Due parole sull’indole ‘Santa’ di Giuseppe di Giovanni
pittore dell’ottocento palermitano
di Vittorio Riera
Che Giuseppe Di Giovanni (1814-1898),
capostipite di una famiglia di artisti operanti lungo l’intero Ottocento e
buona parte del secolo successivo, fosse d’indole buona, lo dimostrano i
numerosi indizi che si ricavano dal saggio uscito per i tipi delle Edizioni
Thule in occasione del bicentenario della nascitadel pittore (Vittorio Riera –
Aldo Nuccio, L’Ottocento palermitano del
pittore Giuseppe Di Giovanni (1814-1898) con cenni biografici curati dal figlio
Salvatore. Palermo 2104.Presentazione di F. P. Campione e Postfazione di T.
Romano).
Già il figlio Salvatore, nei brevi cenni
biografici sul genitore premessi al saggio, ricorda come sino agli ultimi
giorni della sua vita il pensiero andasse a Luigi Persico, ilbenefattore che lo
aiutò economicamente“assegnandogli del proprio una pensione mensuale di 60
Ducati, trenta per lui, e trenta per la famiglia, fino a quando, per grazia
sovrana, avesse conseguito una sufficiente pensione nel bilancio del
Decurionato di Palermo”.
Lo scultore napoletano (1791-1860) non fu
l’unico a volere premiare l’arte di un pittore che versava peraltro in
disagiate condizioni economiche – sono, queste, parole, del figlio, – perché
già, ancora prima del Persico, il conte Lucio Tasca aveva voluto incoraggiare
il giovane artista chiamandolo assieme ad altri a decorare il suo palazzo di
via Lincoln oggi non più esistente.
Ancora più significativo il necrologio apparso
nella“Sicilia Cattolica” del 2-3 giugno 1898, lo stesso giorno della morte del
DiGiovanni. Ecco come il pittore veniva ricordato: «Come padre di famiglia, il Prof. Di Giovanni fu esemplarissimo, e così
pure si rese modello per religiosa virtú e per divozione singolare. Bisognava
vederlo quell’uomo tutti i giorni, di buon mattino, nella chiesa del Monastero
di Santa Caterina per ascoltare la Messa; tutte le sere nelle chiese dov’era
esposto il Santissimo Sacramento per l’adorazione delle Quarantore. Ed a tanta
virtú, a tanta divozione, tutti, tutti restavano edificati.»
Così come non si può restare
‘edificati’ allorché apprendiamo che non esitava a restituire il denaro
ricevuto per opere che per un motivo o per un altro non era riuscito a
realizzare. E possiamo immaginare con quale riservata sofferenza egli doveva
togliersi denaro da tasche che non ne contenevano molto. Questo stile di vita
non poteva suscitare che simpatia e ammirazione. Non deve stupire allora se,
lui in vita, gli vengono riservati versi che esaltano assieme all’artista, la
bontà d’animo, quella bontà così descritta da certo Paolino Nicastro in una
lettera inviatagli nell’agosto del 1859 mentre il pittore era a Napoli:“Spero che Dio vi
assisterà, perché voi siete buono, anzi ottimo sotto tutti i riguardi.” Non
sappiamo il motivo per il quale questo sconosciuto ammiratore invochi
addirittura Dio perché vegli sul Di Giovanni e ne preservi il suo essere
‘ottimo sotto tutti i riguardi’. Certo è che gli indizi di cui si diceva
all’inizio convergono verso il ritratto di un artista che dell’onesta aveva
fatto il suo stile di vita e di un uomo dall’indole buona anzi ‘santa’ come si
legge in trafiletto apparso in “Letture domenicali” del 19 giugno 1898. Più
precisamente così scriveva il Settimanale cattolico: “Fate suffragi a Giuseppe
Di Giovanni, gran pittore, vissuto e morto in fama di santità, decano della
Congregazione di Maria Santissima del Rifugio”. (Si ringrazia qui l’architetto Luigi Albanese per l’importante
segnalazione fornitaci). Vittorio Riera
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