di Marco Luscia
Amanti del piccolo chimico, novelli manipolatori di cervelli in camice bianco, illuminati e scettici intellettuali, preti disamorati d’ogni miracolo e prigionieri delle immutabili leggi di natura, vi divertite ad esaltare il disincanto? Io amo lo stupore dei bambini, un rapimento che quando si diventa uomini si colora del sangue fiorito della fede ingenua, che non è sciocca credulità ma candida e perfetta intuizione.
Sono innumerevoli le storie di esseri umani che hanno “ toccato il soprannaturale”, una selva rigogliosa di eventi, piccoli segni, possenti simboli, tratteggia non poche di queste biografie. È inutile, la sonda presuntuosa del razionalismo non troverà mai nulla, i sensori più sofisticati daranno un muto segno; perché l’unità di misura degli scettici è inadeguata rispetto alle profondità del cuore. Ci sono storie di uomini e di donne che hanno perso tutto e che in quel momento di rassegnazione hanno trovato Dio. Forse Dio è prima di tutto il Padre degli sconfitti della vita, di chi non aveva altro se non lacrime.
Ci sono storie di miracoli, di guarigioni inspiegabili, di digiuni impossibili come quello di Marte Robin, che visse come una tenue fiamma, alimentata dalla “goccia” quotidiana dell’eucarestia. In questi “ luoghi della storia”, nel cuore di tante persone, semplicemente si riconosce un mistero, niente va dimostrato, perché la vita è incontro e l’incontro è inesplicabilmente e sempre unico, irripetibile. Il miracolo è irripetibile. Le leggi scientifiche invece sono per definizione riproducibili. Gesù nel deserto non ha compiuto un miracolo a comando; perché come insegna il Vangelo, il mondo è proprietà del principe oscuro e Gesù regna su tutto l’universo secondo “ una illogica” legge di Grazia. Per questo gli strumenti che impugnano i piccoli signori dei poteri mondani, vedono solo la terra, la dividono e ne scrutano ogni atomo; ma non riconoscono il miracolo di un piccolo fiore. Come ha detto Cristo: “ Io sono venuto per ridare la vista ai ciechi e per toglierla a coloro che dicono di vedere”.
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