di Fabio Trevisan
Nel suo primo romanzo: “Il Napoleone di Notting Hill” del 1904, il cui vero titolo sarebbe stato, e come ho tradotto nel mio adattamento teatrale: “Il pazzo e il re”, Gilbert Keith Chesterton immaginava di far governare l’Inghilterra da un Re umorista, Auberon Quin, che incontrava e favoriva la causa di un giovane e fervente patriota, Adam Wayne (il Napoleone di Notting Hill). Questi due elementi, l’umorismo e il patriottismo, condensati nelle due figure eroiche del romanzo, rappresentavano per il trentenne Chesterton gli antidoti indispensabili per proteggersi dal delirio mondano, dall’affanno di sentirsi al passo coi tempi: “E’ delle novità che gli uomini si stancano, delle mode e delle proposte e delle migliorie e dei cambiamenti. Sono le vecchie cose a sbalordirci, a inebriarci, perché sono le cose vecchie a esser giovani”.
Queste affermazioni, solo apparentemente paradossali, costituivano in profondità il nucleo del racconto, che voleva essere l’elogio del sano umorismo cristiano e la salvaguardia della ragione e del senso comune (come successivamente sarà maestro anche Giovannino Guareschi, tratteggiato con precisione e competenza da Alessandro Gnocchi). La chiamata alla battaglia per la difesa delle proprie tradizioni e della terra dei padri è mostrata dallo scrittore londinese in esilaranti e incisivi confronti che Adam Wayne, il patriota di Notting Hill, ha con i suoi concittadini. Egli va dai più umili e dai più umani personaggi del romanzo (dal rigattiere al barbiere, dal venditore di giocattoli al droghiere) perché egli sa che il vero patriottismo può germogliare laddove si sono conservate le radici storiche e la memoria delle cose belle. A quell’affascinante custode dell’antichità, a quel nobile rigattiere Wayne pone un’osservazione molto acuta, che ha a che fare strettamente con il nostro presente: “Terribilmente fermo: due semplici parole racchiudono lo spirito di questa nostra epoca, quale l’ho percepito sin dalla culla. Spesso mi sono domandato quante fossero le persone che al pari di me avvertivano l’oppressione di questo connubio tra la quiete e il terrore”.
Cosa intendeva Chesterton con questa suggestiva riflessione? Perché era di estrema rilevanza questa constatazione? Le successive e sbalorditive frasi di Adam Wayne chiarivano il bersaglio polemico: “Nella nostra civiltà moderna la libertà di parola sta a significare, in pratica, che siamo tenuti a parlare di cose irrilevanti”.
E’ doveroso quindi chiederci: “Come possiamo noi, al pari di Chesterton, avvertire questo triste connubio tra un’apparente quiete e un concreto terrore? Perché nei giornali, nelle televisioni, in internet, ecc. si ravvisa questa mancanza di coraggio, questo continuo parlare di cose irrilevanti e inutili? Perché tutto è così terribilmente fermo?”. Chesterton faceva entrare in azione i cultori dell’umorismo e del patriottismo per frenare questa insipiente deriva umana, che portava all’oblio di Dio e della legge naturale:“Bisogna che qualcuno sopravvenga a infrangere questa curiosa indifferenza, questo strano egoismo, questa strana solitudine che investe milioni di individui”. Ecco così il pazzo e il re: ““Quando vengono i giorni bui, io e te, i puri folli, i cultori dell’umorismo, diventiamo indispensabili”.
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