignazione per i comportamenti del pezzo di establishment che gravita tra
le istituzioni e i partiti: l’80 per cento degli italiani si sente pronto a
partecipare spontaneamente a manifestazioni contro i privilegi della classe
politica e dei rappresentanti istituzionali”.
Tuttavia la politica ha bisogno di autorevolezza, non
di autoritarismo, “E un valore etico che
non è riconducibile soltanto al fondamentale comandamento di «non rubare»: senza un progetto, un
orizzonte di lungo respiro, la politica diventa solo gestione dell’esistente e
scivola nella dimensione del potere fine a se stesso”.
De
Rita e Galdo concordano che tra le varie cause della crisi politica c’è
soprattutto “l’eclissi di leadership”, un fenomeno in evidente crescita,
che non può essere sostituita dal “salvatore della patria di turno, dall’uomo
della provvidenza”. Ho presente l’interessante ciclo di conferenze
organizzate qualche anno fa dall’ex sottosegretario Alfredo Mantovano a
Lecce, dal titolo, “Le sfide della
leadership”. L’ex politico pugliese intendeva dare delle risposte precise
su che cosa significa leader di una comunità, su come si formano le guide nei
vari settori della vita quotidiana, quale deve essere il loro ethos e quali
strumenti per comunicare.
I
due giornalisti smontano anche ilfalso
mito della società civile. “Chi
conosce la società italiana sa bene quanto il corporativismo, grande e piccolo,
e la tendenza a fare cordate o tribù, appartengono ormai agli elettori come
agli eletti - pertanto secondo De Rita e Galdo- la pomposa mistica della società civile, come serbatoio di eccellenze
da prestare alla vita pubblica, non ha alcun fondamento nella realtà”.
Non
è facile riaccendere la scintilla della rappresentanza negli italiani, “La politica ha bisogno di stare nella realtà delle
cose, con una cultura di governo pragmatica e realista, e allo stesso tempo di riscoprire
il fascino di un sogno collettivo, del pathos di una condivisione nazionale, di
un impulso alla crescita del corpo sociale. Se resta piatta e vuota, come
appare oggi, il suo primato spinge alla regressione e non alla propulsione, e
nell’ombra di questo arretramento si nascondono le peggiori insidie del
populismo, dell’invidia sociale e del livellamento, che si contrappongono a una
sana competizione e a una crescita verso l’alto della società. Per funzionare,
secondo una efficace dinamica di rappresentanza democratica, la politica ha una
necessità vitale di organizzazione, ancorata al progetto e al territorio”.De Rita e Galdo ci tengono a precisare che non intendono riproporre la
politica della I Repubblica. Però
sono contro quei politici che passano “da
un talk show televisivo a un altro senza soluzione di continuità”. Oppure
qulli che assomigliano a degli“attori
sempre impegnati a studiare la parte da interpretare, padroni di un territorio
un tempo riserva esclusiva di professionisti dell’intrattenimento e di
cantanti, vengono naturali alcune domande: ma dove trovano il tempo per
metabolizzare un pensiero, un’idea? E il tempo per accorgersi di quanto accade
realmente attorno a loro, nella realtà del quotidiano e non nella finzione di
uno studio televisivo?”Chissà se hanno il tempo di leggere un libro, di
studiare. Del resto questa è una società
impersonale, dove l’istruzione
e la cultura non sono considerate priorità, il linguaggio si impoverisce, i
sentimenti siraffreddano fino ad esprimersi nella sintesi internettiana del ‘mi piace’”. Siamo alla fine della
storia, della politica? L’unica via per uscire dalla crisi della rappresentanza
è quella del ritorno della politica, con profonde radici culturali, per
sconfiggere il virus del populismo. Papa Francesco nel suo primo discorso del
suo pontificato ha fatto riferimento esplicito alla necessità di ricostruire “la fiducia tra il vescovo e il suo popolo:
‘camminiamo insieme, vescovo e popolo…’,
Sono parole valide anche per la politica.
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