di Aldo A. Mola
“Vanitas vanitatum. Tutto è
vanità. Col passare degli anni che verranno tutto sarà dimenticato. E, come il
saggio, così muore lo stolto”. Parola di Qohelet, figlio di David, re di
Gerusalemme (Ecclesiaste,
II, 15-16). Chi ricorderà le oche giulive da anni starnazzanti nelle Aule
parlamentari, i patres goliardici e il forbito eloquio (parlato e
scritto) dell'ex presidente della repubblica Napolitano Giorgio? L'assemblea
monocamerale è stata sempre obiettivo dei despoti: da Cromwell alla Convenzione
repubblicana francese del 1792, dal Soviet di Lenin, al regime stalinista e a
Kruscev che represse sanguinosamente l'insurrezione degli ungheresi, plaudito
dai poi sedicenti miglioristi. Tutto verrà dimenticato. Ma prima che sprofondi
nell'oblio, la morte del Senato e lo scempio della Costituzione meritano un epicedio.
“Senatori boni viri, Senatus mala bestia”
dicevano i Romani, che la sapevano lunga. Dunque, l'attuale senato (minuscola d'obbligo) non conta più nulla.
Valgono poco i suoi membri indagati, rinviati a giudizio e tuttavia sempre
insediati nei loro da noi remunerati stalli. Contano meno ancora certi senatori
a vita. Un mondo è finito. Il Senato è morto. Pugnalato con spensierato rito
sadomaso dai suoi stessi “membri”, d'ora in poi condannati a vagare nudi sino
allo scioglimento dell'assemblea. Che cosa rappresentano adesso che han votato
di essere abusivi? Con quale spocchia codesti senatori eserciteranno il mandato
che essi stessi hanno cancellato? Allora, meglio farla finita con questa
caricatura di senato. Liberi tutti, tranne i patres, e sono molti, che debbono rispondere di reati comuni, a
cominciare da alcuni etruschi che hanno favorito il colpo di mano.
Costituzione imperfetta o
imperfetto chi ne abusa?
Di imperfetto in Italia non
era e non è il bicameralismo ma l'uso che della Costituzione hanno fatto
partiti, congreghe e profittatori vari, uniti nell'obiettivo di divaricare le
istituzioni dai cittadini e viceversa. Ci stanno riuscendo. Il colpo basso
attuato con l'eliminazione dell'elettività diretta della Camera Alta accelera
la deflagrazione dello Stato. Basta leggere il testo arruffato approvato dai
“senatori” per capire che questi patres
non sanno quello che fanno. Del resto camminano nel solco fangoso della
repubblica nata il 2-3 giugno 1946. Al netto di brogli vari, la repubblica
ottenne il “sì” dal 42% degli aventi diritto al voto. Nacque minorata ancor più
che minoritaria. La sua soglia è simile al famoso 41% sbandierato da Renzi
Matteo per soggiogare il partito democratico (minuscola d'obbligo) e gli
abitanti del Paese di Cuccagna (festa, farina e forca). Conniventi anche quando
disertano le urne, oggi tanti italiani scodinzolano all'annuncio che potranno
spendere le banconote nascoste per anni chissà dove, con occhio gonfio
d'invidia per russi e cinesi di passo, dai portafogli sempre gonfi di sacrifici
altri.
Dall'Unità nazionale (odiata
da clericali, cattocomunisti e fautori del monocameralismo imperfetto: prono al
tiranno di turno), il Senato ha raccolto il meglio dell'Italia: 2400 persone in
cento anni. Quasi nessun cittadino di vero talento ne fu escluso. Ma quei
senatori, vitalizi, erano nominati dal re, d'intesa con il governo, che a sua
volta aveva antenne ovunque e sceglieva il grano dal loglio. Proprio perché
rappresentò l'eccellenza del Paese, il Regio Senato rimane tuttora privo di una
storia. Non se n'è occupato nessuno. Né il Senato stesso (pur dovizioso), né le
Università, né tante case editrici pronube verso chiacchiere di destra,
sinistra e centro, ma solo repubblicane. Forse il Premio Acqui Storia dovrebbe
promuovere un'iniziativa specifica: una storia vera del Senato, a suo tempo
presieduto dall'acquese Giuseppe
Saracco, affiancato da Maggiorino
Ferraris “patron” della “Nuova Antologia”, da ricordare nel 150° della rivista
diretta da Cosimo Ceccuti.
Epicedio, dunque. Questo
parlamento, eletto in contrasto con la Carta della Repubblica come sentenziato dalla Corte Costituzionale,
ha titoli per modificare la Costituzione o dovrebbe pudicamente astenersene?
Con le decine di inquisiti da cui è popolato, con le centinaia dei cambiacasacca
da cui è formato, ha esso l'autorevolezza giuridica, politica e morale per
varare le troppe leggi che stanno squassando l'identità del Paese, dalla
cittadinanza al diritto di famiglia e oltre?
Il 50% degli italiani non va
più alle urne: parte per indifferenza (lo Stato è morto da tempo in molte
regioni e nelle coscienze di tanti cittadini che gli avevano dato fiducia e
dedicato decenni di vita per avito senso del dovere), parte per protesta. Se
non fosse per la Lega e il Movimento 5 Stelle i votanti sarebbero il 30-35%
degli aventi diritto contro il 60% dell'età monarchica. I cittadini voltano le
spalle alle istituzioni, ormai allo stremo. Mancano solo l'eccidio di Prina del
1814 e l'assalto ai forni.
Il discredito nasce anche dal
malgoverno delle piccole cose, dallo scempio del pubblico denaro mentre il ceto
medio, ossatura della società, è stato precipitato nell'indigenza. Perciò abusi
e sprechi sono divenuti intollerabili. Non è questione di destra o di sinistra
ma di decenza, di civiltà. Il re viveva della Lista Civile, stabilita dal
Parlamento (maiuscolo d'obbligo). In “I
Capi dello Stato” (ed. Gangemi) Tito Lucrezio Rizzo ricorda che il presidente
provvisorio della repubblica, Enrico De Nicola, napoletano, monarchico e
liberale, indossava un cappotto rivoltato. Del suo successore, Luigi Einaudi,
piemontese, monarchico e liberale, si ricorda che domandò ai commensali chi
gradisse la mezza mela che stava per tagliare. Entrambi erano stati senatori
del regno: un modello di serietà e di sobrietà per i “repubblicani tutti d'un
pezzo”.
Per far trangugiare lo
scempio della Costituzione a un'opinione pubblica sempre più indignata il
governo attuale ha subordinato la riforma della Costituzione a referendum
confermativo, da celebrare tra un anno, dopo le elezioni amministrative della
primavera 2016: uno stratagemma per rinviare le votazioni che contano, quelle per l'elezione del prossimo Parlamento (se ancora ce
ne sarà uno). Eppure tempo è venuto di restituire sovranità piena ai cittadini
sulla Carta saccheggiata dal governo e dai suoi segugi: non solo per approvare
o cassare lo sciagurato svilimento del senato, ma sulla forma stessa dello
Stato. Nel primo Ottocento Gian Domenico Romagnosi, tra i supremi esponenti del
pensiero repubblicano in Europa, scrisse che ogni generazione ha diritto di
decidere la forma di stato nella quale riconoscersi. Lo pensava anche
Melchiorre Gioja, autore del celebre saggio “Quale dei governi liberi meglio
convenga all'Italia”. Dopo 70 anni questa rugosa repubblica è al crepuscolo. La
sovranità va restituita ai cittadini. Nell'unico modo leale: l'abolizione, per
referendum, dell'articolo 139 della Carta, che dichiara immodificabile la forma
dello Stato. Forse che la Gran Bretagna, la Spagna, il Belgio, la Danimarca, la
Svezia, la Norvegia ecc. ecc. sono meno civili dell'Italia solo perché sono
Stati monarchici?
La soppressione del Senato
elettivo ha messo a nudo la pochezza dell'attuale “dirigenza” politica: una
commedia dell'arte. La repubblica è nuda, dalla cintola in su o in giù, a
seconda di dove si collochi l'ex Camera Alta. Il senato moriente è comunque la
pena etrusca per la repubblica: una riforma caparbiamente voluta e votata,
infatti, da una manciata di etruschi. Il cadavere del senato putrescente
corromperà il poco che resta del corpo
vivo.
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