di Patrizia Fermani
Di fronte ad un suicidio collettivo sempre più vicino, che non sembra
turbare troppo i sonni dei più, emerge ora nitidamente come solo la forza di
una idea chiara come quella da cui ha preso le mosse la prima Marcia per la
Vita, e che è rimasta intatta in questi anni, può d’ora in avanti costituire il
faro prezioso per raccogliere un popolo non ancora irretito e paralizzato dal
vuoto delle parole e delle idee, che cerca un punto fermo a cui approdare e da
cui ripartire.
La Marcia per la Vita non è un evento qualunque. Non è il tentativo di fare
emergere una protesta o, come nel caso americano, di ricordare a tutti che nel
gioco democratico tutte le posizioni vanno rispettate e propagandate. Del
resto, il vantaggio offerto in teoria dal sistema democratico di soddisfare le
esigenze più realisticamente sentite dal popolo elettore, e perciò ritenute
meritevoli di tutela, è vanificato del tutto oggi che le opinioni collettive
sono costruite a piacimento dai monopoli mediatici.
È nata per il coraggio di chi ha visto con sgomento che la soppressione
sistematica della vita nascente era ormai affondata nelle sabbie mobili della
assuefazione e della indifferenza comune. Soprattutto ci si è resi conto che in
quelle sabbie mobili la vita nascente era stata spinta dal tradimento più o
meno manifesto di quanti, dopo averne assunto formalmente la difesa, l’avevano
sacrificata sull’altare del compromesso politico.
Ma, prima ancora che dai laici, il tradimento era venuto già da tanto tempo da
un cattolicesimo che, avendo perduto il senso del messaggio cristiano, era
passato anch’esso sotto il comando della politica dove alberga tuttora con
incresciosa dedizione.
Dunque la marcia è nata per salvare nella stessa coscienza collettiva quanto di
più sacro essa dovrebbe preservare per la sopravvivenza stessa della società,
nella convinzione che la difesa della vita nascente contiene in sé il criterio
capace di garantire una vita buona per ogni generazione anche a venire.
In questi pochissimi anni, l’attacco alle strutture portanti della società si è
fatto del tutto scoperto e totalitario, ha assunto tante forme diverse e, in un
vertiginoso susseguirsi di eventi, ha annunciato la propria furia devastatrice.
Lo spettro della morte in vesti eutanasiche minaccia sempre più da vicino
persino i bambini, contro i quali si sta scatenando ovunque l’aggressione
omosessista, senza che educatori e genitori se ne diano troppa preoccupazione.
Ovunque il delirio di onnipotenza dei più forti si soddisfa di quello
stravolgimento tecnologico delle leggi della natura che si chiama fecondazione
artificiale e persino surrogata, che fa dell’essere umano un insignificante
oggetto del capriccio individuale e della vanità. Tuttavia neppure tale onda
d’urto sembra scuotere questa società sonnolenta e codarda, sazia ma neanche
troppo disperata come la pensava Giacomo Biffi, sperando forse che dalla
disperazione potesse venire anche il ravvedimento. Ad offuscare le coscienze si
è insinuato il veleno che presenta il bene come frutto della democrazia e non
della legge che la precede, mentre pretende di attribuire alle leggi dello
Stato il valore di un codice etico. È la sostituzione perversa dell’essere al
dover essere, e l’accomodamento ignavo a tutto ciò che accade secondo il plauso
dei più, comandato e pilotato come quello degli studi televisivi.
Su questo schema si modella anche il comportamento dei c.d. cattolici insieme
alla più attuale e scoperta politica ecclesiastica. Essi avanzano abbracciati
indissolubilmente ai metodi e agli orizzonti del progressismo anticapitalistico
sul versante del pauperismo e del pacifismo d’ordinanza. Ma non si danno
pensiero di quel disegno geopolitico con cui il capitalismo internazionale
ordisce la grande pianificazione neomalthusiana, anche in ossequio al dilagante
potere omosessista.
Di fronte ad un suicidio collettivo sempre più vicino, che non sembra turbare
troppo i sonni dei più, emerge ora nitidamente come solo la forza di una idea
chiara come quella da cui ha preso le mosse la prima Marcia per la Vita, e che
è rimasta intatta in questi anni, può d’ora in avanti costituire il faro
prezioso per raccogliere un popolo non ancora irretito e paralizzato dal vuoto
delle parole e delle idee, che cerca un punto fermo a cui approdare e da cui
ripartire. Un punto fermo capace di svegliare la responsabilità e l’orgoglio di
chi non vuole più rimanere in balia di queste acque minacciose in cui tutto si
è confuso e disperso. È soltanto tenendo ferma e incontaminata l’idea di una
legge superiore, scolpita per tutti nella roccia, e che nessuno deve osare
infrangere, che possiamo sperare di salvare i figli e i figli dei figli,
tenendoli saldi alla catena della verità.
La Marcia è nata perché un principio di salvezza comune fosse liberato dalla
palude in cui era stato affondato. Ma ora quel principio può far ritrovare
l’arca che ci porti in salvo, come i figli di Noè, oltre la grande tempesta.
da:"Riscossa Cristiana"
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